The Car degli Arctic Monkeys, punto e basta

| |

A distanza di 4 anni dall’ultimo album – Tranquility base hotel and casino – gli Arctic Monkeys ritornano con l’annuncio di un nuovo album, The Car, seguito da un nuovo tour mondiale.

The Car è un album complesso, con un’atmosfera difficile da cogliere: nasce a partire da un’intesa dal punto di vista musicale e non mira a raccontare una storia, quanto a riportare dei sentimenti nel modo più chiaro possibile.

The Car apre con un’intro che Turner cita come essere stato il vero momento in cui l’album è nato: ridendo, ricorda di come sia stata realizzata più di due anni fa e di come avessero provato a fargliela tagliare per rendere il brano più radiofonico. Il cantante sostiene di aver messo il muso: “Iniziare semplicemente dicendo ‘don’t get emotional’… Che cazzo vuol dire?”.

There’d better be a mirrorball è stato il primo singolo – abbastanza inaspettato – uscito lo scorso 30 agosto. La base ricorda molto le sonorità d’atmosfera dello scorso album e il testo racconta la fine di un breve incontro tra il cantante e una donna. Lui rapito, “heavy – hearted”, lei pronta a dirgli “it’s been nice”. Ci deve pur essere una mirrorball, un momento in cui tutto questo sembrerà divertente e non farà soffrire. Perfetta intro per l’album, ne anticipa le sonorità eleganti e i testi criptici.

Il secondo brano di The Car è stato l’ultimo singolo scelto dalla band: I ain’t quite where I think I am. Il testo descrive un’esperienza quasi onirica, una festa in uno yacht lungo la Riviera, dove però il protagonista sembra distaccarsi e guardare la situazione dall’esterno. Le persone intorno a lui sembrano sempre meno tali, il riferimento alle isole sembra far pensare che li veda tutti come esseri così isolati da paragonarli a piccoli spiazzi di terra in mezzo al mare – soli, inanimati e ignari della loro condizione.

Uno dei testi più interessanti di The Car, nonostante la difficoltà di coglierne il significato, è Sculptures of Anything goes. Qui Turner si rivolge direttamente all’ascoltatore – “Guess I’m talking to you now” – e offre la risposta definitiva alla questione legata alle loro nuove scelte espressive che tanto ha diviso gli ascoltatori.

Dopo il successo di AM, infatti, gli Arctic Monkeys hanno cambiato rotta drasticamente. I testi degli ultimi due album sono molto più complessi ed ermetici rispetto a quelli cui i fan erano abituati, le sonorità sono più raffinate, le predominanze di bassi ed elettriche sono sostituite da pianoforti e chitarre acustiche. Turner riporta alcuni dei commenti e delle critiche ricevute, lasciando intendere nel finale la sua risposta: i ritmi della band sono cambiati, le loro vite si svolgono con una tranquillità che intendono proteggere. Non sono più interessati alla vita della star frenetica, non vogliono più rivolgersi a chi non vuole andare oltre la superficie. In sostanza, chi li ama li segua.

Jet skis on the moat offre un altro scenario specifico e un po’ cinematografico, uno spezzone di vita che potrebbe avere un substrato profondo e metaforico o essere semplicemente un racconto. Molto più forte è invece Body paint – scelto come secondo singolo. Una macchia sulla pelle, un piccolo dettaglio che fa capire ad uno sguardo attento che vi è stato un tradimento.

Le donne di cui canta Turner sono sempre complesse, loro stesse spesso non sanno in che direzione si stanno muovendo, ma lui è convinto di aver capito tutto di loro, senza che ciò gli abbia fatto perdere l’interesse. “And if you’re thinking of me, I’m probably thinking of you” – ci vuole più di una “trace of body paint” per farsi abbandonare. Un singolo molto amato fin dall’uscita, che ha fatto sperare i fans in un ritorno delle iconiche basi di AM, si è rivelato però un unicum. Al centro dell’album perché è impossibile non riconoscere che è il brano meglio riuscito di tutti.

Quando Matt Helders ha scattato la foto di una macchina parcheggiata in solitudine, catturando la visuale della sua camera da letto, si aspettava che da ciò si potesse ricavare una storia. Eppure, per anni quella foto è rimasta nascosta, fino al giorno in cui Turner ne è rimasto così colpito da crearci prima una canzone – The Car – e poi un album. È il cuore dell’album, ne rivela quello che prima sembrava un filo conduttore poco chiaro.

Tra tutte queste conversazioni, tutti questi scorci di vita, gli Arctic Monkeys hanno sagacemente nascosto qualche dettaglio che rimandasse ad una macchina. Una macchina parcheggiata, una macchina che aspetta, una macchina da sfondo in un momento centrale della vita. In The car, la macchina è il significante: il dettaglio che fa capire che finalmente una situazione tipica si sta realizzando, un ricordo di bambino che permette di trovare rassicurazione nei dettagli.

Big ideas è un brano speculare a Sculptures of anything goes: Turner riflette su come erano soliti svolgersi i loro concerti, sull’estasi dei fans, sulla vita che avrebbero potuto portare avanti. Guarda al passato con distacco, mostra i ricordi uno per uno per poi concludere con “I cannot for the life of me remember how it goes”. La base si contrappone significativamente al testo: le strofe che raccontano del passato rock sono accompagnate da un climax reso con un’orchestra di archi. La vita possibile è un ricordo dimenticato.

Hello you è la canzone più vecchia di The Car, creata quasi per caso durante una sessione in studio appena dopo l’uscita di Tranquility base. Gli Arctic Monkeys erano esaltati dopo la fine dell’ultimo tour e voleva subito riprendere a creare, l’idea iniziale era quella di realizzare un album energico e vivace. È stata l’unica non scartata di quella sessione: tutte le demo di quel periodo, una volta tornati a casa, sembravano inutili.

Mr Schwartz è uno scorcio di vita di un personaggio creato anni prima ed apparso in altri brani della band. La canzone è, come spiega il cantante, in parte il set di un film. Inspiegabilmente, in fondo a The Car, è un brano veramente ben strutturato che rischia di essere penalizzato, schiacciato tra due brani lenti con basi troppo simili, ma molto meno significativi. Con la brevissima Perfect sense si chiude l’album: scritta velocemente, è una delle preferite di Turner e rappresenta la cesura perfetta per l’album.

Quando gli chiedono se un prossimo album degli Arctic Monkeys sia assicurato non risponde, forse è proprio la certezza di aver raggiunto il senso perfetto ciò che ci vuole per dire addio. O forse semplicemente gli Arctic Monkeys non hanno più l’ingenuità di voler programmare quando l’istinto creativo arriverà.

“If that’s what it takes to say goodnight, then that’s what it takes”

Giulia Scolari
Previous

Festa del Cinema di Roma 2022: tutti i vincitori 

Midnights di Taylor Swift: il dramma di Elena Greco

Next
Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial