Flowers of Evil: orecchiabile, vintage e sofisticato nuovo album per gli Ulver

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Flowers of Evil è il tredicesimo album degli Ulver, fra le band metal più controverse e prolifiche del panorama nordico, in uscita il 28 agosto per TheOrchard

Nell’intera storia del rock, gli Ulver – parto della mente e del talento creativo di Krystoffer Rygg – sono in assoluto il complesso che ha conosciuto la parabola più imprevedibile e schizofrenica. Pochi altri gruppi hanno saputo muoversi all’interno di uno spettro di generi altrettanto ampio, e certamente nessuno lo ha fatto partendo da una nicchia musicale dalla mentalità altrettanto “purista” qual è il black metal (genere di cui hanno peraltro registrato due capolavori).

Alla fine degli anni ’90 fu anzi proprio lamentando le ristrettezze della cultura musicale a cui aveva contribuito che Rygg decise di staccarsene per esplorare territori totalmente nuovi, al crocevia tra elettronica, avanguardia e ambient, ma con la capacità di incorporare elementi dal rock e persino dal jazz. Una ricchezza mai enciclopedica che ha avuto il merito di far avvicinare gli ascoltatori di musiche agli antipodi a generi che avrebbero altrimenti ignorato.

Ogni nuovo album – per un totale di dodici, incluso il presente (ma i conteggi variano in base a quali pubblicazioni consideriamo “album” e quali no) – segnava puntualmente un momento di sperimentazione di nuovi linguaggi e rappresentava un punto interrogativo per pubblico e critica, nonché motivo di alienazione di vecchi fan e conquista di nuovi.

Con l’uscita di The Assassination of Julius Caesar (2017) la compagine norvegese decideva infine di mettere da parte le sperimentazioni più ardite e cimentarsi con una modalità più riconoscibile di canzone, con uso massiccio di tastiere e strumentazione elettronica. Il risultato era un album di synth-pop di tutto rispetto, che della vecchia musica conservava solo l’umore malinconico e una certa solennità di toni.

Con Flowers of Evil gli Ulver decidono consapevolmente di rimanere all’interno di questa zona di comfort. La pubblicazione del nuovo lavoro segue l’uscita di tre singoli (Russian Doll, Little Boy, Nostalgia), dai quali risultava già evidente, per una volta, che il nuovo album si sarebbe presentato al pubblico senza traumi. Il primo di essi, Russian Doll, si ispirava a Lilja 4-ever, un film di Lukas Moodysson del 2002 sulla tratta di esseri umani nel Baltico e si accompagnava a un videoclip in cui una ballerina eseguiva la propria coreografia indossando la maglietta di Bergtatt, il primo LP del gruppo. Un particolare che creava un interessante contrasto con la musica, omaggiando il loro passato black metal e forse schernendo quei fan che ancora oggi mal digeriscono la trasformazione del gruppo.

In uno dei comunicati stampa successivi Rygg avrebbe affermato di aver tratto ispirazione per quest’album dal parco di Bomarzo, in provincia di Viterbo, con le sue architetture gotiche e bestie misteriose (incluso un lupo, caso vuole) e con la natura che sembra gradualmente reimpossessarsi delle sue creature.

Questo bosco sacro […] rivela la visione da incubo di Vicino Orsini, un aristocratico del sedicesimo secolo. È una foresta di simboli, che suggerisce una civiltà invasa da bestie, demoni e mostri del mondo primordiale. Poco dopo la morte di Orsini, gli alberi iniziarono ad avvicinarsi a questi esseri peculiari e il muschio verde con il tempo li avrebbe catturati. Lentamente, la natura ha finito ciò che egli aveva iniziato.

Difficile dire se è davvero l’atmosfera di Bomarzo ad aver informato la scrittura dell’album, o la loro pregressa propensione per certi toni crepuscolari a rendere l’immaginario di Bomarzo particolarmente attraente. Come che sia, anche in questo, Flowers of Evil costituisce un figlio più che legittimo del lavoro del 2017.

E anzi, con Flowers of Evil la direzione intrapresa con il lavoro precedente viene portata a compimento

Gli otto brani del disco formano un tutto di grande maturità e compattezza. I pezzi sono brillanti, pressoché senza eccezioni, aiutati dalla voce monocorde ma evocativa di Rygg, che sembra aver trovato in questo songwriting più accattivante nuove potenzialità espressive. Alcuni dei brani non inclusi tra i singoli risultano persino più incisivi, in particolare A Little Dance, Machine Guns and Peacock Feathers e Apocalypse 1993, accomunati da un incalzante groove dal sapore “urbano”, un umore vintage e un pizzico di “dance craze” che non guasta.

I tre singoli si distinguono da questo punto di vista per un tono più pacato, specialmente il funk melodico di Nostalgia, benché lontano dai toni meditativi del passato. Completano l’ottetto Hour of the Wolf, che a dispetto del titolo è forse il brano meno riuscito dell’album (quando si dice trovare il pelo nell’uovo), e l’eccellente brano di chiusura A Thousand Cuts, che aggiunge un tocco di dramma a un lavoro che sembra talvolta sul punto di preferire le soluzioni più ritmiche a quelle più melodiche.

Flowers of Evil: orecchiabile, vintage e sofisticato nuovo album per gli Ulver 1

Possiamo ben anticipare le critiche: quello che un tempo era un gruppo sperimentale ha deciso di puntare su soluzioni più “commerciali”

Ma, viene da rispondere, un gruppo che ha alle spalle la storia che ha troverà il modo di condensarla anche in un album di musica (apparentemente) per il grande pubblico. La musica degli Ulver riesce a essere sofisticata anche quando strizza l’occhio alle classifiche. Flowers of Evil, con le sue canzoni perfettamente confezionate e ricche di sfumature, e pur nell’apparente semplicità delle scelte stilistiche, si candida verosimilmente come una delle migliori uscite di un’annata che non è stata certo avara di pubblicazioni di valore e di grandi ritorni.

Federico Morganti
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