Marlon Brando, la storia del più grande Bad Boy del cinema

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Marlon Brando è riconosciuto universalmente come la più grande star di Hollywood, divenuto leggenda vivente per immagine e bravura. E’ stato il più grande fenomeno divistico e artistico della storia del cinema

Marlon Brando

Marlon Brando è sempre lui..” cantava il rocker italiano Ligabue, nell’omonimo brano dedicato al divo holliwoodiano.
Il 3 aprile 1924, nasceva una delle icone dello star – system mondiale, Marlon Brando, celebre protagonista di pellicole come Fronte del Porto, Il Padrino e Ultimo Tango a Parigi, iconico volto del cinema dalla carriera travagliata tra alti e bassi, tra Oscar ricevuti e altri non ritirati.

Autore Dotato di grande forza espressiva e della capacità di infondere a ogni personaggio qualcosa di personale, l’attore impone nella metà degli anni ’50 il nuovo sistema di recitazione dell’Actor’s Studios, basato sul rivoluzionario “metodo Stanislavskij“.

Marlon Brando: Una Infanzia Segnante

Marlon Brando è l’ultimo dei tre figli di Dorothy Pennebaker, attrice dilettante, e del commerciante Marlon Brandon Sr. La sua infanzia è segnata dall’alcolismo e dall’irresponsabilità dei genitori. Gli unici affetti su cui il piccolo può contare sono le due sorelle Jocelyn e FrancineI genitori ebbero un impatto molto negativo su di lui; il padre era molto violento sia con lui sia con la madre, facendo crescere nel piccolo Brando un senso fortissimo di insicurezza e un complesso di inferiorità che nonostante la fama lo accompagnò tutta la vita.

La madre, dal canto suo, abusava d’alcool. Un rapporto tormentato dunque, tanto che Marlon Brando confessò in più interviste di come la paura di essere abbandonato abbia poi influito in maniera molto negativa sulla sua vita sentimentale di uomo adulto, portandolo a distruggere le relazioni prima ancora che iniziassero, proprio per la paura di uscirne ferito e/o solo.

La Recitazione Come Unica Via Di Scampo

Sin dalla prima adolescenza Marlon Brando coltivava il sacro fuoco dell’arte dilettandosi come mimo nel suo liceo, con una forte propensione nei confronti dei versi degli animali. Ma il carattere ribelle – retaggio dell’oscura vita domestica – oscurò questo suo talento facendo prevalere l’animo da bullo. Fu cacciato dal liceo dopo aver percorso il corridoio in motocicletta e iscritto in una scuola militare. Nonostante il clima di regime, ci fu incontro fortunato per lui; che come spesso accade assume le fattezze di un insegnante. Il suo nome era Earle Wagner e fu il primo a riconoscere il potenziale artistico di Marlon, spingendolo a studiare recitazione. Ma la condotta di Marlon continuava a stridere con l’atmosfera reazionaria dell’accademia militare dalla quale fu alla fine espulso, a diciannove anni.

Spinto dall’incoraggiamento del suo professore e dall’ennesimo rifiuto in una scuola militare, Brando si trasferì a New York dove emerge la sua passione per la recitazione, frequentando un corso di arte drammatica. Successivamente si iscriverà all’Actor’s Studios, sotto la guida di Elia Kaza. e Stella Adler, che gli insegnarono il celebre metodo Stanislavskij. La famosa tecnica di recitazione basata sull’approfondimento psicologico del personaggio, al fine di ricercare affinità emotive tra il mondo interiore del personaggio e quello dell’attore. Il passato difficile di Marlon Brando si trasformò in un terreno di lavoro davvero fertile.

Lo Stravolgimento del metodo Stanislavskij

“Comprendere il pieno significato della vita è il dovere dell’attore, interpretarlo è il suo problema ed esprimerlo è la sua passione”.

