La provincia vicentina è differente dal resto della pianura padana. Innanzitutto, le origini dei nomi dei luoghi non si fanno risalire a toponimi romani, bensì cimbri – misteriosa popolazione di origine germanica insediatasi in quella pianura, punteggiata di boschetti e percorsa da torrenti placidi. Anatre, rane, caprioli. Palladio, il famoso architetto rinascimentale, lavorò nella zona, lasciandovi alcune fra le più famose ville. Quel paesino a nord di Vicenza, però, ad ora è ricordato per un altro motivo: a Caldogno, nel 1967, sesto degli otto figli di Florindo Baggio e Matilde Rizzotto, è nato Roberto Baggio – per tutti, ormai, il Divin Codino.
Nel film di Letizia Lamartire Roby Baggio è interpretato da Andrea Arcangeli, noto principalmente per lo spin-off de Il Primo Re (ugualmente di Matteo Rovere), Romulus, di cui è protagonista. Il padre Florindo, figura fondamentale per la formazione del Divin Codino, è Andrea Pennacchi: proprio lui, “Il Poiana” di Propaganda Live, eccezionale attore padovano poco noto al grande pubblico. Altri personaggi rilevanti sono la moglie, e compagna di una vita, Andreina, interpretata da Valentina Bellè, ed il mentore spirituale nel buddismo, Maurizio, Riccardo Goretti. Produttore della pellicola è Marco de Angelis, detentore di Fabula Pictures. Dunque, un lavoro tutto italiano, con attori prestati al cinema provenienti principalmente da un sottobosco – quello della fiction – che fin troppo raramente riserva ottime scoperte.
Non è questo il caso de Il Divin Codino. Parliamo di un film a tuttotondo, che riesce nell’intento laddove molti altri film sportivi – grandi esempi esteri: Borg McEnroe, lo scanzonato documentario su Totti (Volevo morì prima!), Rush, per citarne solo alcuni in modo totalmente randomico – hanno fallito. Dipinge infatti la storia di un uomo, la sua rivalsa – ma una rivalsa possibile, realistica, non mitologica: non siamo di fronte ad un eroe, ma ad un uomo: dalla personalità scomoda, quadrata, che decide di vivere seguendo le proprie personalissime regole e di non piegarsi di fronte a coloro che, in realtà, come eroi del calcio vengono dipinti: Arrigo Sacchi (Antonio Zavatteri) e Giovanni Trapattoni. Anima affine, invece, è il ribelle e sopra le righe Carletto Mazzoni (Martufello!) sotto la cui direzione, negli anni al Brescia, Baggio spererà di poter partecipare all’ultimo mondiale della sua carriera.
Come ho già detto, le premesse riguardo il Divin Codino erano a dir poco pessime. Lamartire è una regista nota principalmente per aver firmato Baby 2 e Baby 3, serie tv Netflix ispirata al caso delle baby squillo romane: se la prima stagione poteva ancora godere del gusto della novità, la seconda e la terza sono risultate di scarsissima qualità e fruibilità. Qui, invece, la regista – probabilmente avendo a disposizione del materiale umano, per ciò che concerne il comparto attoriale, eccellente – dà il meglio di sé e mette a frutto una tecnica imparziale, eppure calda nei colori e nelle scelte registiche intime e mai fuori tema: Baggio viene dipinto come un uomo, e terrene e mai statuarie sono le sue rappresentazioni cinematografiche, ne Il Divin Codino.
Non gli sono riservate arditissime inquadrature da Adone, ma caldi primi piani su occhi dolenti. A ciò si unisce il delicatissimo acquarello che la regista fa del rapporto padre-figlio, caccia alle anatre sulle rive boscose di un torrente fangoso: un uomo duro, ma che ha sacrificato tanto, tantissimo, della famiglia, e che ha sempre cercato di non mettere al primo posto fra gli otto quel figlio di successo – uno che il talento, sì, lui ce l’aveva davvero – e che, pur di fornirgli un motivo, per andare avanti, non lesina bugie a fin di bene.
Ugualmente intime e sofferenti sono le rappresentazioni degli infortuni – Baggio si ruppe per ben due volte il crociato – in cui l’uomo, sebbene di successo e amato da tutti, non può far a meno di abbattersi. Dunque, in questo senso, il film si avvicina più ad un Rocky Balboa e la sua epopea da uomo comune amante dei pesciolini rossi e delle tartarughine a idolo delle folle – il riscatto, che dai bassifondi americani, si sposta nella provincia veneta.
Parlando poi delle sequenze in campo, queste fanno rivivere appieno un calcio quasi dimenticato: i calzettoni abbassati del divin codino, la positività per un’Italia che ancora puntata in alto – Sacchi, Trapattoni, checché se ne dica, innovatori e geniali strateghi che hanno plasmato il calcio moderno. Lontano anni luce dalle polemiche sulla Super Lega.
Siamo dunque di fronte ad un’ottima sceneggiatura, ben calibrata e priva di tempi morti, che fa sì che il protagonista renda al meglio nei panni dell’intransigente Roberto Baggio, colui che, a sua volta, “rende al meglio quando tutti gli passano la palla per segnare”. Uno che, forse, al servizio della squadra, non è geneticamente programmato per esserci.
Roberto Baggio è un personaggio amatissimo tuttora: il toccante finale de Il Divin Codino, e l’uscita stessa del film, non potranno che rinvigorire questo sentimento.
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