Take me back to Eden, Sleep Token: recensione

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In un planisfero musicale asfittico dove oramai le strade battute aumentano a dismisura, gli Sleep Token rientrano tra quei progetti che ancora riescono a fuggire, coraggiosamente, da un qualunque tipo di etichetta di genere, confermandosi con Take Me Back to Eden (Spinefarm, 19 maggio 2023).


Difficile, di fatto, al netto del loro terzo LP riuscire ad individuare in loro un vero e proprio filone musicale. Crasi e contaminazione restano gli aspetti principalI di un lavoro di ricerca che, spesso più coraggioso che minuzioso, sembra riuscire a dare i suoi frutti.
Con Take Me Back to Eden (19 Maggio – Spinefarm Records), l’ancora anonimo collettivo britannico presenta un prodotto musicalmente maturo, che ben porta in gran spolvero tanto le dualità quanto i tratti specifici di un progetto che dal 2019 ha visto il suo seguito crescere in maniera esponenziale.
Se difficile da individuare un filone musicale preciso, ben chiaro è il “mood” che la band continua a promuovere. Con un design musicale che tende a tonalità cupe, a sfumature elegantemente scure, gli Sleep Token con Take Me Back To Eden tornano a promuovere un’idea musicale che pesca a piene mani tanto dal metal contemporaneo quanto dal pop più radiofonico non disdegnando sensazioni industriali ed accenni più atmosferici o minimalisti.

Take me back to Eden, Sleep Token: recensione 1


Album dalla durata “atipica” per la brevità favorita dai tempi recenti (scavalla abbondantemente l’ora di riproduzione), Take Me Back to Eden porta l’ascoltatore in un sali e scendi costante che di canzone in canzone (e spesso anche all’interno delle stesse) conduce l’orecchio in un imprevedibile ma coerente alternarsi di durezza ed emotività, spessore sonoro e minimalismo, orecchiabilità e sperimentazione.
Bandiera della filosofia del progetto è la seconda traccia dell’album, The Summoning, lavoro che nei suoi sei minuti e trentasei riesce a spaziare dal riffing metal più brutale ad aperture orecchiabili ed emotive riuscendo ad aggiungere, con maestria, persino contrappunti elettronici e, come nella coda finale, capaci di strizzare l’occhio ad un sintetico blues pop che non poco ammicca alle sonorità di band come gli Arctic Monkeys
Un forte retrogusto simile a quello delle ultime produzioni dei Depeche Mode introduce l’album con Chokehold, altro episodio che non lesina nel suo misto tra elettronica e metallo pesante. Elemento, quest’ultimo, che trova in Vore la sua più pesante espressione nell’intera discografia del complesso britannico.
Le percussività trap e le leggerezze più electro/pop sono quelle che trascinano Ascensionism prima del liberatorio ingresso della band al completo in una combo sonora che, in parte, potrà essere ritrovata anche nell’ottava traccia dell’album: The Apparition.
Se in Take Me Back to Eden sono gli episodi più affini al crossover musicale quelli a risultare più convincenti, consistenza e compattezza si vanno a perdere con le tracce dal DNA più sfrontatamente radiofonico come Are You Really Okay e DYWTYLM che, per quanto musicalmente riuscite, risultano poco ispirate non riuscendo a mostrarsi come pregevoli esempi dei propri generi. Dinamica, questa, che conferma gli Sleep Token nella veste di un progetto che, gestendo con maestria innesti pop all’interno delle sue produzioni, non può fare a meno della parte più “analogica” e dura della sua musica per riuscire a dare il giusto piglio e la giusta freschezza alle sue composizioni.


Con una produzione scevra da appunti di qualunque tipo Take Me Back to Eden si presenta quindi come un lavoro ben riuscito anche se non privo di difetti. Di fatto a fronte di pezzi tremendamente convincenti altri, inesorabilmente, tendono a far calare il livello di attenzione e presa sull’ascolto, confermando l’ora di riproduzione come una scelta non solo coraggiosa ma, addirittura, non necessaria e forse nociva.


In un periodo di grande afasia musicale, in ogni caso, la fresca sperimentazione degli Sleep Token in Take Me back to Eden è ugualmente in grado di portare interessante linfa alle orecchie di ascoltatori esigenti e, fortunatamente, abbastanza aperti da riuscire a capire come il pop non sia una presenza oscura nel mondo della musica ma, bensì, un mondo da cui poter attingere a braccia aperte nel tentativo di dare una ragionata e ringiovanente nuova vita alle proprie produzioni (ed ai propri ascolti).
Lorenzo Natali
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