Con queste parole Marlon Brando riassumeva il suo nuovo approccio al metodo di recitazione che pretende dall’interprete l’empatia con il mondo psicologico del personaggio. Gli attori fino agli anni cinquanta erano abituati a lavorare per conto proprio, e solo in seconda battuta con gli altri, quindi non erano nemmeno avvezzi a portare avanti un lavoro d’insieme, un lavoro “d’ensemble”. Le compagnie di repertorio non conoscevano questo tipo di prassi, mentre nel teatro di Stanislavskij si faceva un percorso del genere.

Da lui, gli attori impararono ad esprimersi non soltanto con la voce e il gesto, ma con tutto il loro essere, a entrare nel personaggio e a riprodurne gli schemi psicologici; alla fine ne uscivano dei personaggi che non sembravano attori, ma persone reali. In tutti gli attori c’era della vita che li distingueva gli uni dagli altri, secondo i personaggi che interpretavano.

A questo approccio Marlon Brando aggiunse anche del suo, puntando anche sulla preparazione fisica alla parte; ad esempio, nella commedia di Broadway Truckline Cafe, il personaggio di Brando doveva apparire in scena emergendo da un lago ghiacciato. Ogni sera, per prepararsi alla scena, Brando faceva degli esercizi fisici fino a restare senza fiato, dopodiché la sua assistente gli gettava un secchio d’acqua ghiacciata sulla testa così da ricreare realmente la sensazione fisica dell’emersione dalle acque ghiacciate.

Un successo in Up & Down, tra film cult e flop

Il successo vero e proprio arriva nel 1947 quando interpreta Stanley Kowalski, protagonista del famoso dramma di Tennessee Williams “Un tram che si chiama desiderio“. Nel suo primo film, “Uomini” (1950) di Fred Zinnemann, per il ruolo di un reduce di guerra paraplegico si chiude per un mese in un ospedale a studiare il comportamento delle persone disabili. La pellicola non piace, ma l’attore affascina grazie alla sua capacità di immedesimazione e alla forza espressiva supportata da un carismatico magnetismo.

Il successo al cinema arriva però con lo stesso titolo che lo aveva fatto emergere a Broadway: “Un tram che si chiama desiderio” (1951). Diretto da Elia Kazan e affiancato da Vivien Leigh, Marlon colpisce per la sua bellezza rude, che tuttavia ha in sé qualcosa di fragile, inoltre il suo personaggio ribelle e sensibile conquista soprattutto il pubblico femminile, trasformandolo in un vero e proprio sex symbol. Seguono a questo trionfo altri titoli tra cui: “Viva Zapata!” (1952), sempre di Elia Kazan; “Giulio Cesare” (1953) di Joseph L. Mankiewicz in cui interpreta Marco Antonio, “Il selvaggio” (1954) diretto da László Benedek che lo rende icona (al pari di James Dean) di una gioventù sbandata, alla deriva, e “Desirèe” (1954).

Con “Fronte del Porto” (1954), ancora diretto da Elia Kazan, ottiene l’Oscar come Miglior Attore e un uguale riconoscimento al Festival di Cannes. Ancora un successo è il musical “Bulli e Pupe” (1955), al quale seguono titoli minori dove però Marlon riesce sempre a spiccare per le sue qualità interpretative.

Grazie a questa fama anche il suo carattere già irascibile mutò in manie di mitismo, come quella che lo indusse a rifiutare una richiesta da parte di Rossellini e infastidì Gillo Pontecorvo durante le riprese del film “Queimada” (1969) e molti registi e produttori iniziano a evitarlo proprio per la personalità capricciosa e per l’impossibilità di lavorare serenamente in un set in cui lui è presente.

Marlon Brando


Gli anni Settanta furono gli anni d’oro invece; lo rendono definitivamente leggenda con tre personaggi emblematici non solo per la sua carriera, ma per tutta la storia del cinema: Don Vito Corleone nel film “Il Padrino” (1972) di Francis Ford CoppolaPaul in “Ultimo tango a Parigi” (1972) di Bernardo Bertolucci e il colonnello Kurtz in “Apocalypse Now” (1979) sempre di Francis Ford Coppola. Per entrare nella parte del capomafia Vito Corleone, icona riuscita del sistema mafioso, Brando trasforma il suo volto: si pettina con la brillantina, imbottisce le guance di Kleenex e entra perfettamente nel personaggio. Per la sua bravura ottiene un secondo Oscar che, per protesta contro gli USA a favore della causa degli indiani, fa ritirare da una giovane Apache.

