Chiunque sia nato, come me, tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei 2000 sa benissimo di chi sto per parlare. Ebbene sì, i Sonohra (duo composto dai fratelli Luca e Diego Fainello) sono tornati, e con un album che tutti già conosciamo…o quasi.
Liberi da Sempre 3.0: l’album
Liberi da Sempre 3.0 (uscito il 27 maggio) è stato una sorpresa, per me che sono fan dai loro esordi. Le canzoni sono quelle che amavo a dieci anni e che ancora amo ora che ne ho ventiquattro (dei tre inediti parlerò più avanti); hanno qualcosa in più, e forse anche qualcosa che sento mancare, in un album che celebra una carriera lunga quasi quindici anni.
La svolta folk dei Sonohra degli ultimi album si sente prepotente anche in questi riarrangiamenti di brani storici della band, primi fra tutti Love Show e L’amore, che è stato scelto come primo singolo del vero e proprio ritorno alle origini.
Se L’amore 3.0 soddisfa (pur essendo la quarta versione della canzone, dopo l’originale, la versione spagnola e quella inglese), Love Show 3.0 da simbolo di spensieratezza e amore giovanile risulta invece appesantita dalla voce ormai adulta di Diego Fainello, e da un arrangiamento (anche qui il quarto, anche qui dopo la versione originale, quella spagnola e quella inglese) che quasi si discosta dalla leggerezza di quel brano così allegro. Ho sempre considerato Love Show dei Sonohra una di quelle canzoni da cantare a squarciagola con le amiche durante un viaggio in auto, così le si danno troppa importanza e profondità.
Altri brani sono stati totalmente stravolti, e per il meglio: Liberi da sempre, So la donna che sei, Sono io, L’immagine (per citarne alcune) con i nuovi arrangiamenti e la nuova voce del duo, ormai così tanto cambiata in tutti questi anni, sono state trasformate in brani quasi totalmente nuovi, e non mi stupirei, se scegliessero una di queste come prossimo singolo.
Tuttavia alcune canzoni, come English Dance e Cinquemila mini mani, risentono dello stesso cambio di tono di Love Show: brani orecchiabili e commerciali che con il nuovo arrangiamento sono stati a mio avviso appesantiti. Ecco, la nota dolente di questo Liberi da sempre 3.0: si può davvero cambiare ciò che si è fatto in passato, per adattarlo al nostro io presente?
Tra l’altro, non è il primo riarrangiamento per molte di queste canzoni: era già successo nel 2011 nell’EP A Place For Us, che oltre a contenere il brano There’s a piace for us (colonna sonora cantata dal duo per Le Cronache di Narnia: Il viaggio del veliero, con un giovane Ben Barnes e un ancor più giovane Will Poulter, che interpreterà Adam Warlock nell’MCU) contiene anche la versione inglese di cinque pezzi da Liberi da Sempre e due da Metà.
I tre brani inediti risentono parecchio del nuovo stile del duo, che nel 2021 aveva fatto uscire un nuovo singolo tutto da ballare, Arizona (accompagnato da una coreografia su TikTok). Cosmopolitan è questo, un brano da ballare con citazioni estremamente smart e un linguaggio accattivante, che un po’ strizza l’occhio al Raf di Self Control.
Fino a farmi male ha lo stesso principio elettronico-pop-folk che riporta indietro i fan veterani a Se tu ci sarai, un brano che i Sonohra avevano scritto prima di quel Sanremo 2008.
La sottile differenza, invece, è una ballad struggente dal tono elettronico che somiglia ad altre canzoni della band, prime tra tutte Ama ancora (contenuta in Metà, del 2010) e Per Ricominciare (singolo del 2018).
I Sonohra sono davvero ripartiti da 3.0?
Insomma, questo Liberi da Sempre 3.0 è davvero una ripartenza?
Perché effettivamente, una ripartenza già c’era stata, nel 2012: con La storia parte da qui, c’era stato un reset per quanto riguardava l’immagine che Luca e Diego volevano dare di sé, era l’inizio di un percorso folk/elettronico che probabilmente sta raggiungendo solo ora il suo culmine, nonostante le continue sperimentazioni e le collaborazioni nel corso degli anni (fra i tanti con cui i Sonohra hanno collaborato: Eugenio Finardi, Enrico Ruggeri, i Modena City Ramblers).
Forse questo ritorno alle origini, questa storia che (ri)parte da qui, è ciò di cui tutti avevamo bisogno. Io stessa, oggi, riesco a capire di più certi testi e a provare certe emozioni che ai tempi non sentivo così mie.
Cari Sonohra, questo album merita un 8. Sono tornata bambina, sono tornata per un momento al mio primo concerto, nel 2011, al Teatro Smeraldo di Milano, sono tornata quella ragazzina che si sgolava cantando le vostre canzoni e che sognava, un giorno, di incontrarvi per cantare insieme.
E chissà, forse è successo a tutti quelli che hanno ascoltato l’album.
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