The Cost of Dreaming (Kscope) è il nuovo album del 2021 dei White Moth Black Butterfly, progetto d’eccellenza del prog moderno, fondato da Daniel Tompkins, già membro dei TesseracT.
Alcune band sono uniche, sebbene si inscrivano in un solco già marcato da altri. Ce n’è una, nata da ceneri e da spin-off di altre, che è fulgido esempio di questa preziosa categoria: i White Moth Black Butterfly. Originati dalla mente di Daniel Tompkins, già membro e compositore nei TesseracT, attualmente i White Moth Black Butterfly sono sotto contratto con la leggendaria Kscope, label post-prog e soft-rock che vanta un roaster di tutto rispetto. I WMBB sono però anche e soprattutto Jordan Bethany, delicatissima vocalist che fa da femminile contraltare a Tompkins.
Laddove i TesseracT sono tecnici, aggressivi, esplosivi, nei WMBB Tompkins predilige la dolcezza, carezze delicate in luogo di aggressive chitarre. Questo è il caso anche di The Cost of Dreaming, nuovissimo album, uscito a fine maggio 2021. Dunque, dopo quell’enorme sconvolgimento che ha colpito tutte le nostre vite.
Descritto come “uno straziante grido di aiuto e disperazione”, The Cost of Dreaming è – posso preannunciarlo – uno degli album più belli del 2021. È chiaramente figlio della pandemia, del lavoro interiore che alcuni di noi sono stati in grado di svolgere durante questo lunghissimo anno.
The Cost of Dreaming si apre con Ether, eterei cinguettii d’uccelli e synth di Randy Slaugh (che, forse, ricordano, in atmosfera, i lavori sperimentali di Angelo Badalamenti), che evolve poi in Prayer for the Rain, un’acida e aggressiva cavalcata pop, costruita come la quiete prima di una tempesta che esplode poi in lampi candidi su nubi livide: una danza della pioggia. Quasi fossimo in un disco d’un producer oltreoceano, la componente pop raffinato si fa preponderante nel singolo The Dreamer, interamente sussurrato dalla dolcissima voce di Jordan – su un tappeto di synth ripetitivi che si devono al duo Slaugh/Dhar – mentre Tompkins si inserisce solo nel chorus. Fra echi di Yonaka, The Birthday Massacre e Wilson (leggi qui di The Future Bites) dei tempi migliori, in The Dreamer è raccolto il senso di The cost of Dreaming: quanto sforzo bisogna imprimere nel recuperare la capacità di sognare, quando la propria mente non è altro che una città fantasma? E, sognando, toccando il cielo, quanto duro è poi l’atterraggio?
Mentre un delicato arpeggio di chitarra chiude il brano, l’album prosegue con Heavy Heart, straziante ballad memore dei più disperanti eventi anni ’90 synth pop (Ladies and Gentlemen We Are floating in space su tutti) e di una certa Arriving somewhere but not here, in cui vengono anche inserite delicatissime percussioni fortemente cariche d’effetti che contribuiscono a creare un sentore di distanza siderale fra il brano e l’ascoltatore: una marcetta funebre.
How does it feel to know you can’t make it on your own?
With that deadly mark on your heavy heart?
How does it feel to lose every time you try?
To kiss me with a lie?
Ed è in realtà un’accorata dichiarazione di colpa: di essere null’altro che un parassita emotivo, un guscio vuoto. L’evasione dalla realtà, tramite misteriosi portali spaziali (figurati o reali) è portata avanti in Portals, gradevolissimo filler che si muove sulle stesse corde d Prayer for the Rain, voci di Daniel e Jordan che si mescolano ed intrecciano, radici di due alberi diversi. Improvvisa, aggressiva ed inaspettati, arrivano i bassi di Use You, stiracchiato brano sperimentale fino al chorus in voce pulita e accordi diminuiti: la voce di Tompkins è disperata, nel tentativo confuso di riconquistare l’amata, vittima, forse, di gaslighting – e ad essa, poi, si intreccia un pianto di donna, disperati singhiozzi, sonorità d’ospedale. Dove siamo? Chi è stato il sognatore finora? Ma si sta svegliando, fra urla che chiudono il brano e aprono Darker Days, ballad synth fortemente ritmata che vede la partecipazione del sassofonista Kenny Fong in un pregevolissimo solo, centrale in The Cost of Dreaming.
