A distanza di quarant’anni dalla strage di Via Carini, Il nostro Generale racconta la storia del Nucleo Speciale Antiterrorismo creato dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, interpretato magistralmente da Sergio Castellitto, per contrastare l’attacco delle Brigate Rosse nei confronti dello Stato in quella che fu una vera e propria guerra per la difesa della democrazia.
Coprodotta da Rai Fiction e Stand by me per la regia di Lucio Pellegrini, Il nostro Generale è una fiction, anzi una docu-fiction, intelligente, interessante ed originale. Complice il contributo del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e della famiglia Dalla Chiesa, il risultato è un prodotto utile al Paese, alla memoria, a tutti, e soprattutto un omaggio necessario ad un eroe civile che ha sacrificato la propria vita per difendere lo Stato.
Tra il cinema e la televisione Sergio Castellitto ha prestato il volto a numerosi personaggi storici – da Padre Pio a Dante, da Aldo Moro a D’Annunzio – ma quella in Il nostro Generale è sicuramente una delle sue migliori interpretazioni. Per calarsi nei panni di un personaggio così difficile, così complesso e che ha dedicato la sua vita agli altri si può scegliere di essere aderenti, che a volte funziona, ma Castellitto è riuscito ad entrare nel personaggio cercando di far emergere i principi che distinguevano Dalla Chiesa: autorevolezza, generosità e coraggio, restituendo così un’interpretazione eccellente, fedele, propria.
In Il nostro Generale c’è spazio anche per Dora Fabbo, la moglie del Generale, ruolo troppo spesso ignorato ed interpretato da Teresa Saponangelo. Consapevole di andare incontro ogni giorno a dei pericoli è riuscita a mantenere la famiglia unita, ha saputo essere conservatrice e progressista e non è mai stata due passi indietro rispetto a suo marito, ma al suo fianco.
Gli altri membri del cast hanno avuto la fortuna di confrontarsi con gli ex ragazzi del Nucleo, che gli hanno permesso di entrare nella loro psicologia e di contribuire a fare un lavoro rispettoso, meticoloso e coerente.
Gli anni di piombo, la cronistoria
Alla domanda «chi era il generale Dalla Chiesa?», Sergio Castellitto risponde: «Qualcuno di voi mi sa dire quale sia l’ultima pagina dei libri di storia che i nostri ragazzi studiano al liceo o alle medie? Io temo che ci si fermi alla seconda guerra mondiale, o giù di lì. Questa è l’evidente prova che tutta questa storia, questa e anche quella di altri straordinari uomini di valore, per le nuove generazioni è impossibile da conoscere».
Quando si guarda al passato non bisogna farlo con gli occhi del presente. Lo si può fare però attraverso gli occhi di chi la storia l’ha contribuita a fare. Dopo Esterno Notte, gli otto episodi di Il nostro Generale ripercorrono dieci anni di storia del nostro Paese – dal ’73 all’82 – anni bui, complicati, attraversati dalla violenza e dal terrore.
A raccontare le vicende è l’appuntato Nicola Amato, interpretato da Antonio Folletto (I Bastardi di Pizzofalcone), uno degli uomini del Generale e un personaggio che incarna le differenze che un giovane può avere nei confronti di uomo così forte, assoluto e integerrimo come Dalla Chiesa.
Febbraio 1973. È con il sequestro di un sindacalista, Bruno Labate, che le Brigate Rosse iniziano a farsi conoscere. I loro obiettivi sono ambiziosi, il loro messaggio «dovete avere paura di noi». Dalla Chiesa – che da Palermo è stato trasferito a Torino – è uno dei primi a capire la gravità della situazione e la necessità di passare all’azione servendosi di nuovi mezzi investigativi. Nasce così il Nucleo Speciale Antiterrorismo, un gruppo di giovani carabinieri dedito ad ostacolare la minaccia brigatista.
Nel triangolo industriale manifestazioni, cortei, rapine e rapimenti sono ormai all’ordine del giorno: prima tocca a Ettore Amerio, capo del personale della Fiat, poi è il turno di Mario Sossi, sostituto procuratore. Non è più un problema di ordine pubblico, è terrorismo, è guerra.
Dalla Chiesa decide di rischiare e di infiltrare Silvano Girotto, meglio noto come “frate mitra”, un ex prete dal passato rivoluzionario nelle fila dei terroristi. È grazie a lui che arriva il primo grande successo dei Nuclei: l’arresto di due dei fondatori delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini.
La detenzione di Curcio però dura poco e intanto i Nuclei piangono la scomparsa di Felice Maritano, maresciallo ucciso in un conflitto a fuoco da uno dei capi delle BR. Continuano a susseguirsi i rapimenti: l’ultimo è quello di Vittorio Vallarino Gancia, erede dell’omonima casa vinicola nota per la produzione di spumante. È il tentativo di liberazione dell’imprenditore che causa la morte di un appuntato e della brigatista Margherita “Mara” Cagol e il ferimento di altri due carabinieri. Gli ultimi avvenimenti e la troppa indipendenza del Nucleo spingono i vertici dell’Arma ad ordinarne lo scioglimento.
