Low Roar, intimi e sinceri tra le note di “ross.”

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Sono sulla bocca di tutti, in particolare dei gamer, ormai dall’otto di novembre. I Low Roar, ormai da molti conosciuti come “la band di Death Stranding”, sono ritornati con “ross.”, album rilasciato proprio il giorno dell’uscita del nuovo videogioco marchiato Kojima, sotto l’egida della Tonequake Records.

Il trio Islandese si è fatto conoscere dai più per le sue musiche suggestive, intimistiche, profondamente trascinanti, ricercate e, allo stesso tempo, dalla grande impronta “malinconica”. Anche questo nuovo capitolo della band alternative/indie, chiaramente, non fa eccezione.

Sicuramente l’essersi accodati ad un fenomeno mediatico come Death Stranding non può che aver gonfiato, e notevolmente, la risonanza di un progetto musicale che, in ogni caso, già nella sua indipendenza meritava decisamente maggiore attenzione da parte del popolo degli ascoltatori.

I Low Roar inseguono quel fare musica che molto ha di contemporaneo, immergendosi in quello che è il filone di un minimale introspettivo che non chiude le porte a nuove influenze

Scarnifica il materiale mettendolo poi a nudo all’attenzione dell’ascoltatore, mantenendo viva unicamente la cruda sensazione. E, in un’epoca in cui le cose da dire sembrano essere sempre meno (sia con la musica, che con le parole) a quanto pare per ricominciare a parlare il metodo ideale è quello di ripulire i concetti, chiarificarli, affidarli poi alla natura nuda e cruda delle sensazioni che, più di ogni altra parola, più di ogni altro barocchismo musicale, sono in grado di andare a comunicare una sensazione, connettendosi con l’animo di chi ha la pazienza, la voglia e la fortuna di poter dedicare la sua attenzione all’ascolto musicale.

Con “ross.” i Low Roar proseguono la loro filosofia musicale, assumendo forme sempre più acustiche e sognanti e garantendo un ascolto trascinante ed emotivo nella sua (solo apparente) semplice fruibilità

Anche Sacrificando in parte lo sperimentalismo sonoro che aveva distinto pezzi come I’ll Keep Coming e Don’t Be So Serious, ross. risulta comunque come un lavoro che non rifiuta il passato della band ma, anzi, lo porta avanti garantendogli una reincarnazione consequenziale e coerente, anche con quel livello di accessibilità che, a tratti, mancava ai precedenti lavori.

La scelta commerciale dell’uscita è senza ombra di dubbio azzeccata, la cassa di risonanza è notevole ma, allo stesso tempo, il valore dell’opera è indubbio.

In un panorama musicale sempre più noiosamente asfittico ross. non regala evoluzioni, non regala novità e innovazione. Garantisce, però, un ascolto di qualità, ispirato, sentito, in grado di toccare le corde più intime dell’anima di un qualunque ascoltatore.

Una comunicazione semplice e senza pretese, se non quella di emozionare, è quanto di meglio si possa chiedere in un periodo dove l’ascolto musicale è diventato sempre più freddo, dove le idee sembrano mancare e, assieme a loro, anche le cose da voler dire. Un problema, purtroppo, che si insinua tanto tra i fiordi della musica tanto tra le strade della vita di tutti i giorni.

In modo semplice, i Low Roar, tornano a parlarci e riescono a farlo egregiamente

Un ponte dal valore inestimabile, che per un breve lasso di tempo potrebbe salvarci dalla freddezza, anche pagando l’amaro prezzo dell’apertura alle nostre sensazioni ed emozioni, specialmente quelle che vorremmo a tutti i costi soffocare.

Ottimo compagno per dei condivisi momenti di dolcezza, altrettanto ottimo interlocutore nei momenti di malinconica solitudine. Tra le note di ross. si annida tutta la dolcezza del sentire umano, del percepire e dell’emozionarsi. Un ascolto da dedicare a chi amiamo, a chi vorremmo amare ma anche a noi stessi, nei momenti in cui una connessione è proprio quello che ci manca. Perché li dove non possono arrivare le braccia umane e gli sguardi, può arrivare la musica. Dritta al cuore.

Lorenzo Natali
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