Messa si, spettacoli no. Anzi, spettacoli si, ma solo a tempo debito. Finalmente, nelle scorse ore, sono arrivati segni di vita da parte del governo nei confronti della riapertura del mondo dello spettacolo. Troppo presto, però, per tirare un sospiro di sollievo. Perché? Ve lo spiegherò a breve.
Aveva creato non poco scalpore la trattativa andata a buon fine qualche giorno fa tra Governo e Cei, fruttata poi con la riapertura delle chiese e le esecuzioni della messa dal 18 di Maggio. In particolar modo a storcere il naso sono stati tutti coloro che, provenienti dal mondo dello spettacolo e da mesi in attesa di risposte, hanno visto la loro importanza e il loro diritto al lavoro scavalcati dal sostentamento di un qualcosa che, nel ventunesimo secolo, da molti potrebbe essere annoverata come semplice “scaramanzia”, in quella che potremmo definire più una scelta politica che di genio e raziocinio.
Due giorni fa, però, si è finalmente parlato di ripartenza per cinema, teatri e concerti
Il Comitato Tecnico Scientifico della Protezione Civile si è riunito, dando un ipotetico periodo di massima: inizio Giugno. Salvo imprevisti o nuove impennate delle curve di contagio, ormai in calo più o meno regolare da un mese, tra qualche settimana gli operatori dello spettacolo potranno tornare al lavoro, i teatri e i cinema riaprire e gli artisti salire nuovamente sui palchi. Il tutto, ovviamente, rispettando però le opportune misure di sicurezza.
E’ però troppo presto per festeggiare? Forse. Perché le misure di sicurezza avranno un costo, un payback inevitabile, e vi è da capire a chi verrà presentato il conto in una nazione che non brilla e che non ha mai brillato per mecenatismo più o meno dal periodo di Lorenzo il Magnifico e della Repubblica di Firenze. Le restrizioni saranno inevitabili.
“Abbiamo davanti l’estate, le piazze sono grandi arene in cui le misure di sicurezza sono più facili da applicare. E poi bisogna far ripartire la grande industria del cinema italiano” ha dichiarato Dario Franceschini, ministro per i Beni e le Attività culturali, intervenendo da casa durante la premiazione dei David di Donatello.
Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, in linea con il ministro, parla di una riapertura in sicurezza, con regole stringenti necessarie a mantenere quel livello di distanziamento sociale utile a non aggravare nuovamente la situazione. In cima alla lista delle misure vi sono lo scontato utilizzo obbligatorio delle mascherine, l’uso di ticket elettronici, gel igienizzanti agli ingressi e, soprattutto, ingressi limitati e contingentati. I numeri ipotizzati, al momento, sono quelli di non più di 200 persone per i luoghi chiusi e non più di mille, invece, per le location all’aperto. Il tutto con posti a sedere distanziati e pre-assegnati.
Proposte sacrosante ma che non azzerano, ovviamente, il problema: quello delle entrate
Il mondo dello spettacolo, di fatto, fino ad oggi come ogni altro macrocosmo è stato tarato sulle presenze, sulle affluenze. Le spese organizzative, gli affitti di location, catering, tecnici e chi più ne ha più ne metta sono sempre state commisurate alle reali possibilità di guadagno andando, spesso, di poco in positivo rispetto al necessario.
In fondo si sa, in particolar modo in Italia, ormai, l’arte non paga più. E se un cinema potrebbe in qualche modo sussistere anche con ingressi limitati, magari spalmando maggiormente a livello temporale le proiezioni nelle sale, moltiplicandole durante la giornata così da poter garantirsi, in qualche modo, un’affluenza pari a quella che si avrebbe in tempi normali, viene naturale chiedersi come possano essere sostenuti, invece, i costi del teatro e della musica live.
Meno ingressi comportano meno incassi. Meno incassi vogliono dire meno possibilità di poter finanziare tutta quella macchina organizzativa che già prima sbancava il lunario con estreme difficoltà. Basti pensare all’affitto di un palazzetto per un concerto, al pagamento delle crew addette al montaggio dei palchi, a tutti i permessi necessari e agli incassi degli artisti o, ancora, all’affitto di un teatro.
