Leviathan dei Therion, recensione

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Leviathan è il diciassettesimo album in studio dei Therion, storica band symphonic metal – anzi, iniziatrice del genere. E’ la perfetta antitesi del precedente album, il complesso ed ambizioso Beloved Antichrist.

La carriera dei Therion è stata ed è lunghissima. Iniziata nei lontani anni ’80, la mente di Christofer Johnsson concepì un ambizioso progetto: i Therion, il cui nome deriva dall’album dell’85 dei Celtic Frost, il cui manifesto recitava la totale libertà musicale, e, soprattutto, tensione all’epico. Enormi aperture melodiche, contaminazioni industrial, utilizzo di orchestre intere – inizialmente, campionate –, linee vocali ardite: in una parola, il symphonic metal puro. Band più rappresentativa e, chiaramente, primigenia del genere, tuttora rappresenta uno dei capisaldi assieme ad Angra, Nightwish, Epica e Within Temptation.

Una carriera lunghissima, come dicevo, e costellata di capolavori: fra tutti, Theli, che, se si ignora l’orrendo artwork del dio egizio Seth su sfondo di mattoni, rappresenta il perfetto connubio fra ispirazioni darkwave e sinfonia metallica; stesso dicasi per Vovin, del 1998, mentre altro turning point fu Lemuria/Sirius B del 2006, che, oltre ad un’enorme ricerca bibliografico-esoterica alla base (continenti perduti e la conoscenza, mistero tuttora irrisolto, da parte della tribù dei Dogon di Sirius B, compagna invisibile di Sirius A), fu colorato da raffinatissimi arrangiamenti dell’orchestra di Praga, di balalaika e strumenti musicali asiatici.

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Eppure Johnssen, nonostante la fama planetaria e gli svariati capolavori rilasciati, non era felice e soddisfatto della sua capacità compositiva. Pensava di poter dare di più. Il genere della rock opera era già stato rilanciato da svariati progetti, quali gli Avantasia e Ayreon: i Therion nel 2018, dopo le Fleurs du Mal, decisero di inserirsi in tale filone. Nacque Beloved Antichrist, tre ore di musica ispirata a Il Racconto dell’Anticristo, di Vladimir Solovyov. Un po’ di background: Solovyov è l’autore russo più meritevole che ancora non conoscete, e la storia da lui narrata è una potente apocalissi nella quale la Cina e il Giappone, uniti, conquistano la Russia. Personaggio curioso e famoso, fu conoscente di Dostoevskij.

Perché vi racconto ciò? Alla fine, Beloved Antichrist è un album già uscito. Già uscito da circa tre anni. Incredibilmente complesso, ispiratissimo, lunghissimo, al limite dell’inascoltabile. Utile per un viaggio in auto di ore ed ore: non per niente, l’ho apprezzato solamente quando ho dovuto guidare dalla Slovenia all’Italia.

Ma perché, ancora, vi racconto ciò?

Perché Leviathan è tutto ciò che Beloved Antichrist non è: è impossibile giudicare il primo senza avere in mente il secondo.

Se in Beloved Antichrist, a primeggiare, era un ensemble impressionante di soprano pucciniani, enormi orchestre di classica nordica – Gluck, Grieg, Wagner – finalmente, in Leviathan, i Therion sono tornati a fare ciò che sanno meglio fare: melodia catchy ed epica. I brani sono tutti dei potenziali singoli, a partire dalla title track Leviathan, che, con una intro di chitarra molto safe per i canoni della band capace di rilasciare Secret of the Runes, ma ugualmente affascinante. Stesso dicasi per la classicheggiante The leaves of the oak of far, che vede il predominio di voci femminili e cori, a disegnare un brano pomposo che i fan ameranno; di uguale grandiosità, ma dall’approccio maggiormente Beloved Antichrist oriented, è, invece, Die Wellen der Ziet, interamente interpretata da Lori Lewis. Titolo che, in tedesco, significa “le onde del tempo” ed è, molle come un brano dalla Canzone dei Nibelunghi, totalmente dedicato al culto della divinità pagana Nerthus (citata solo da Tacito, per quanto ne sappiamo potrebbe anche aver lavorato di fantasia, ma questa è solo una nota a margine). Passando per Aži Dahāka (che non molto ha da dire rispetto a quanto dato dai Nightwish già ai tempi di Once), cantata da un peraltro poco ispirato Thomas Vikstrom, si approda a Eye of Algol. Per chi non lo sapesse, Algol è una stella binaria ad eclisse, nota agli Arabi per i suoi repentini cambi di luminosità, e per tale motivo, considerata demoniaca. Brano un po’ più energico dei precedenti, sicuramente più pregevole nel songwriting, ed una buona boccata d’ossigeno prima della soffocante Nocturnal Light, intensissima (anche troppo) ballad metal sinfonica di flautini e cori ecclesiastici. Great Marquis of Hell è un gradevole interludio tanto anni ’90 che non ci dispiace affatto, e che renderà divinamente live.

Fra i brani migliori di Leviathan figura Tuonela, interpretato da Marco Hietala – oramai ex vocalist e bassista dei Nightwish (leggi qui la recensione di Human || Nature) – che, come ci ha abituato da decenni, infonde enorme energia anche nel brano più scialbo – e la potente El Primer Sol, che vanta un refrain che rimarrà impresso per ore, mentre Ten Courts of Diyu, orientaleggiante, chiude l’album narrando dell’inferno cinese, un complesso labirinto composto da corti e livelli, ciascuno governato da uno specifico giudice.

In sostanza, Leviathan, come era nelle intenzioni della band, è un ritorno alla semplicità – all’epica descrittiva dei misteri e delle leggende del mondo umano, ciò che i Therion e soprattutto Johnsson hanno sempre saputo fare meglio. È un album godibile, fresco: certo, non innovativo, ma di facilissimo ascolto – cosa che non si poteva dire in alcun modo di Beloved Antichrist. Si tratta sicuramente di un lavoro di interludio nella carriera della band, che tornerà – ne sono certa – al lavoro di sperimentazione e commistione che ha sempre portato avanti in trent’anni di carriera e ben diciassette album. Per ora, Leviathan rappresenta un piacevolissimo ascolto.  

Giulia Della Pelle
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