Pro Xristou dei Rotting Christ: recensione

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Pro Xristou è il nuovo lavoro dei greci Rotting Christ, uscito il 24 maggio 2024 per Seasons of Mist.

Ben poche band sono state in grado di garantire la continuità produttiva dei Rotting Christ. Gli ateniesi, sulle scene dal lontano 1987, hanno sempre fatto parlare di sé sia per la splendida musica – e qui si ricorda con piacere Non Serviam del 1994 – che per il controverso nome: Gesù marcescente, sostanzialmente una bestemmia. Infatti, della decostruzione delle religioni abramitiche i Rotting Christ hanno fatto il proprio vessillo, e hanno incluso tale idea nella propria poetica musicale – in quella visione che li ha resi fra le band più prolifiche del genere: Pro Xristou non è da meno, e si inscrive perfettamente nella sequela di lavori della band greca. È un’ode al mondo pagano, pre-cristiano; religioni che, ormai, nell’immaginario collettivo, appaiono come più pure, cristallizzate in un tempo in cui saranno giovani per sempre; divinità di marmo, che guardano Atene dall’alto del Partenone. Statue di Apollo non ancora scoperte, nella polvere di Delfi.

pro xristou recensione 2024

Come tante altre band, invecchiando, i Rotting Christ hanno reso più accessibile il loro sound, privilegiando la trasmissione del messaggio, e scegliendo un linguaggio musicale più convenzionale, mascherando volutamente gli eccessi stilistici ma lasciando ben sottinteso un songwriting di qualità eccelsa. La ferocia di Theogonia, in Pro Xristou, pare essere più contenuta, a tinte più grigie che fosche. Molti riff, molte frasi musicali, provengono da Rituals, album del 2016 che conteneva la splendida cover di The Four Horsemen degli Aphrodite’s Child. Cori maschili e wall of sound di orchestra e chitarra black metal introducono The Apostate, brano grandioso – per visione ed ampiezza compositiva –, che riunisce in sincretismo elementi dell’Arab metal (Orphaned Land, Myrath), con i più classici stilemi della cavalcata power nordeuropea. Sulla stessa falsariga, dalle tinte nordiche moonspelliane, prosegue Like Father Like Son, la cui composizione si avvolge attorno agli stessi accordi di The Apostate, ma, invece di suonar ripetitiva, fornisce continuità stilistica e rende i due brani un dipolo. The Sixth Day – il giorno della creazione dell’uomo – è un altro brano luminoso, come la luce della creazione, ma provocatorio e fortemente critico della tradizionale genesi cristiano-giudaica. I pepli di Pro Xristou si tingono di scuro sangue con La Lettera del Diavolo, curiosamente narrata proprio in italiano – ed introdotta da voce, peraltro, blasfemamente femminile. La linea vocale veleggia, più narrante che intonata, sulla base horror metal – quasi un musical, una dichiarazione d’intenti d’un Anticristo. Un ben più convenzionale Alleluia riecheggia in sottofondo. The Farewell, campane ben mixate e l’accento greco inconfondibile di Sakis Tolis ad introdurre, prosegue con lo stile cantereccio e melodico di Pro Xristou, ma rappresenta forse il primo passo falso dell’album: eccessivamente lunga e povera di idee ed ispirazione.

Al contrario di Pyx Lax Dax, che riprende la frase musicale e i riff di The Apostate, velocizzandolo e aggiungendo, in termini di lead guitar (assolutamente pulitissima), un “sotto-brano” a sé stante, che racconta una storia diversa – che prosegue, con lento passo cadenzato e funereo, in Pretty World, Pretty Dies. Brano energico ed ambient allo stesso tempo. Tolis, ancora, parla, più che cantare – e la linea vocale è lasciata ad un coro, stavolta, di voci sia maschili che femminili. Che, va detto, fa molto odeòn greco. Non mancano, in Pro Xristou, rimandi alla mitologia norrena (alla fin fine, la famiglia indoeuropea va rappresentata in toto, anche i gelidi nordici), con Yggdrasil, che, purtroppo, similmente a The Farewell, nulla aggiunge all’album. La conclusione è affidata a Saoirse – nella cui introduzione, deliziosamente, Saki si destreggia malamente con la pronuncia delle s (ma lo amiamo così) –, che risulta, però, essere un brano discretamente simile a Like Father Like Son, se non per piccolissime accortezze in fase di produzione (un riff di chitarra acustica qua, un cambio di ritmo di batteria là…). Una cornamusa alfine intona Auld Lang Syne.

Ed ecco, Pro Xristou finisce così. Un po’ amarognolo, il gusto di questo whiskey; una vinaigrette sull’insalata di feta e cetrioli. Ed ecco. Se devo essere onesta, avrei gradito, non so, qualche riferimento alla profezia Maya sulla fine dei tempi – del resto, prima dei conquistadores, i Maya non avevano mai sentito parlare del Nazareno.

In ogni caso, Pro Xristou possiede alcuni momenti ispiratissimi, quali i primi due brani e Pyx Lax Dax: eppure, assomiglia ad un’opera incompiuta. Nello specifico, una rock opera incompiuta. Laddove alcuni brani inseguono e riprendono gli altri, molti altri risultano essere tessere di mosaico fuori posto, che non contribuiscono in alcun modo al disegno finale, che risulta incomprensibile – un mero abbozzo, sporco ma non distrutto dal tempo. L’artista, infatti, purtroppo, ha perduto l’ispirazione a metà strada.  

I Rotting Christ saranno in tour coi Borknagar, del cui Fall avevamo parlato qui.

Giulia Della Pelle
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