Fare uno spettacolo costa, che sia teatrale o musicale, e senza ombra di dubbio la minor affluenza di persone agli eventi porterà una molto minore ammortizzazione dei costi organizzativi, specie a fronte delle nuove misure che andranno attuate e che richiederanno, senza ombra di dubbio, nuove ed ulteriori spese.
La prima idea che salta in mente, la meno sana e la più logica, è quella di un’impennata fragorosa dei costi dell’arte
Far pagare a tutti di più consentirebbe senza ombra di dubbio maggiori introiti ma, allo stesso tempo, ridurrebbe nettamente l’appeal per la fruizione artistica che, nell’italiano medio, è già piuttosto basso. Ci troviamo in una nazione dove sborsare 10 euro al mese per Spotify Premium è ritenuto “troppo”, figurarsi spendere magari cifre esose più della norma per uno spettacolo, specie in tempi dove il lavoro scarseggia e l’insicurezza è padrona (come dargli torto?). L’audience diminuirebbe e, a quel punto, la cancellazione di eventi sarebbe costretta non solo dal virus ma anche dalla scarsissima affluenza. Insomma, il gioco non varrebbe la candela.
La verità è che il solo modo per portare avanti una simile macchina, in un momento così atipico, richiederebbe l’impegno in prima persona dell’entità statale tramite finanziamenti e incentivi
Insomma, per la prima volta in decenni sarebbe richiesto allo Stato di investire letteralmente sul mondo dell’arte per far si che non crolli su sé stesso. Elargire finanziamenti e agevolazioni, puntare su quegli ammortizzatori sociali che permettano, in qualche modo, di ammortare i costi di organizzazione (affitti delle location, abbattimento delle eventuali tassazioni ecc ecc). Incentivi per il pubblico, con bonus per l’acquisto di biglietti (su cui a quel punto potranno essere alzati i prezzi) magari anche commisurati con l’età e lo status lavorativo. Queste sono solo due delle possibilità che lo Stato, affondando le mani in tasca, potrebbe vagliare per dar via a quella che sarebbe una reale e complessa operazione di mecenatismo necessaria per la sopravvivenza dell’ambito.
Non basta, quindi, la riapertura per tenere in vita il mondo dello spettacolo. Servirà un complesso sistema economico, studiato ad-hoc e che sia in grado di poter ammortizzare le spese li dove possibile e necessario. Non è semplice, è vero, ma è necessario.
Non vengono, sinceramente, in mente altre soluzioni che possano realmente tutelare il mondo dello spettacolo. L’onda negativa è assolutamente prevedibile. Basta davvero fare due più due per capire che con meno persone a un concerto o in un teatro l’incasso di chi ha fornito il servizio sarà notevolmente ridotto e, di conseguenza, saranno ridotte le possibilità di proseguire nella fornitura del servizio. Non c’è una via di fuga, non ci sono alternative che non prevedano una reale mano statale.
La speranza, forse effimera, è che se ne parli, che vengano prese in considerazione realmente queste vie necessarie, senza richiudersi unicamente in tecnicismi e soluzioni di circostanza
Il timore è che, concessa la riapertura e date le direttive, chi ai piani alti se ne laverà le mani con il solito “io ho fatto il mio dovere, ora toccherà a voi”, costringendo il mondo dello spettacolo ad acrobazie funamboliche che già, da tempo, in questo paese è costretto a compiere per andare avanti.
Insomma, in anni e anni l’arte è stata trattata come un bene di serie C nella nostra nazione. Come aspettarsi, in un periodo di tale crisi, un’attenzione tale addirittura da garantire agevolazioni e finanziamenti? Come aspettarsi un ritorno al concetto di Mecenatismo? Sembra fantascienza, sembra sogno, dovrebbe essere la norma.
Noi vogliamo sperare per il meglio, ma per chi volesse tirare un sospiro di sollievo per l’ipotetica riapertura di Giugno, invito alla cautela. La lotta è tutt’altro che finita e, anzi, probabilmente la patata bollente, come sempre, sarà di nuovo nelle mani di chi l’arte cerca di promuoverla da anni, ottenendo ben pochi riconoscimenti.
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