Kashmir dei Led Zeppelin è un brano del 1975, estratto da Physical Graffiti, discusso album della band.
Quale canzone vi viene in mente dei Led Zeppelin? Quante toppe – ZoSo – avevate sullo zaino?
Stairway to Heaven è sicuramente la risposta alla prima domanda. Kashmir alla seconda. Beh, Kashmir è forse il capolavoro dei Nostri: una suite progressive di otto minuti, praticamente un mini album, contenuta nell’LP Physical Graffiti.
Già la genesi del brano è interessante. I nostri, precisamente Plant e Jimmy Page – tuttora considerato uno dei migliori chitarristi di sempre – composero l’uno il testo del brano, e l’altro si basò su un tuning di chitarra piuttosto atipico nell’heavy metal, il cosiddetto Celtic Tuning, che si base sulla triade iniziale Re-La-Re, seguito da Sol o da Mi. Altre canzoni dei Led Zeppelin oltre a Kashmir si basano su ciò: The Rain Song e Ten Years Gone. Il testo di Kashmir, invece, scritto da Robert Plant, venne concepito durante un viaggio del cnatante nel deserto marocchino.
Come ha rivelato in un’intervista a LouderSound:
“It was a single-track road which neatly cut through the desert. Two miles to the east and west were ridges of sand rock. It looked like you were driving down a channel, this dilapidated road, and there was seemingly no end to it.”:
Ed ecco l’origine di: “Oh let the sun beat down upon my face, stars to fill my dreams“.
Nel brano, basato sugli accordi la-ladiesis-si-re-mi, il viaggio è interiore.
Page, d’altro canto, ha rivelato di aver scritto il brano a due mani col leggendario batterista John “Bonzo” Bonham, durante una delle tante sessioni notturne alla casa stregata Headley Grange, un’ex orfanotrofio usatissima dalla band per la registrazione di IV, V, ovviamente Physical Graffiti e Houses of the Holy. Il luogo, in cui pare graviti una strana energia, fu usato anche da Peter Gabriel per la composizione di The Lamb Lies Down on Broadway. Solo batteria, riff ed effetti, un riff semplice e ripetitivo – ma epico. Evocatore di montagne desolate, di terreni ricoperti da pietre aguzze e ghiacciai aggettanti. Elegante nella sua grazia minimale, senza grida e senza eccessi. Divenne in brevissimo tempo un classico della band, richiesta ad ogni concerto.
Physical Graffiti fu l’album più prog dei Led Zeppelin: sebbene estremamente lungo e ricco di ciò che all’epoca vennero chiamati fillers, contiene delle vere gemme come Kashmir stessa, House of The Holy e Ten Years Gone. Le orchestrazioni di John Paul Jones – i suoi organi, i suoi synth – ivi raggiunsero lo stato dell’arte. L’arpeggio di mellotron di Kashmir, oscuro, angoscioso, ha fatto scuola e se ne ritrovano i semi ancora oggi.
Auguro a tutti voi un viaggio che sia degno di avere Kashmir come colonna sonora.
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