Tanto tempo fa, nella nostra terra – quella divisa fra un oceano, un mare gelido e un mare tiepido e accogliente – c’erano pacifiche genti. Genti dagli strani tratti. Pelle scurissima, occhi chiari, forse capelli rossi. Parlavano una lingua antica, divisa in mille dialetti, davano nomi ai loro fiumi e i loro monti, seguivano il corso delle stelle ed erigevano tombe megalitiche per i loro morti e grandi cerchi di pietre per le loro dee in cielo. Infiniti campi di urne funerarie dominavano il paesaggio. Creavano figurine di donne, di divinità alte e slanciate, di donne floride di grasso post-glaciazione, forgiate dal duro lavoro nei campi, fra le reti da pesca, nei boschi. Forse cavalcavano buoi, per i cui carri tagliavano grandi ammassi di pietre con strumenti di metallo. Creavano ceramiche. Intonavano inni alla dea madre, che aveva donato loro una terra ricca, vergine, fertile, dopo l’orrore ancestrale dell’ultima glaciazione.
Nel mondo del Mesolitico in Europa, non esisteva la guerra.
nDr: o almeno così ci dice Marija Gimbutas, archeologa lituana, fautrice della famosa e dibattuta ipotesi kurganica.
Un giorno, un giorno in cui, di nuovo, come sempre, il sole si alzò in cielo, per monti e per pianure, per ghiacci e per mari, e arrivarono gli altri. Arrivarono su strani animali, grandi e inarrestabili, grufolanti e nitrenti, il suono dei loro zoccoli come un terremoto; brandivano armi possenti, di un metallo piu resistente del debole acciaio forgiato da quella società matriarcale, e le loro terracotte erano lisce, ma ruvide nei tratti. La loro lingua era un rantolo violento, fatto di terrore per l’accogliente oscurità delle stelle, di violenta paura per l’ampio mare.
Quando queste genti giunsero su grandi cavalli, uomini alti, biondi, esotici come strani e crudeli dei, tutto cambiò per l’Antica Europa. È ormai impossibile ricostruire, se non con l’utilizzo del sequenziamento del genoma di antichi umani, cosa successe: quante violenze, quante epidemie, quanti silenziosi genocidi avvennero. Quante figurine di donne comuni, bellissime semplicemente in se stesse, fossero state bruciate. A quel culto timido e dolce del sole e della madre terra, si sostituì una religione guerresca, di dei che camminavano con gli umani, uccidevano, martellavano, spadroneggiavano: e le figurine delle donne divennero assoggettate a quelle degli uomini, meri oggetti ad essi.
Uno dei piu’ prominenti paper a tal riguardo, ci ricostruisce di come donne dell’Antica Europa abbiano avuto figli, per generazioni, quasi esclusivamente con gli invasori, in quella che ora è la Germania. Aplotipi Y prima diffusi per l’intero continente andarono persi per sempre. Solo tre centri di civilizzazione resistettero al terribile scontro con gli alti uomini, stupratori e schiavisti di donne: l’Etruria, Creta, e la Sicilia. Le prime due svilupparono, sebbene a secoli di distanza, raffinate e pacifiche civiltà basate sul commercio; nella seconda, tuttora, la maggior parte della popolazione non discende dagli invasori.
In un altro mondo, piu’ simile al nostro attuale antropocene, le figurine di quelle donne sono di tutte le forme e i colori: tutte con grandi occhi espressivi, lavoratrici o casalinghe, ingegneri o presidenti di stato, bionde e more, scure ed asiatiche, occhi azzurri o marroni, scrittrici e poetesse. Anche i loro compagni sono tutti diversi, ma non sono oggetto dell’adorazione di nessuno: sono quelle figurine femminili ad essere il centro intero del culto, mentre il ruolo dei portatori del cromosoma Y è di fornire energia a quella religione di ordine, funzionalità, efficienza – un mondo senza guerre, fatto di metallo morbido e di pioggia gentile.
Figurine create da donne per le donne piu’ giovani, a loro immagine e futura somiglianza: donne che non saranno condannate ad essere solo madri di lattanti, poco piu’ di vacche dotate della facoltà della parola, ma donne che sapranno di poter essere in grado di raggiungere qualunque vetta, in uno stato fatto a loro immagine e somiglianza. Un luogo fatto per accoglierle, rispettarle, permettere loro di esprimere ogni potenzialità.
Quelle figurine non sono altro che le Barbie della Mattel.
