Internet: la morte dell’arte, dei musicisti e della musica

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Inutile girarci attorno, inutile negarlo. Internet ha ucciso la musica, anzi, i musicisti. E a dirlo è proprio un “musicista” che teme di trovare in questo articolo il suo canto del cigno.

Sono tempi duri per tutti e lo erano già prima del Covid-19. Lo sono più o meno da 30anni, da quando il posto fisso nel mondo del lavoro è divenuto un’utopia e le certezze di costruzione di un futuro per i singoli, lentamente, sono andate a sgretolarsi. La grande crisi di certezze e realizzabilità della liquida società del secolo ventuno, ovviamente, hanno duramente colpito anche l’arte in tutti i suoi campi, dove in un modo e dove in un altro.

E’ quasi un mese, ormai, che sono chiuso tra le mura di casa, relegato come tanti altri in questa quarantena costretta

Ho pensato fin dal primo momento che non vi sarebbe stata occasione migliore per riuscire a concludere i miei lavori musicali. Stare in casa, smart working (fin quando avevo un lavoro), e-learning universitario, tutte modalità che mi avrebbero consentito di prendere in mano lo strumento ed affilare le mie idee quando necessario. Un album da finire, due canzoni mancanti su otto. Passano 20 giorni e, ancora, il risultato rasenta lo zero.

E’ li, di fronte alla mancata produttività, che iniziano le domande

Ed ogni domanda ne trae a sé una nuova e se inizialmente la discussione si incentrava principalmente sui motivi della “crisi creativa”, poi, si è spostata sull’entità della crisi musicale, del musicista nella sua forma più generica.

Ed è li che, riflettendo, ho dato conferma al mio dubbio. Internet ha ucciso i musicisti. Li ha uccisi delegittimando la fatica del loro lavoro, legittimando la gratuità di un prodotto che, invece, per essere confezionato costa fatica, tempo ed anche ingenti quantità di danaro. Internet ha ucciso i musicisti costringendoli, purtroppo, a non essere più musicisti ma personaggi.

Parlavo proprio ieri sera con il chitarrista della mia band (di cui non farò il nome per motivi di coerenza giornalistica e professionalità) cercando di trarre le conclusioni sul nostro progetto, su quello che stiamo portando avanti e quello che avremmo dovuto fare.

Internet: la morte dell’arte, dei musicisti e della musica 1

Agenzie di booking per promuovere dei mini tour, social media manager per gestire al meglio i contenuti prodotti, contenuti da produrre con costanza ogni giorno per inondare le bacheche dei social e riuscire a farsi un nome

Poi, in aggiunta, le attrezzature adeguate per autoprodursi lì dove la produzione di un album, spesso, costa ben oltre i 4000 euro per un prodotto vagamente decente e, per gente che non nasce con le tasche piene, è davvero dura.

Ci siamo resi conto che mancava tutto. Manca la strumentazione per il self producing, manca il budget per potersi permettere, oltre alle registrazioni, un social media manager, un’agenzia di booking, delle sponsorizzazioni e tutte quelle altre cose a cui il musicista, grazie al tiranno internet, deve per forza pensare. Abbiamo solo la musica, buona musica tra l’altro.

Solo la musica. Già. E’ triste come per un musicista avere tra i propri asset solo la propria musica sia assolutamente gravemente insufficiente

E’ triste perché è proprio questo il punto che ti fa rendere conto di come il grande mondo sociale abbia ucciso l’arte alienando il musicista che non solo deve procacciarsi strumentazioni costose, finanziarsi produzioni altrettanto esose e sudare “le carte” per costruire un buon prodotto.

Deve anche costruire un’immagine, autofinanziarsi, deve avere gli imponenti mezzi necessari per chi deve produrre costantemente contenuti per essere sempre sulla scena e non sparire nel grande overload di informazioni che definisce al 100% il mondo dell’internet.

Io, tutti quei soldi, non li ho e, ora che non ho più un lavoro, chissà quando potrò averli. Specie considerato che, spesso, avere un lavoro è antitetico con il fare artistico, che richiede altrettanto tempo, altrettanta concentrazione, altrettanta disponibilità quanta ne richiederebbe un impiego retribuito di otto ore giornaliere.

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Non ho nulla se non la musica e per questo, purtroppo, sono limitato nel fare musica

Rendetevi conto di questo grande paradosso quando scrollerete le pagine social dei vostri artisti preferiti, sempre costretti a pubblicare ogni giorno dei contenuti per non scadere nel dimenticatoio delle vostre menti facili, attratte più dal dinamismo che dal reale contenuto artistico. Tenetelo a mente quando, lentamente, l’anonimato di una musica industrializzabile andrà a sostituire sempre di più il contenuto in grado di appassionare prodotto da chi, con tempo e mente sgombra, ha avuto la possibilità di concentrarsi sul vero e unico obiettivo: la creazione di un’opera.