Dalla Chiesa resta senza incarichi e i suoi uomini vengono assegnati ad altri reparti. Intanto, l’8 luglio 1976, i brigatisti compiono il primo omicidio programmato, quello di Francesco Coco. Il 1977 è l’anno della carneficina: poliziotti e carabinieri pagano un prezzo altissimo. I brigatisti impediscono in tutti i modi che si tenga il processo per poi indirizzarsi verso i giornalisti che li avevano osteggiati.
Il generale viene riassegnato alla sicurezza nelle carceri dove mette in atto una vera e propria rivoluzione: in pochi mesi furono aperte cinque carceri speciali per i detenuti più pericolosi rendendole così più sicure e controllate. Nel 1978 Dalla Chiesa deve fare i conti con il dolore dovuto alla perdita improvvisa dell’amata moglie Dora. Un mese dopo il Paese viene sconvolto dal rapimento di Aldo Moro e dai cinquantacinque giorni che precedettero il ritrovamento del corpo del presidente della Democrazia Cristiana. Le BR avevano dimostrato di essere pronte a tutto e da quel momento in poi niente sarebbe stato più come prima.
È nella ricostituzione di un nuovo Nucleo che lo Stato trova una risposta alla lotta brigatista. Intanto il processo riprende e grazie alla deposizione di Silvano Girotto, i capi delle BR vengono condannati. Almeno nelle aule di un tribunale i fautori della lotta armata avevano perso.
Il 1979 fu un anno terribile: il Paese era stretto tra la minaccia del terrorismo e la paura di vivere in uno stato di polizia. Nessuno si sente più al sicuro. Gli uomini del Generale scoprono l’archivio delle Brigate Rosse: tra i numerosi documenti anche una serie di lettere e testi scritti che passeranno alla storia come “il memoriale di Aldo Moro”.
1980. Patrizio Peci viene arrestato e viene convinto da Dalla Chiesa a collaborare diventando di fatto il primo collaboratore di giustizia della storia del terrorismo. Il Paese sente il bisogno di dimenticare e ricominciare, ma i brigatisti non lo permettono: uccidono il generale Galvaligi e processano per tradimento il fratello di Peci, a cui riservano un’esecuzione barbara, spietata e disumana. Dopotutto, gli ultimi giorni di guerra sono quelli più sporchi, le vittime più innocenti e il sangue più inutile. E se vuoi sopravvivere alla guerra non puoi sempre pensare alla guerra. Anche Dalla Chiesa vuole ritrovare la serenità – soprattutto dopo lo scandalo P2 – e lo fa con una giovane crocerossina, Emanuela Setti Carraro.
Nel 1982, dopo essere stato allontanato dagli incarichi operativi, il Generale accetta di tornare a Palermo nelle vesti di prefetto per occuparsi di lotta contro la mafia. Ormai le BR sono state messe alle corde e in Italia è in corso una seconda guerra: soltanto negli ultimi tre anni infatti la criminalità organizzata aveva assassinato Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa e Pio La Torre.
Il Generale però si ritrova solo e senza i “poteri speciali” che gli erano stati promessi dal Governo. Dalla Chiesa fu assassinato il 3 settembre 1982 in un agguato ad opera dei sicari di Cosa Nostra nel quale persero la vita anche la seconda moglie e l’agente di scorta. All’indomani dell’omicidio, sul luogo della strage apparve la scritta “qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.
Fedele uomo delle istituzioni, padre e nonno amorevole. Questo era Dalla Chiesa
Dalla Chiesa è stato un uomo di pace che ha vissuto tutta la vita con la divisa addosso – dalla Resistenza alle BR, passando per la mafia – facendosi portavoce di parole come onestà, abnegazione, senso del dovere, che ha dato fiducia ai giovani, insegnandoli a non avere paura e a trovare il coraggio di prendere delle decisioni perché tanto lui sarebbe stato al loro fianco pronto a sostenerli.
Questa fiction sprigiona amore e passione – ha affermato Rita Dalla Chiesa durante la conferenza stampa – Ricordo la trasparenza e l’amore infinito verso i ragazzi del Nucleo: erano come dei figli per lui, e la serie, finalmente, dona visibilità a questi uomini invisibili.
Nicola, Trucido, Funzionario, Tedesco e Minnie si sono ritrovati a rinunciare alla propria identità, alla propria casa, a rinchiudersi nel silenzio, a vivere nel pericolo costante. Eppure erano poco più che ventenni quando hanno salvato la nostra democrazia.
In Il nostro Generale la vita privata di Dalla Chiesa non si scinde da quella storica e permette anche al padre e al nonno affettuoso, che nonostante gli impegni era sempre presente, di emergere. Persino con Patrizio Peci, il primo brigatista pentito, aveva instaurato un rapporto paterno e, una volta in carcere, Dalla Chiesa era l’unico a cui riusciva a spiegare i motivi che lo avevano spinto ad aderire alla causa della lotta armata.
Ad oggi possiamo dire che l’inchiesta è ancora aperta, non possiamo archiviare questi fatti attraverso un’analisi fredda, distaccata, scientifica perché il dolore è ancora vivo. E dobbiamo continuare a ricordare in maniera giusta la nostra storia, anche la storia recente.
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