Se guardando un dipinto vi rendete conto di essere catturati e quasi ipnotizzati dalla luce che si infrange su dei paesaggi nordici, allora state ammirando un lavoro di Rockwell Kent
Rockwell Kent è stato un pittore americano nato sul finire dell’800 nello Stato di New York. La sua vocazione pittorica e il suo spirito avventuriero, però, lo portano fin da giovanissimo ad intraprendere viaggi lunghi e faticosi nelle zone più fredde della Terra: l’Alaska, la Groenlandia e la Terra del Fuoco. I paesaggi che ne derivano sembrano provenire da un altro pianeta, luoghi all’epoca poco esplorati e soprattutto poco visitabili; grazie a Kent affascinano la critica e il pubblico dell’epoca.
I colori acidi rispecchiano i toni molto luminosi di quei paesaggi freddi e desolati. La natura è la vera protagonista in queste scene, in grado di indurci in un silenzio di religiosa ammirazione. Guardando i cieli di Kent, ci si rende conto di come il suo stile possa essere stato influenzato da altri grandi artisti dell’800 come John Constable e David Friedrich, entrambi molto appassionati al tema del paesaggio seppur letto in chiave molto diversa.
La svolta come illustratore di libri
Un libro come Moby Dick rimane, ancora oggi, uno dei racconti più travolgenti nella storia della letteratura americana e altrettanto coinvolgenti e appassionanti sono le illustrazioni che Rockwell Kent realizza alla fine degli anni ’20, per il capolavoro di Melville. I disegni che realizzò furono talmente tanto apprezzati dal pubblico, da portarlo al successo come illustratore.
I disegni a china e inchiostro furono fotomeccanicamente riprodotti per la prima edizione illustrata in tre volumi del 1930. Il contesto spaziale in cui Kent inserisce le figure, è quello di un Oceano che ha visto, che ha solcato e conosciuto lungo i suoi lunghi viaggi. Il nero dell’inchiostro, contrastando con il bianco, rivela al lettore dei giochi di luce ed ombre che conferiscono alle figure un grande spessore psicologico e che restituiscono la tensione emotiva che il romanzo suscita.
La ricerca ossessiva della Balena Bianca e la paura che l’incontro ravvicinato con questa creatura mastodontica causerebbe, vengono incalzate nel racconto dalle sintetiche ma efficaci illustrazioni di Kent. L’immagine minacciosa dell’animale marino viene contrastata, però, da una raffigurazione elegante, in grado di metterne in evidenza la bellezza naturale e il fascino.
Moby Dick, l’uomo in lotta con la natura
Moby Dick, che come romanzo esce nel 1851, è l’antesignano della grande epopea americana. In questo libro, Herman Melville rappresenta i due estremi in perenne contrasto fra loro: da una parte l’uomo, portatore di civiltà e progresso, dall’altra la natura, selvaggia e incontrollabile. Prima che i padri degli Stati Uniti, i discendenti dei primi coloni europei, scoprissero l’odio per i nativi americani, il vero nemico erano i boschi, che intralciavano la costruzione di una nuova strada, i dirupi, da ricucire con un ponte, e le montagne, da penetrare per far sì che la locomotiva proseguisse la sua folle corsa senza intoppo alcuno.
Una mania di onnipotenza contagia chi sa di poter piegare ogni elemento di questo vasto mondo. Ti senti Dio e agisci come Dio. Melville, però, punisce tanta sfacciata superbia e lo fa spostando la lotta per l’affermazione dell’uomo laddove l’uomo è libero, sì, ma anche più solo. Il mare è pieno di insidie e, in un certo senso, è lo specchio dell’uomo: non crederete mica che ci si affacci da una barca solo per contemplare la nostra immagine, vero? È un richiamo, quello dell’immensa distesa d’acqua, un richiamo a cui non ci si può negare. Lo sguardo trapassa la superficie e si perde nelle profondità abissali immaginando nuovi mondi da conquistare e luoghi da esplorare.
Ma come dentro di noi si annidano spettri che preferiamo non incontrare, così sul fondo delle conche oceaniche vagano mostri da non disturbare. Moby Dick, la Balena Bianca, che in realtà appartiene alla famiglia dei capodogli, è uno di questi. Ci penserà il capitano Achab, il comandante del Pequod, una baleniera memore di tante avventure, ad infrangere il patto con la natura una volta di più. E lo farà accanendosi con incredibile foga contro l’essere che oramai è diventato l’acerrimo nemico, la creatura degli abissi che, durante il primo incontro tanti anni prima, gli strappò una gamba, concedendogli di vivere, ma lasciandolo mutilo, nel corpo e nell’orgoglio.
La caccia a Moby Dick è per Achab l’unica ragione di esistere. È vendetta, certo, ma anche sfida, la sfida dell’uomo che, nella sua piccolezza, si sente più grande del mondo. Ma è anche un appuntamento, un appuntamento a cui Achab sa di non poter mancare. Segue con insistenza il suo nemico, ne ricostruisce il tragitto, e la vampata schiumosa, che, a un certo punto, lacera in verticale la tranquillità del mare, è il segno che lei è lì, e ci tiene a non distanziare troppo il suo inseguitore. Il triste epilogo è noto: nel corso di una furiosa battaglia, durante la quale Moby Dick affonderà la baleniera ed annegherà l’equipaggio, ad eccezione di un ragazzo, Ismaele, che riferirà la storia, Achab resterà impigliato nel corpo della Balena Bianca, che lo trascinerà con sé nelle profondità abissali, dando finalmente pace a un’anima consumata dal rancore.
Eleonora Turli
Massimo Vitulano
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