Torniamo alle nostre “Singolarità Musicali”, andando a tracciare oggi l’identikit di quello che, probabilmente, è il progetto che più di tutti si pone come effige della definizione stessa di singolarità: I The Dear Hunter.
Funambolici, fantasiosi ed estremamente eclettici, il progetto nato nel 2006 dal genio di Casey Crescenzo (chitarrista, voce e compositore) è uno di quei diamanti che, anche brillando di luce propria, ben poco riconoscimento hanno avuto nel passare del tempo. Vi è chi li associa alla scena progressive (dove trovano oggettivamente più seguito), chi in quella indie. La verità è che è davvero difficile riuscire a dare un’etichetta al complesso americano in grado, nel tempo, di costruire un sound più unico che raro.
Noti per l’epopea del “Dear Hunter”, protagonista di una serie di cinque concept album che, legati tra di loro, formano lo zoccolo duro (e probabilmente più qualitativamente elevato della loro produzione) i The Dear Hunter durante la loro carriera hanno mostrato non soltanto di saper fare musica in modo estremamente personale ma, soprattutto, di essere in grado di assorbire come una spugna qualunque genere musicali per poi masticarlo, digerirlo e risputarlo fuori in una forma totalmente nuova.
Di fatto, uno degli elementi più atipici del complesso di Casey Crescenzo è quell’ecletticismo in grado di fondere, in modo terribilmente coeso e naturale, le sonorità più disparate
Dal Jazz a scampoli di classica, dall’hard rock al pop passando per il folk e così via in un tracciato distinto da una musica variopinta più che mai e, soprattutto, dal grande impatto comunicativo.
Di fatto, subito dopo l’ecletticismo precedentemente citato, l’elemento di forza dei The Dear Hunter è proprio in quella capacità di storytelling più unica che rara che sempre meno artisti del panorama contemporaneo sembrano in grado di padroneggiare con così tanta dimestichezza. La narrazione delle loro storie si lega a fil di ferro con le sonorità proposte. Le tematiche e le musicalità si intrecciando divenendo serve l’una dell’altro, riuscendo a portare la loro musica ad un livello di espressività quasi pittorica.
Affezionati profondamente, come si è capito, alla forma del concept album, nelle storie dei The Dear Hunter vengono costruiti e impressi i personaggi più variopinti. Da un padre soldato ad un fratellastro gemello morto al fronte, da una prostituta che funge da oggetto di un amore catulliano allo strozzino della città che, in combutta con il prete, sta li a fungere da antagonista in una storia che affonda le radici in profondità nelle intemperie della vita, dipingendo la natura umana in modo grottesco, quasi caricaturiale e, allo stesso tempo, tremendamente efficace.
Il prodotto finale porta con sé una musica estremamente espressiva ma non per questo banale. Le armonie estremamente ricercate associate con arrangiamenti curati al dettaglio, senza trascendere in inutili barocchismi, ci mettono di fronte ad un prodotto musicale che mette in mostra la maestria del suo ideatore riuscendo a rimanere, allo stesso tempo, estremamente fruibile.
Il potenziale di orecchiabilità di quanto proposto dai The Dear Hunter, infatti, è infinito
I pezzi scorrono con naturalezza in una forma estremamente godibile, senza stancare perdendosi in virtuosismi non necessari, senza spiazzare se non nell’emotività e nella profondità musicale dell’offerta presentata.
Con i The Dear Hunter, di fatto, ci ritroviamo di fronte ad uno di quei rari casi in cui la maestria musicale e il virtuosismo vanno a fondersi con l’orecchiabilità. La capacità estrema non diviene terreno per un circo, per l’esposizione tecnica ma, anzi, funge da serva per una narrazione che, volendo arrivare nel modo più diretto possibile, conserva quella naturalezza tipica di una favola per bambini, senza andare però a tradirne la profondità.
Con una proposta qualitativamente sempre in crescendo da Act I a Act V (probabilmente momento più alto della loro carriera), i The Dear Hunter sono stati in grado di porre sul piatto non solo un’offerta musicale singolare, estremamente personale e unica ma, soprattutto, alla portata di tutti. Ed è proprio questo, senza ombra di dubbio, l’elemento in grado di renderli un progetto meritevole di ben altro spicco e rilievo.
I The Dear Hunter, con la loro musica, dimostrano come un raffinato padroneggiare dell’arte musicale possa lavorare in sintonia, anzi, armonia, con la fruibilità
Musica complessa, si, ma per tutti. Così l’ascoltatore potrà perdersi tra linee vocali teatrali e da brivido, arrangiamenti orchestrali, rock, folk e atmosfere da cinema anni 20 senza però sentirsi spiazzato ma, anzi, entrando a far parte a tutti gli effetti della storia.
Insomma, la musica dei The Dear Hunter per essere compresa va ascoltata, vissuta, “vista” con i propri occhi (e orecchie). Le parole non bastano per descriverne i colori, le sfumature, le potenzialità. Ma insomma, sono sicuro che voi tutti un Caravaggio preferireste vederlo dal vivo più che sentirlo dalle parole di uno sconosciuto, giusto?
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