Che prosegue, nella sua seconda parte, come era iniziato, ma non muto, stavolta: stavolta ci sono parole ad accompagnare gli accordi distanti, in una frequenza (parlo proprio a livello fisico) che colpisce lo spirito, in Sounds of Despair – cui segue un tristissimo leid, e, infine, la ballad pianistica Under the Stars. Jordan sussurra, e assieme a lei sussurrano Daniel ed un flauto, e pregiatissimi synth creano una foresta sonora tutt’attorno, lucciole e fiori bioluminescenti.
Secondo singolo da The Cost of Dreaming è, poi, Soma, succo di un frutto sacro per la mitologia indù, poi arcinota droga presente ne romanzo Brave New World di Huxley: la droga che causava meravigliosi sogni colorati a quegli umani, facendo loro vivere un perenne gioioso, quanto noioso, torpore. Senza mai raggiungere il risveglio. Brano energico, Soma, si pone a metà fra il sogno e la veglia, navigando in un reame grigio – quanto costa sognare davvero?
Percussioni e arpeggi di chitarra distanti aprono Liberate: un brano dream pop/shoegaze, romanticissimo – ma anche inquietante, una volta comprese le liriche. Ed inquietante è Unholy, brano dalle tinte scure ed epiche, un castello della Transilvania, che riprende il soliloquio iniziato in Sounds of Despair e Use you, di cui, peraltro, a dare continuità alla sottotrama, riprende la sequenza d’accordi.
C’è una reference musicale che ho mancato, finora, volutamente, di nominare, in The Cost of Dreaming: The Contortionist, presenti, nella persona di Eric Guenther, in Bloom. L’album si chiude con Spirits, in cui Jordan canta angelica, in dubbing, ricordando la regina del pop raffinato odierno, Angel Olsen, mentre un’accorata supplica è fatta da Daniel.
The Cost of Dreaming è lontanissimo dall’essere un’invettiva verso qualcuno: è piuttosto una seduta psicanalitica sui propri difetti – sull’essere superbi, aggressivi, deboli, insicuri– e riflettere tutto ciò nei rapporti umani che si è in grado di intrecciare, che sono sbagliati, malati, distorti, apposti malamente; gli errori dei protagonisti vengono candidamente ammessi, primo step verso la guarigione. D’altro canto, in alcuni brani, quali Under the Stars e Liberate, è la controparte ferita a parlare, il co-dipendente di una relazione malata: che soffre e accoglie quel dolore, in modo masochista, e non meno sbagliato e feroce del carnefice di Use You. Le due metà della storia vedono, nell’altro, una porta. La cui conquista, di quella porta spalancata, è il supremo sogno di uno, quello insperato, e considerato indegno di essere raggiunto, dell’altro: un barlume di speranza è raggiunto in Spirits, una possibilità di conciliazione. Se nel recentissimo Endless Twilight of Co-dependent Love dei Solstafìr l’amore malato era trattato con l’oscurità tipica del black metal, qui ogni emozione è una farfalla, una libellula, un essere inventato ed aggraziato proveniente da un’immagine priva di vincoli. The Cost of Dreaming è un lavoro meraviglioso, multisfaccettato, umano e disturbante nella sua onestà e al contempo perfezione tecnica e stilistica – rimandi interni, ricordi di ricordi, strutture ricorsive, che funzionano come funziona la memoria umana. Quanto costa, dunque, sognare, quando si crede di essere un guscio vuoto?
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