“I social network danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”.
Umberto Eco
Quando Umberto Eco pronunciò queste parole in una lectio magistralis tenuta all’università di Torino, nel giugno del 2015, non tutti seppero capirne il reale significato. Per noi oggi non avere social media equivale come a non possedere un mezzo fondamentale.
Tramite i social ci esprimiamo in maniera costante, libera e molto spesso fasulla e infondata.
Per esprimere meglio questo concetto i cosiddetti “imbecilli” di Eco non sono altro che tuttologi affermati, o meglio, persone che hanno conoscenze e competenze in tutti i campi dello scibile umano e persino in quelli in cui la scienza, per ora, sospende il giudizio. Combattono muniti di arroganza e presunzione nella loro postazione preferita: la sezione commenti.
Sviluppando quasi una dipendenza compulsiva da tastiera.
Non sventolano una bandiera politica precisa, né sono accomunati da uno specifico grado di istruzione. Il loro è un atteggiamento che manca di senso critico, guidato dall’emozione e dall’indignazione: ha una natura magnetica, perché nascendo e facendo leva sul sentimento, riesce ad attirare una grande quantità di persone che vogliono sfogare le loro frustrazioni.
Prima dell’avvento dei social media tutto questo, non poteva di certo avvenire. In primo luogo, come dice Eco, questi venivano immediatamente messi a tacere dagli altri e infine, la comunicazione era veicolata dai soli giornalisti, editori, scrittori attraverso libri e quotidiani nazionali.
Un esempio plateale è proprio il nostro attuale momento storico, in cui l’umanità per la prima volta (in epoca digitale) si è ritrovata a dover fronteggiare un virus del tutto nuovo dal nome scientifico, Sars Covid-19 normalmente conosciuto come “Coronavirus”: una piaga importante che da un anno a questa parte, sta mettendo a repentaglio le vite di tutto il mondo.
Nonostante questo, sui social c’è chi si appresta a commenti di natura medica, da esperto in virologia e nelle più alte conoscenze scientifiche e chi perfino convinto complottista, giunge a conclusioni negazioniste, esortando il prossimo a evitare le misure precauzionali anti contagio stabilite. In ogni caso, il motto è sempre il medesimo: “siamo in democrazia, dico ciò che voglio”.
Il decadentismo comunicativo, ha portato oggi non solo a esprimere in maniera errata ciò che si pensa, ma a esprimerlo solo e unicamente tramite i social. E’ raro oggi vedere persone che dialogano tra loro e si interrogano sui problemi e dinamicità della vita, e su ciò che accade intorno al mondo.
E’ tutto così veloce (o come si suon dire “smart”), tant’è che le emoticon parlano al posto delle emozioni, i like indicano ciò che ci piace o non, le chat su Messenger sono le nuove lettere e le videochiamate su WhatsApp le nuove telefonate.
Forse, come dice Umberto Eco dovremmo tornare a raccontarci e a raccontare. Per vivere e scoprire non una, non solo la nostra ma bensì tante vite. Perché ognuno di noi è portatore di storia, di bagagli più o meno faticosi da trasportare.
«Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 50 0 0 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro»
Umberto Eco
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