Matrix Resurrections è il nuovo e quarto film della serie di Matrix, diretto da Lana Wachowski ed uscito il 22 dicembre 2021.
Ho sempre trovato nei reboot un che di masturbatorio. Non che sia di per sé una cosa negativa, chiaramente: il mio aggettivo ha un valore neutrale, è solamente una caratteristica. Masturbatorio fu Star Wars VII su tutti: stavolta il potentissimo Jedi è una donna, accompagnata da un nero, vari asiatici, e il cattivo è meno quadrato che in passato. Forse. Ma il continuo insistere sull’autocitazionismo – peraltro di un film uscito nel lontanissimo 1979 – ha quel nonsochè di playlist di Pornhub, o di videocassette messe in sottofondo durante un coito. Videocassette contenenti immagini della coppia stessa. Un po’ come su Trainspotting, amici miei.
Non so se l’intento originario di Lana Wachowski fosse proprio dare valore ad un coito fra due persone rispetto alla masturbazione, ma è ciò che traspare dalle due ore e mezza di Matrix Resurrections. Che, come in un Alien IV fatto ancora più male, riporta in vita i morti nel tentativo di dare una chiusura, che, in realtà, nemmeno c’è, ai loro archi narrativi.
Tutti conoscono Matrix. Il film originale degli allora fratelli Wachowski, uscì nel 1999 ed era un minestrone gustosissimo delle seguenti ispirazioni (bullet points per semplicità):
- Serial Experiment Lain, anime dell’anno precedente;
- Neuromante, romanzo di William Gibson;
- Ghost in The Shell, serie di film cyberpunk (recentemente ammesso dalle registe);
- Simulacra and Simulation, saggio del filosofo francese Jean Baudrillard;
- Varie ed eventuali
L’umanità, nel migliore dei mondi possibili, è cosciente e si muove all’interno di un’accuratissima simulazione delle macchine, che hanno preso possesso del pianeta Terra, sfruttando il calore dei corpi degli esseri come fonte di energia oltre che come materiale computazionale. Alcuni umani più percettivi e svegli degli altri si rendono conto dell’inganno, architettando complessi sistemi per costringere altri umani a risvegliarsi – pillola rossa, pillola blu. Si diffonde la leggenda riguardante l’Eletto: colui che, come Anakin Skywalker, riporterà l’equilibrio nella matrice. I principali agenti inviati a raccattare l’eletto dal suo trono di dolore di triste programmatore malpagato sono Trinity e Morpheus. L’Eletto è chiaramente Keanu Reeves, che in Matrix Resurrections non è invecchiato di un giorno – tanto da creare spesso degli inner joke nel nuovo cast. Il super cattivo del film è l’Agente Smith, un programma creato con lo scopo di combattere l’eletto (Hugo Weaving).
SPOILER
Alla fine di Matrix Revolutions, Neo negozia una pace con le macchine: sarebbe rientrato per sempre nella matrice per combattere l’agente Smith, divenuto virale. In cambio, le macchine avrebbero permesso l’esistenza di Zion. Trinity muore eroicamente, non prima di aver visto la luce del Sole, quello vero.
Matrix Resurrections: trama e sceneggiatura
Un certo numero di anni dopo, Bugs (Jessica Henwick) rintraccia Neo nella matrice, ora chiamato Thomas Anderson, divenuto uno sviluppatore di videogiochi di successo: la serie Matrix. I suoi ricordi sono confusi ma vividi, e crede siano allucinazioni e sublimazioni, credenza ben caldeggiata dal suo psicanalista (Neil Patrick Harris). Trinity, vicina ma lontana a lui, si chiama Tiffany, ed è una donna sposata che frequenta il suo stesso bar. L’agente Smith (Jonathan Groff), ora biondo, occhi azzurri ed atletico, è il CEO dell’azienda. Un bel giorno, Thomas creerà una mod di Matrix in cui è presente Morpheus, anche lui più atletico di Fishburne, interpretato da Yahya Abdul-Mateen II.
La sensazione di Fanfiction è fortissima sin dall’inizio proprio per via di tale setting: il ruolo di Trinity viene preso da Bugs e dalla sua crew di viaggiatori nella matrice. Niobe (Jada Pinkett Smith appositamente invecchiata), personaggio odioso sin dal suo concepimento, è ora a caso di Zion 2.0, chiamata Io. Come nel finale sintesi di Mass Effect 3, macchine buone sono ovunque e convivono pacificamente con gli umani, aiutandoli nella ricostruzione. Morpheus è un programma il cui avatar reale è composto da naniti.
