È stato rilasciato il 24 settembre il nuovo progetto discografico di Carmen Consoli. Volevo fare la rockstar ci riconsegna una cantantessa più in forma che mai, sia dal punto di vista autorale che musicale. Un disco che guarda al passato ma è proiettato verso il futuro. Un album intimo e privato, ma da grande attenzione alla “cosa pubblica”.
Aspettare Carmen Consoli ne vale sempre la pena, per quello che ha da dire e per come riesce a farlo. A sei anni di distanza da L’abitudine di tornare, la musica italiana ritrova la sua cantantessa in perfetta forma artistica con Volevo fare la rockstar.
Una delle voci più originali ed autentiche degli ultimi 30/40 anni, ma facciamo anche 50. Una delle penne più raffinate e minuziose che esistono da sempre nel nostro panorama musicale. Carmen Consoli è una delle pochissime artiste (tra donne e uomini) che ha fatto davvero la differenza, lasciando in breve tempo un’eredità artistica di inestimabile valore.
Ascoltare un album di Carmen è una delle esperienze più significative che un essere umano possa fare nella sua vita. In Volevo fare la rockstar ho ritrovato quella cantantessa che mi aveva folgorata nel 2002 e che non ho più lasciato andare. Ha rotto il suo silenzio artistico proponendoci un disco dalle note che richiamano la sua tradizione musicale. Niente di nuovo, si potrebbe dire, ma anche niente di vecchio. Si legge solo tanta voglia di comunicare, e menomale, aggiungerei, che c’è lei.
Con quell’attenzione attenata che la rende speciale, l’intenzione di Carmen è stata proprio quella di riproporci le armonie che la contraddistinguono dal resto dei suoi colleghi e che la rendono tanto speciale quanto unica. I testi nell’album sono ruvidi, diretti, decisi, attuali. In questi c’è una voglia manifesta della Consoli di affermare il suo punto di vista sulle questioni di attualità, ma si scorge anche il suo vissuto e le sue speranze. In tutto questo è capace di restituire quel pizzico di lusso artistico che caratterizza ogni suo lavoro.
Volevo fare la rockstar aveva avuto un piccolo assaggio con la liricità di Una domenica a mare, il singolo che ha anticipato il disco. Un viaggio affascinante, pittoresco, dove le esplorazioni private sono messe a nudo per farci avvicinare ad un evento d’attualità così doloroso come gli incendi estivi nella sua Sicilia.
Sta succedendo è la prima traccia del disco che, con una melodia festosa, ci racconta la storia di un amore che ha bisogno di istinto, di coraggio per stravolgere la quotidianità e superare ogni limite perché “sporgersi è un dovere a volte necessario”. Ne L’Aquilone ci racconta la storia di un ragazzo che a messo da parte i sogni per ingannare il tempo, ma questi sogni, prima o poi, ritornano a farsi avanti come se non se ne fossero mai andati. Meravigliosi gli archi nel finale, da pelle d’oca.
Mago Magone è senza dubbio il brano più ironico e critico dell’album. Carmen scopre le carte ed usa metafore come mago, amanti, carro, giustizia, fortuna, luna, stelle, diavolo per pungolare politici ed imprenditori che fanno promesse a sbafo e fanno leva sulle debolezze e le paure delle persone perché “a premere tasti dolenti è un campione, sforna un copione per ogni occasione”.
Segue poi una lettera emozionante al figlio Carlo in Le cose di sempre, in cui la cantantessa gli spiega il valore delle cose, il rispetto della natura e all’essere umano. “Insegnarti a rispettare le idee, le debolezze altrui, le piante e le zanzare” è un lavoro arduo in una società assediata dal sovranismo e che si sta sgretolando via via sempre di più. Ho amato la scelta di usare una musica anni Cinquanta dal sapore retrò.
L’uccisione del generale Soleimani, Babbo Natale che non arriva a portare i doni ai bambini africani e che “illustri shamani” sostengono che “l’effetto serra è una superstizione da scienziati” sono tutti argomenti presenti in Qualcosa di me che non ti aspetti, un brano dai ritmi solari che racchiude in sé l’invito a guardarsi attorno, con la speranza di autoanalizzarsi e coltivare l’empatia che ci sta sfuggendo di mano.
Sarà perché ho perso mio padre da poche settimane, ma mi sono ritrovata tantissimo in Armonie numeriche, brano che Carmen dedica a papà Peppe e che è stato scritto dopo un sogno in cui “sei venuto a salutarmi” con il “sorriso di sempre”. Un uomo buono dalla schiena dritta, che le raccomanda “impegno e coerenza” altrimenti il talento non è altro che una “bella promessa”. Meravigliosi i versi in cui ricorda gli ultimi giorni insieme, quando “ridevo per non piangere”. Che bella canzone in stile prog.
Imparare dagli alberi a camminare fa riferimento alla natura. Una favola moderna scritta durante il lockdown ed è stato proprio questo brano l’artefice di Volevo fare la rockstar. La canzone è un inno nell’affrontare e superare le paure e poi “ricominciare, imparare dagli alberi a camminare”.
La retorica fascista viene sventrata in L’uomo nero il cui testo profondamente ironico e sarcastico cela paure sul ritorno di un mondo buio hitleriano in chiave rockeggiante. “Oh mein Führer è il momento / di tornare dall’inferno / nessun libero dissenso…/ sono il vostro condottiero/grazie al cielo un uomo vero”. Nessuno come Carmen Consoli riesce a prendere in giro e a denunciare nello stesso tempo gli eventi che ci circondano, simulando la rabbia con la giocosità.
A chiudere l’album è Volevo fare la rockstar, la titletrack non è altro che una narrazione agrodolce collettiva dei sentimenti e della storia di questo Paese. Con enorme intensità, mette in musica la critica sociale attraverso il racconto della sua infanzia: da quando era sui banchi di scuola – “l’ultima ora sembrava un treno Catania – Trieste” – a quando passava le domeniche in famiglia, fino a quando nutriva quella voglia di “fare la rockstar” e “andare in America” mentre il tavolo della cucina “era un palco perfetto” per esercitarsi. E’ in questo contesto strettamente privato che la mafia spargeva sangue nelle strade di Catania, che l’Italia vinceva i mondiali e che il terremoto dell’Irpinia metteva in ginocchio una popolazione intera.
E’ incredibile come Carmen Consoli, in sole 10 canzoni, sia riuscita a fotografare l’Italia e gli italiani. E’ stata maestra nel ripercorrere la sua storia personale, raccontando momenti della sua infanzia e sogni d’adolescente, finendo per descrivere i giorni di oggi dove è una mamma che teme per il futuro del figlio che si trova a camminare in una società incivile, ed è pronta a denunciare le incongruenze della nostra società.
Volevo fare la rockstar è un album intimo ma anche politico, coerente e stratificato, letterale e musicale. E’ letteralmente l’unione perfetta tra la “cosa pubblica” ed il privato più stretto dove l’eccellenza della penna si sposa con i suoni che si allontanano totalmente dalla sinteticità musicale di cui siamo stati abituati in questi anni. Il suo è un rock autorale raffinato, tra echi che viaggiano tra il passato ed il presente, dove la chitarra acustica ha un potenziale enorme.
Il disco è un marchio di fabbrica di Carmen Consoli, un lavoro completo sia dal punto di vista musicale che testuale, un album dai toni seppia che rimarrà indelebile nella storia della musica italiana.
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