Marlon Brando


Personaggio carismatico è anche Paul di Bertolucci: un ex pugile depressoche, dopo il suicidio della moglie, si incontra in un appartamento sfitto di Parigi con una ragazza francese con la quale soddisfa tutte le sue fantasie erotiche. Il film costa a Brando e a Maria Schneider una denuncia in Italia per concorso in spettacolo osceno. Nonostante ciò l’attore ottiene un’altra candidatura all’Oscar.

Nel 2013 questo film torna alla ribalta delle cronache per una affermazione dell’attrice che dice di non essere stata messa al corrente né della scena di sesso anale né dell’uso del burro. Marlon Brando e Bertolucci lo decisero il mattino, a colazione, mentre Brando stava spalmando del burro sul pane: pensarono che si, il burro poteva essere un’ottima idea da usare come lubrificante per la cena della violenza anale.

Lo afferma Bertolucci stesso in un’ intervista rilasciata nel 2013 portando di nuovo alla ribalta il retroscena del film.Voleva non una finzione ma la realtà: “La sua reazione come ragazza e non come attrice”.

Marlon Brando


Con il Colonnello Kurtz, Brando raggiunge l’apice attraverso una piena maturità interpretativa: l’espressione del volto e il nuovo look dell’attore, sorta di divinità rasata a zero, quasi sempre ripreso in penombra, aumentano il fascino magnetico del personaggio che molto ha in comune con Marlon Brando, uomo in parte autodistruttivo, sempre avverso alla società del suo tempo. Questa è forse l’ultima magnifica prova di uno degli attori più grandi di tutti i tempi.
Gli ultimi anni della carriera di Marlon Marlonnon furono molto gloriosi. Il benestare di critica e pubblico vennero meno dopo una serie di film di bassa lega e, con la vecchiaia, Brando perse anche molto del suo proverbiale fascino. Morì nell’estate del 2004 a 80 anni.

Oscar 1973: il gran rifiuto di Brando in difesa dei nativi americani

Marlon Brando

Già vincitore di un oscar per la pellicola Fronte del Porto, dopo gli anni bui il ruolo di Vito Corleone gli conferì la nomination per l’immortalità e pure quella per l’Oscar, ma sarà il primo caso in cui la statuetta se la porta a casa il presentatore.

La notte del 27 marzo 1973 a salmodiare il the winner isper Brando – come racconta Dagospia – ci sono Roger MooreLiv Ulmann. Lui con lo smoking di 007ancora addosso, lei impigliata in una tenda verde. Quando chiamano Don Vito, al suo posto si alza una donna vestita da nativa americana, che arriva al podio sotto lo sguardo di milioni di spettatori. I presentatori escono di scena come in un carillone la giovane inizia a parlare:

Rappresento Marlon Brando, che mi ha incaricato di dirvi che non può accettare questo generoso premio a causa del trattamento oggi riservato agli indiani d’America nell’industria del cinema”.

Nella lunga lettera Brando arriva al punto in cui inchioda gli Studios: i film western, dove gli indiani vengono raffigurati come bestie, dove il vinto viene condannato al ruolo del mostro della favola, mentre il vincitore ha rubato l’abito da principe azzurro. Così il furto subito dai nativi diventa ancora più grottesco, la truffa viene mitizzata da Hollywood, condannando le generazioni future a vivere e soffrire nella menzogna:

Quando i bambini indiani guardano la televisione, e guardano i film, e quando vedono la loro razza raffigurata come è nei film, le loro menti si feriscono in modi che non possiamo immaginare”. 

Marlon Brando rifiuta così il premio Oscar, segnando la fine delle deleghe di ritiro non previamente filtrate, aggiungendo mito al mito del Padrino e un altro contro-capitolo alla lunga storia fatta dai vincitori.

(Questo articolo è già comparso su Inside Music Italia a firma della stessa autrice)

Fabiana Criscuolo
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