Nel mondo musicale, purtroppo, la musica è scesa in terzo se non quarto piano. Non basta più, serve altro. Serve un pubblico che convinca la casa discografica ad investire su di te. Ormai, ed’è noto, le label guardano al musicista solo e unicamente quando quasi autosufficiente, dotato di un buon pubblico, di un nome che già gira nella scena e anche di minimi mezzi di produzione. Potremmo allora rimanere qui a dialogare sull’inutilità delle case discografiche che, al giorno d’oggi, giungono sul musicista quando già crisalide, non facendo altro se non rubare i risultati dei suoi battiti d’ali senza dare alcun vero aiuto. Non è però questo il momento adeguato per una simile riflessione.

Mi limito solo a dire che le Label dovrebbero capire che non possiamo più prenderci la briga di fare il loro lavoro. Allo stesso modo il pubblico dovrebbe passarsi una mano sulla coscienza e rendersi conto che, il nostro lavoro, non può essere fatto gratuitamente e che se vuole il nostro prodotto, mi spiace dirlo, ma dovrà pagare, rinunciando a una bevuta al bar, a un pacchetto di sigarette o a un decino d’erba.

Il triste canto del cigno del musicista medio è quello che si posa sulle melancoliche note del “non posso più permettermelo”, perché la musica è solo ormai una questione di soldi

Una fortuna concessa solo a quell’elite di persone che hanno le condizioni adeguate per poter investire sempre di più usando le loro uniche risorse, spesso senza guadagnare nulla per anni. Gli altri non possono nemmeno dire di averci provato perché registrare un buon album, pubblicarlo, mandarlo alle case discografiche ed organizzare qualche tour non basta.

Il pubblico è sempre più pigro, sempre meno attento sul nuovo che esce anche a causa del troppo nuovo che entra in gioco ogni giorno nella dura lotta territoriale dell’audience telematico. Un tempo per dire “ci ho provato” bastava, forse, aver costruito un prodotto la cui poi appetibilità sarebbe state deliberata dal pubblico. Oggi non basta più e, per questo, spesso in molti non possono nemmeno dire di poter tentare. Tutto muore sul nascere dietro un portafoglio non abbastanza pieno, un lavoro troppo massacrante, delle condizioni socio economiche non troppo adagiate o, alle volte, le minime scelte prioritarie “sbagliate”.

La musica è sputtanata, eternamente fruibile in ogni momento su qualunque piattaforma senza nemmeno richiedere, nel grosso dei casi, un compenso grazie a servizi come Youtube o Spotify (e non venite a dirmi che Spotify paga, per carità. Le royalties concesse agli artisti sono a dir poco esigue)

L’estrema fruibilità ha distrutto la preziosità mentre l’uber competizione creata dalla grande agorà del mondo telematico costringe il musicista ad una corsa forsennata che di musicale non ha nulla. Serve il contenuto, servono i contenuti. Foto, videoclip, riprese live, materiale su materiale che il musicista deve costantemente creare, disponendo di buoni mezzi (programmi per registrare, buoni strumenti, Vst, schede audio, rac, videocamere, microfoni ecc ecc), per non cadere nel dimenticatoio mentre si premura, oltretutto, di creare un buon prodotto.

Io ho solo la mia musica. Non ho altri mezzi. Non ho il budget per un social media manager, per pagarmi la metà di un endorsement con una liuteria più o meno nota. Non ho il budget per permettermi valanghe di sponsorizzazioni, un’agenzia stampa o un mini tour europeo. Ho solo la mia musica, e posso tranquillamente sbattermela sui denti.

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Ragionate, musicisti, quando vi accalcate nella corsa per far crescere la vostra pagina Instagram o Facebook

Ragionate mentre registrate le vostre videocover e postate stories per un pubblico che non vuole la vostra musica ma la vostra costante presenza e, infine, il vostro prodotto lo fruirà gratuitamente, magari anche in modo illegale.

Internet ci ha ucciso, ci ha levato ogni diritto, ci ha levato ogni possibilità di onesta competizione con quelli che sono gli unici mezzi che, nel nostro mondo, dovrebbero contare: quelli creativi, quelli puramente musicali. Internet ha nebulizzato le nuove leve anche grazie al suo vastissimo pubblico, ingenuamente ignaro del pugnale stretto tra le sue mani.  

E’ questo il canto del cigno dell’ennesimo musicista squattrinato? Forse. O forse no. Mi viene in mente però, in questi giorni, una frase tratta da Moneyball, stupendo film con Brad Pitt:

“Arriva un momento, Billy, in cui ci dicono che non possiamo più fare i giochi da bambini”

Chissà che quel momento, come per tanti altri, non sia arrivato anche per me.

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Lorenzo Natali
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