SIRIN, Marjana Semkina: recensione

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Se vi è qualcosa che l’arte proposta da Marjana Semkina è sempre in grado di ricordare è l’importanza della genuinità. In SIRIN, infatti, la sensazione che più di tutte domina l’ascolto è quella di ritrovarsi di fronte ad un naturalissimo fluire musicale. Così naturale da toccare le fibre dell’ascoltatore con la stessa delicatezza con cui si è toccati dalla bellezza di panorami già visti.

Un già visto, quello della songweiter russa, che non ha in realtà il suono del ridondante, dello scontato, del banale. Un già visto che suona invece come quel senso di malinconia che può pervaderci quando ci ritroviamo di fronte ad ambienti protagonisti di vecchie memorie, di fronte ad odori e luci che riportano ricordi e malinconie.

SIRIN, un’opera tra mitologia, dolore e morte

Ed è proprio la dolce malinconia, intarsiata di nature morte dall’aspetto quasi rinascimentale, quel marchio di fabbrica che Marjana Semkina ancora una volta porta con sé anche con SIRIN e che ne è tratto distintivo tanto nella sua carriera solista quanto con gli altrettanto toccanti Iamthemorning.

Con SIRIN questa dimensione emotiva, questo docile grigio intarsiato di oro, bronzo e rosato, trova un’incarnazione ancora più naturale in un lavoro che proprio nel nome si ispira alla cultura slava (come spiegato dall’artista sulla sua pagina Kickstarter). SIRIN, di fatto, è il nome mitologico portato dall’uccello della tristezza. Una tristezza che, nell’album, trova sfogo in modo colorato, variegato, costruendo una sequenza di contrasti musicali ed emotivi, di accostamenti che se apparentemente coraggiosi riescono, con immenso potere comunicativo, a rivelarsi efficaci, costruendo un discorso univoco tra la voce russa ed i suoi interlocutori.

SIRIN Marjana Semkina

Dall’energica, celtica ed estremamente folkloristica We Are The Ocean prende le mosse un album capace di risultare maniacale per la cura ed il dettaglio. Se le calde ed andanti chitarre acustiche della opening danzano liberamente con l’ascoltatore, le doppie voci della Semkina e di Jim Grey (Caligula’s Horse) si alternano in un episodio ricco di pathos tra dolci tasti d’avorio ed archi dal sapore incredibilmente teatrale.

SIRIN mostra tutta l’abilità di Marjana Semkina non solo come voce ma anche come scrittrice, arrangiatrice, visionaria della canzone e della narrazione

Pygmalion porta a nudo la declinazione più ambient, posata e grigia di una Marjana posta, con la sua voce, come protagonista indiscussa in una prestazione fatta di interpretazione, recitazione e sentimento appoggiata a scenari strumentali minimali e bilanciati. Se Gone prosegue la vena di Pygmalion in una declinazione più pop e accessibile, con l’epica Death and the Maiden, interpretata con il supporto di Mick Moss (Antimatter), Marjana Semkina non ha paura di osare, sperimenta, costruisce un ambiente teatrale e mutevole dalla fattezze rock progressive di più antico ricordo.

La dolcezza accessibile di The Storm riporta l’ascoltatore (solo apparentemente) tra colorature più vivaci, prima di concludere l’esperienza con l’accoppiata Swan Song e The Silence, This Dreaming, episodi anche questa volta intensi, dagli arrangiamenti bilanciati e non privi di coraggio suonando, ugualmente, in tutta la loro genuina naturalezza.

Nel suo racconto del dolore, della tristezza e, soprattutto, della morte, tramite molteplici narrazioni e sfumature, SIRIN mostra tutta l’abilità di Marjana Semkina non solo come voce (la cui qualità è ormai appurata da anni) ma anche come scrittrice, arrangiatrice, visionaria della canzone e della narrazione. Quando capace di dominare il pezzo, quando in grado di nascondersi tra i ben calibrati arrangiamenti accompagnandoli senza risultare preponderante, Marjana mostra tatto, saggezza, abilità e soprattutto voglia di comunicare.

SIRIN nei suoi tanti pregi si mostra prima di tutto come un album in grado di parlare. Parlare e raccontare piccole storie, personali, intime, perdute ma mai del tutto, che in un modo o nell’altro tornano sempre ai loro protagonisti: noi.

Lorenzo Natali
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