La trama del nuovissimo film di Greta Gerwig prende a pienissime mani dalle teorie antropologiche, nonché dagli effettivi dati genetici, da quanto successo piu’ di diecimila anni fa nel continente europeo – o, se si tratta di evoluzione convergente, siamo in presenza di un caso davvero fortuito. Sebbene la primissima scena del film mostri la Barbie stereotipo a mo’ di monolite di 2001: Odissea nello Spazio, lo stesso Clarke, ai tempi, si ispirò al culto pre-indoeuropeo dei menhir e dei baetylus – e, sebbene in che modo gli antichi europei si ingraziassero il favore della madre Terra resta tuttora sconosciuto, spaccare antiche ossa/bambole di ceramica raffigurati neonati potrebbe essere stato un modo come un altro per festeggiare il miracolo della libertà. Schiavizzate, rinchiuse, sfruttate, private d’ogni capacità decisionale, vendute come capi di bestiame: le donne della civiltà greca, laddove la bellezza maschile, lucida, virile, muscoli guizzanti e abilità con la spada, era esaltata. Erodoto racconta di essere rimasto alquanto sorpreso dai costumi libertini delle donne egizie, mentre antichi scrittori latini narrano di come trovassero disdicevole il discorrere di politica delle nobili della Dodecapoli etrusca. Nozioni facilmente rintracciabili per chiunque abbia concluso qualche anno di istruzione superiore, cosa che sono certa la Gerwig e Noah Baumbach hanno sicuramente fatto. Creature che avrebbero potuto essere presidenti della corte suprema, scienziate vincitrici di premi Nobel, ben felici di accrescere l’ego del loro compagno – che rispetta molto piu’ il proprio equino amico rispetto a quella servitrice di vino dolciastro dalle coppe.
Il personaggio interpretato magistralmente da Ryan Gosling – il Ken prototipo – è biondo, con gli occhi azzurrissimi, la pelle chiara, e una statura piuttosto elevata. Non a caso una delle ondate d’invasione indoeuropea – quella che impattò maggiormente nel nord Europa – era dei famosi Indo-Arii, grandi domatori di cavalli e adoratori di divinità violente. Molte delle scene dedicato al viaggio di scoperta di se stesso di Ken nel mondo della California degli anni ’20 potrebbe, senza eccessivo sforzo, essere interpretata in tal senso: l’antica legittimazione di superiorità morale e pratica derivante dalla sola superiorità fisica, che è stata fulcro portante della civiltà occidentale fino a pochi decenni fa – la piu’ grande e ingannevole, e di maggior durata, astrazione della storia degli Homo Sapiens. Capi di stato: uomini. Grandi guerrieri e conquistatori: uomini a cavallo. Clan piu’ potenti: uomini persi nell’ammirazione della propria virilità, che sia in una palestra o durante la blanda denigrazione di una femmina. Sei femmina? Sei debole. Sei stata creata per soddisfarmi. Sei stata creata per essere guardata, toccata, stuprata, o peggio.
Sebbene col sorriso, e con enorme romanticizzazione derivante dalla necessità di essere un film godibile, la Barbie di Margot Robbie non soccombe mai al cambiamento, e, nonostante sia necessario qualche piccolo intervento dal futuro – come se noi occidentali attuali potessimo consigliare alla mercanteggiata moglie di Orazio Coclite di semplicemente scappare e darsi alla macchia – preferisce la fuga in se stessa che cadere, corpo senza mente, fra le braccia muscolose di Ken.
La trama geniale di Greta Gerwig e Noah Baumbach introduce anche un altro tema che sfiora da lontano il prodotto di una civiltà prettamente indoeuropea – quella greca, e in particolare il lavoro di Platone. Ancora, conoscenze perfettamente rintracciabili per chi abbia avuto una vaga infarinatura di storia e cultura classica. Barbie non esiste nel mondo reale: Barbie è l’IDEA di Barbie, un mondo quasi Atlantide antediluviana in cui tutte le bellezze, le diversità, delle donne, sono realizzate; è un Eden islamico; è un concetto assolutamente irrealizzabile nel nostro mondo, e non perché esso tenda all’equilibrio fra i due sessi – o, meglio, all’abolizione del concetto di genere stesso – ma perché esso è ancora prettamente patriarcale. Quegli alti uomini non sono mai scesi dai loro cavalli, l’impero non è mai crollato, la terracotta non si è mai infranta.
Sia chiaro che la Teoria Kurganica è molto piu’ articolata di quanto io abbia espresso nelle prime frasi di questo articolo e che, sebbene la Gerwig e Baumbach abbiano fatto un lavoro eccezionale nel toccare temi importanti in un film sostanzialmente scherzoso e ridanciano, quali la raffigurazione delle donne nel corso della storia, di cui la bambola Barbie è solo l’ennesima dimostrazione. La scarsità di dati, e di letteratura, sul culto matriarcale presente in Europa nel Mesolitico e nel Paleolotico è un altro degli abominable misteries che riguardano lo studio delle questioni femminili, annoso problema dell’accademia occidentale: qual è il trattino che lega le veneri siberiane, quella di Willendorf, ad una venere callipigia, ad una Madonna che allatta, e ad una Barbie? Quanta iconografia è intrinseca nell’umano come specie – la specie vincente fra i tanti ominidi che hanno popolato la Terra – e quanta è un costrutto da decostruire in questa epoca di fervente cambiamento?
Per citare il famoso saggio di Merline Stone: Dio è mai stato una donna?
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