Nel corso del film, viene rivelato che la matrice ora “prende energia” dallo sforzo compiuto da Neo e Trinity nell’essere vicini ma nel non potersi mai toccare: le loro culle – pare sia stata spesa una fortuna per riportarli in vita; fortunatamente la cosa viene lasciata come assiomatica e mai approfondita – sono posizionata una di fronte all’altra, come succede nella matrice.
Il che acuisce ancora di più la sensazione di fanfiction malfatta scritta da una adolescente innamorata e romanticona: del resto, dall’autore del melensissimo Cloud Atlas David Mitchell, autore assieme a Lana Wachowski del film, non ci si poteva aspettare un’idea troppo trascendentale.
Finirà tutto a tarallucci e vino, ca va sans dire.
Matrix Resurrections: comparto tecnico
Il citazionismo, sul piano registico e degli effetti speciali, è declinato in modo abbastanza efficace. Il superpotere dell’Analista è di muoversi nel bullet time, nella matrice, ossia in una creazione di Neo stesso; non si vedono più pallottole bloccate in diversi momenti neanche fossimo nel paradosso di Zenone, ma i deliri arguti e amari di Harris e il suo gatto nero. Gli effetti di esplosioni e altro in CGI sono chiaramente spettacolari e ben riusciti, rappresentando probabilmente l’aspetto migliore del film, ciò che lo rende godibile e piacevole a vedersi. Merito anche della presenza del vincitore di Emmy (per Breaking Bad), direttore della fotografia John Toll. C’è però da dire che da Matrix ci si aspetta qualcosa di più che da un film random di Michael Bay.
Che sia un’operazione di metacinema e una critica verso il mercato dei reboot?
Un’idea intrusiva mi si è insinuata in mente, mentre un’invecchiata Carrie Ann-Moss prendeva a calci Neil Patrick Harris. Matrix Resurrections ha tutto ciò che un film del terzo millennio deve avere: c’è il femminismo, essendo incentrato su Trinity – e la cosa ci piace, devo dire; gli attori appartengono a molteplici razze; sono presenti tutti gli orientamenti sessuali; è inclusivo perfino verso le macchine, che, se buone, sono equiparate agli umani nella società di Io. Ma dipinge come degli idioti, e lo fa con estrema chiarezza nella scena post-credit, i think thank delle major. Che siano videoludici, o cinematografici. L’idea geniale è squadra che vince non si cambia: ha funzionato con Star Wars, con Star Trek, meno con Terminator, ma i successi commerciali sono stati assicurati. I reboot vendono. Quindi perché non farne?
La quarta parete viene spesso violata, in Matrix Resurrections. Il film, di per sé, è una violazione. È una biografia di Neo, condita da flashback ambrati – smarmellati – dei precedenti film, e Anderson è un turista nei ricordi che non crede di aver vissuto. Tutto ciò ci viene mostrato sotto forma di messaggio indirizzato non a Neo, quindi con focus interno, bensì a noi – con focus esterno. Vediamo, naturalisticamente, Neo cercare di riappropriarsi della propria vita, o, cinema-speaking, della sua carriera. Di rilanciarla. Ritornando a fare ciò che ha sempre fatto: i film d’azione. Salvare il mondo. Distruggere le macchine. Amare Trinity.
Lana Wachowski è una donna intelligente. Si è dilettata nel dirigere immondizia come Jupyter Ascending e la graniticità magmatica della sceneggiatura di Cloud Atlas non era certo colpa sua. Mi rifiuto di credere che abbia consciamente, senza Easter Egg alla fine della tana del bianconiglio, un reboot fine a se stesso. Ci deve essere una spiegazione.
E, dunque, se fosse uno sputo in faccia al mercato dei reboot? Eccovi qua, Hollywood: eccovi il reboot de IL FILM fantascientifico conclusivo del secondo millennio. Ora siamo al completo, con l’operazione di resurrezione dei fantasmi. Riuniamoci tutti nella sala comune a fare colazione. E non a caso non viene granché spiegato, e, anzi, del tutto tralasciato, nei dettagli, il processo di rigenerazione di Neo e Trinity: perché non è importante. Perché è innecessario, così come i seguiti, i reboot, i remake, tutto il mungere vacche già magre e morte. Servono idee nuove. E Matrix Resurrection è l’araldo dei cliché: ci sono il femminismo, sono rappresentate tutte le minoranze, il bene vince sul male. È l’antireboot per eccellenza: così reboot da perdere l’identità originale e rimanere un simulacro, vuoto, da riempire con tutto l’inchiostro che la critica cinematografica sarà capace di sprecare per esso.
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