Dopo il successo di Dissolution, album rilasciato nel 2018 con grande plauso della critica e del pubblico, i Pineapple Thief tornano sulle scene della musica rock e progressive con Versions of the Truth, nuovo album in uscita il 4 settembre (Kscope).
Definiti ingiustamente fin dall’inizio della loro carriera come “Porcupine Tree 2.0” nonostante un carattere ben definito e le chiari ed evidenti differenze tra i due complessi, proprio con Dissolution e l’ingresso alle pelli in pianta stabile dell’ex porcospino Gavin Harrison Bruce Soord e soci hanno assunto, due anni fa, quella veste musicale più progressiva che, mantenendo comunque le caratteristiche principali di una musica ragionata con personalità, ha mostrato la maturità di chi è sulla scena da 20anni e ormai sa perfettamente “quale sia il suo suono”. Una maturazione prog, quella di Dissolution, tardiva e, apparentemente, senza un vero e proprio seguito.
Di fatto con Versions of the Truth ci ritroviamo di fronte ad un album dove l’elemento progressive rock va a scivolare in secondo, se non in terzo piano, in favore di una “forma canzone” più classica e di atmosfere nel complesso più rilassate
Ragionando sulla verità, le sue implicazioni e le sue conseguenze nei rapporti umani tanto su un piano intimistico e autobiografico quanto più generale nella società del 21esimo secolo, i Pineapple Thief vanno alla scoperta di un sound che, non privo di novità, sembra comunque rimanere ancorato al passato di una band che ha fatto della forma canzone più intima e dell’ottima elaborazione degli arrangiamenti il suo punto forte.
Quello presentato da Bruce Soord e compagni con Versions of the Truth è un rock leggero ma allo stesso tempo raffinato, attento alle sonorità e ad una dimensione più intima e spesso minimale dell’approccio musicale. Un differente modo di intendere la musica che non può far altro che spiazzare per la sua enorme distanza dai suoi predecessori. Le atmosfere gloomy e fumose di Dissolution vanno ad incastonarsi con la capacità “intimistica” di Your Wilderness dando vita ad un album mezzano ma, comunque, dotato di una sua precisa personalità.
Diviso in due grossi tronconi, con Versions of the Truth ci ritroviamo in un viaggio che trasporta l’ascoltatore attraverso le spigolature di un rock carismatico, catchy e di impatto diluito da canzoni dal taglio minimale, profondamente intimo e atmosferico
La title track e opening Versions of the Truth ci presenta una delle due facce del nuovo album, quella più rock e carismatica, ancora memore della lezione “progressive” degli ultimi Pineapple Thief. Assieme a pezzi come Break it All, Leave Me By e Demons si costituisce la zoccolo più “duro” di un album che, nella sua prima parte, sfoga tutto il suo carisma tra ritornelli catchy e carismatici, commistioni tra suoni elettrici e acustici, passaggi intimi mescolati a centellinati riff di chitarra e sonorità più slanciate.
Lo scorrere di Versions of the Truth porta poi ad un graduale ammorbidimento incentrato sempre di più su pezzi intimi, minimali, sentiti e calibrati. Con la notturna e tormentata Driving like Maniacs i Pineapple Thief si gettano nella loro dimensione musicale più silenziosa e sommessa, immersa tra delicati suoni di piano elettrico, chitarra e cori che vanno ad intelaiarsi su di un sempre presente impeccabile groove di Gavin Harrison. Le vesti estremamente minimali di Driving Like Maniacs trovano poi seguito in Too Many Voices, un lento riflessivo ed atmosferico stranamente insipido per gli standard a cui ci hanno abituato Bruce Soord and co.
Con i 7 minuti di Our Mire si torna, per un’ultima volta, su un rock più duro, slanciato e andante ma mancante del carisma e dell’orecchiabilità dei precedenti episodi, emergendo in un pezzo “skippabile” e non all’altezza delle aspettative.
Out of Line è un’interessante ballata rock atmosferica dal clima tormentato e ipnotico, perfetta commistione tra le atmosfere di Your Wilderness e i grigiori di Dissolution dove leggeri tocchi di tastiere vanno ad intersecarsi con chitarre acustiche e voce, costituendo un pezzo dal crescendo lento e in grado di trasportare l’ascoltatore anche senza mai esplodere. Natura molto simile per Stop Making Sense e The Game, cui è affidata una conclusione dell’album impostata su toni dimessi, malinconici, grigi e tormentati.
Procedendo verso la conclusione, ciò che manca a Versions of the Truth sono dei veri e propri picchi carismatici
I pezzi, nel complesso ben studiati e ottimamente arrangiati, specie nel caso delle “ballate” sembrano mancare di quell’intensità a cui ci aveva abituato il quartetto inglese. Di quel piglio che, troppo spesso, sembra soffocato da un’eccessiva ricerca della dimensione canzone nelle sue vesti più minimali, intime e scarne. L’impronta musicale di Gavin Harrison, udibilissima in Dissolusion, sembra andare a sfumare invece in questa nuova uscita, limitata alla maestria delle sue trovate batteristiche.
Versions of the Truth è un album davvero difficile da considerare, sicuramente condito da ottime canzoni ma, in parte, mozzo. L’atmosfera gloomy e malinconica che circonda tutto l’album dà un colore ben preciso alle produzioni, costruendo un album dal sound ben riconoscibile, unico e in cui l’ascoltatore potrà facilmente immergersi. Un album dalla natura riflessiva ed estremamente lenta, che non ricerca impegno e pretenziosità ma si prende il suo estremamente dilatato tempo per giungere alla fine dicendo tutto ciò di cui aveva bisogno. E proprio questa lentezza, questa “minimalizzante” visione delle canzoni esasperata sul finale è ciò che impedisce a Versions of the Truth di spiccare il volo, cadendo nel ripetitivo e dando l’idea di non aver sfruttato al 100% tutto il potenziale a sua disposizione.
Nonostante ciò anche stavolta i Pineapple Thief sono riusciti a esibirsi in un ottimo episodio musicale e dal grande potenziale comunicativo che, anche se al di sotto dei predecessori e non privo di difetti, riuscirà a far affezionare i suoi ascoltatori più attenti con la sua veste intima, sincera e genuina.
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