Frank Zappa, 26 anni fa il genio ci lasciava

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Scrivere di musica è come ballare di architettura. È una delle citazioni più famose di Frank Zappa; bene, ora potrete capire un po’ meglio il mio stato d’animo quando mi è stato proposto di scrivere un pezzo per ricordare la sua morte, il 4 dicembre del 1993.

E mi rendo conto che se pensassi di poter riassumere l’uomo e il personaggio Frank Zappa in un pezzo da “5 minuts to read”, mi sarei meritato pienamente l’altra sua celebre citazione sul giornalismo musicale: Buona parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere.

E allora da dove partiamo?

Proviamo a iniziare da una coincidenza che – come tutte le coincidenze – non vuol dire nulla. Il 4 dicembre non è solo la data della morte di Frank Zappa, ma anche quella del suo concerto a Montreux nel 1971. Non vi dice nulla? Provate a canticchiare queste parole: Smoke on the water/a fire in the sky.
Beh, il live di Frank Zappa al Casinò di Montreux nel 1971 si concluse anzitempo quando Zdeneck Spicka, in preda all’entusiasmo – o a chissà cosa – pensò bene di sparare verso il cielo con una pistola lanciarazzi.

Peccato che, al posto del cielo, sopra ci fosse un soffitto di legno e stoffe che prese fuoco, assecondando le leggi della chimica tanto care a Zappa.


Poco lontano, in hotel, i Deep Purple assistettero alla scena, la mandarono a memoria e ci tirarono fuori uno dei pezzi più celebri dell’hard rock, quella Smoke On The Water che narra proprio dell’incendio.

Una coincidenza, certo, che però mette in risalto due cliché della vita di Frank Zappa: la distruzione e l’influenza sugli altri musicisti.

Ma chi era in realtà Frank Zappa?

Il bravo ragazzo che a 23 anni insegnava a Steve Allen come si suona una bicicletta in un bizzarro show americano? Il freak che esordisce nel 1966 con un concept album doppio, roba che allora non esisteva manco nei film di fantascienza? L’iconoclasta di tutto e di tutti, dalla censura al cattolicesimo, fino ai movimenti giovanili? Il chitarrista più inclassificabile della storia del rock?

Per una volta la risposta è semplice: Frank Zappa era tutto questo assieme e molto di più.

Nato a Baltimora nel 1940 in una famiglia di origine siciliana, cattolica e bigotta oltre ogni dire, il piccolo Frank ha davanti due strade: seguire le orme paterne sulla strada del più rigido conformismo o ribellarsi. Sceglie, ovviamente, la seconda.

E lo fa attraverso la musica: Senza la musica per decorarlo, il tempo sarebbe solo una noiosa sequela di scadenze produttive e di date in cui pagare le bollette.
La sua produzione è sconfinata, un mare di dischi tra studio, live, bootleg e collaborazioni. Frank Zappa porta nel rock un misto di influenze che è impossibile riassumere; blues – il primo amore – jazz, cabaret, nonsense, avanguardia e musica classica, il tutto unito a una sorta di improvvisazione organizzata.

Ma anche tante contraddizioni. In un’epoca di figli dei fiori e fricchettoni, Zappa è fermamente ostile verso le droghe; anzi, verso i consumatori, tanto da cacciare dalla band chiunque faccia uso di sostanze.

La droga non è cattiva. La droga è un composto chimico. Il problema è quando quelli che prendono droga la considerano una licenza per comportarsi come teste di cazzo.

Viene adottato dalla controcultura come simbolo – specie nella Cecoslovacchia della Primavera di Praga – ma lui si dissocia da qualsiasi movimento, pagando con dure contestazioni.

Ma quello che più conta – e ancora oggi spesso ci se ne dimentica – è l’incredibile statura musicale di Frank Zappa. Freak Out è un esordio stupendo, ancora oggi fruibilissimo. Il lavoro mischia i Cream coi Beatles, ironiche smielature doo wop e avanguardia pura.

E così i dischi coi Mothers Of Invention, fino a quando – non senza polemiche – Frank scioglie il gruppo. Il pubblico vuole da loro solo le bizzarrie, senza concentrarsi sulla musica, e i componenti del gruppo spesso si fanno trascinare.

Sono stanco di suonare davanti a gente che applaude per il motivo sbagliato.

Il suo primo disco solista – Hot Rats -ha compiuto da poco cinquant’anni, e rimane un inimitabile frullato del suo stile, con la bellissima Willie The Pimp a ricordare l’immensa statura di chitarrista.

Impossibile – si diceva – ripercorrere la sua discografia, che va avanti tra lavori sperimentali (in Francesco Zappa suona elettronicamente le partiture classiche del suo quasi omonimo musicista del ‘700), rock, film e battaglie con la censura.

Scopre una quantità di musicisti imprecisata, Steve Vai su tutti. Poco prima di sapere della malattia che in poco tempo lo stroncherà, si candida addirittura alle elezioni presidenziali americane.

La sua battaglia contro il PMRC, una sorta di associazione genitoriale per la censura, arriva nel 1985 in Senato.

Se passi una vita noiosa e miserabile perché hai ascoltato tua madre, tuo padre, il tuo insegnante, il tuo prete o qualche tizio in tv che ti diceva come farti gli affari tuoi, allora te lo meriti.

Cosa rimane di Frank Zappa a ventisei anni dalla morte? Semplice, ancora una volta: tutto.
Zappa è ovunque. Nella musica, in qualsiasi chitarrista che sappia il fatto suo, ma anche in una band come Elio e le Storie Tese o nella verve polemica di Caparezza; nei tanti omaggi di scienziati che lo ricordano dando il nome a piante, microrganismi e asteroidi; ma soprattutto nel suo tentativo di proporre un modello di pensiero totalmente libero – Senza deviazione dalla norma, il progresso non è possibile – che oggi manca così tanto.

E, soprattutto, l’incredibile creatività.

Il mio motto è: ‘Qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, per un motivo qualsiasi.

Andrea La Rovere
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