Lo scorso 6 novembre ha visto la luce il nuovo album degli islandesi Sólstafir, Endless Twilight of Codependent Love. Si tratta del loro ottavo LP, il quarto consecutivo per la label Season of Mist.
Il percorso dei Sólstafir si colloca all’interno di un trend che il black metal ha conosciuto da oltre un decennio. In questo lasso di tempo dai confini indefiniti, quello che era – ed è ancora – il genere musicale più estremo e oscuro ha cercato con audacia, e con risultati spesso pregevoli, di oltrepassare i propri confini e lasciarsi alle spalle il purismo delle origini (leggi ad es. la recensione dell’ultimo album degli Enslaved). Abbiamo osservato il black metal incorporare elementi di folk, jazz, ambient, elettronica, shoegaze, sludge. Talvolta fino al punto in cui il black metal non era che un ricordo. Il “post-black metal” è ormai un genere a tutti gli effetti.
Di questo trend fanno senza dubbio parte anche i Sólstafir. La loro musica ha provato a espandere il linguaggio del black metal sin dal disco d’esordio (Í blóði og anda, 2002) e col passare del tempo lo ha fatto sempre di più. I Sólstafir hanno forgiato un universo sonoro che unisce le asprezze del metal estremo con i paesaggi sonori di ampio respiro dei Sigur Rós. Ne nasce un post-rock/post-metal che del black metal conserva ormai solo la tendenza a utilizzare gli stessi (pochi) pattern ritmici e melodici nell’arco di uno stesso brano.
Non è un mistero che la musica dei Sólstafir si ispiri alla natura e ai paesaggi d’Islanda. Chi ha avuto la fortuna di viaggiare per le strade di quell’isola lontana, ascoltando la musica dei Sólstafir, non avrà potuto fare a meno di apprezzarne la straordinaria corrispondenza: le seducenti ma ingannevoli dolcezze improvvisamente interrotte da inquietanti asperità, le interminabili distese di erba e di roccia vulcanica, il freddo che ferisce la pelle, il senso di desolazione, e osservare come si riflettono nei paesaggi sonori privi di orizzonte di Aðalbjörn “Addi” Tryggvason e soci.
Se la vicinanza alla natura è un tratto che appartiene a molti artisti loro connazionali, nella musica dei Sólstafir sembra quasi di avvertire le cascate, le colate di roccia, e in generale il senso di ripetizione, minaccia e ineluttabilità che appartiene alla natura islandese. Con le parole della band:
“La musica si ispira sempre all’ambiente in cui viene creata. Con la sua incredibile varietà di paesaggi così diversi – dai bianchi ghiacciai alle bizzarrie dei vulcani, i campi di muschio verde, le montagne rotte dal gelo, per arrivare alle spiagge nere – l’Islanda ha plasmato nei Sólstafir una miriade di musiche sorprendentemente originali. Il nuovo lavoro Endless Twilight of Codependent Love evidenzia in modo ancora più evidente le influenze contrastanti che hanno ispirato la band nel corso degli anni.”
Con Endless Twilight of Codependent Love la musica dei Sólstafir conferma la maturità raggiunta con il precedente Berdreyminn, di cui mantengono intatta la line-up. I due brani di apertura, Akkeri e Drýsill, sono altrettanti tour de force rispettivamente di otto e sette minuti guidati da motivi semplici quanto efficaci, in cui l’aumento graduale di velocità, ritmo e volume produce un crescendo di intensità drammatica.
Rökkur – terzo brano dell’album e certamente tra i più riusciti – anestetizza ulteriormente i toni, fino quasi a ridurre la musica al suono di un carillon, in cui la voce di Tryggvason, con l’incedere ai limiti della stonatura che lo contraddistingue, emerge in tutta la sua carica emotiva. Conclude la prima parte dell’album l’unico brano in lingua inglese, Her Fall from Grace, giocato sapientemente su un rimando tra parti più silenziose e soffuse e parti in cui emerge la rabbia (controllata) delle chitarre di Tryggvason e Sæþór Maríus Sæþórsson.
La seconda parte di Endless Twilight of Codependent Love si apre con il blast beat di Dyonisus, il brano in cui emerge più degli altri il retroterra black metal, mai realmente sopito, della band. Si prosegue con la delicata e quasi romantica Til Moldar, seguita da Alda Syndanna, il brano dal motivo più “catchy” dell’intero album.
La successiva Ör è invece il brano più sorprendente. Ha inizio con un motivo che non si esiterebbe a definire blues, se non si trattasse di un genere ben poco “nordico”. Ma il leggero shuffle disegnato dalla batteria di Hallgrímur Jón Hallgrímsson ci toglie ogni dubbio: i Sólstafir si stanno dilettando con un blues minore, suonato alla loro maniera, che esplode rabbiosamente verso la conclusione mentre ritorna su suoni più familiari, in quello che potrebbe essere il brano migliore di Endless Twilight of Codependent Love. Per una strano fenomeno di compensazione, l’album si chiude invece con Úlfur, brano che (anche a causa del suo posizionamento) suona meno originale e meno degno di nota degli altri.
Con Endless Twilight of Codependent Love i Sólstafir dicono poco che non abbiano già detto (Ör è tra quel poco). Ma quello che fanno è nondimeno encomiabile. Prendono il meglio di quanto prodotto fin qui e lo portano a compimento. In un’annata che ha visto il black metal islandese confermarsi protagonista, con numerose pubblicazioni di alto livello – si ascoltino tra gli altri gli album di Auðn, Helfró e Zakaz – i Sólstafir dimostrano per l’ennesima volta che di quel genere si può rispettare lo spirito anche senza seguire la lettera. Siamo ormai a novembre, vicini al momento in cui inizieranno a comparire le liste delle migliori uscite dell’anno che volge al termine. Aspettiamoci di trovare in quelle liste anche questo splendido lavoro.
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