Uscito nei cinema il 19 dicembre, La Dea Fortuna rappresenta con delicatezza una storia vera, intima, personale, tangibile e commovente. Un’opera in chiaroscuro meravigliosa ed emotivamente devastante che solo un regista come Ferzan Ozpetek poteva raccontare.
Ci sono registi bravi, altri meno. E poi c’è Ferzan Ozpetek che da sempre considero un alieno tra gli umani e con La Dea Fortuna ha confermato questa sua antropica genialità. Nessuno – forse solo con Woody Allen è capitato una o due volte – ha la capacità di estraniarmi e farmi pensare ad una pellicola per giorni interi, farmi riflettere rimanendo in un lungo silenzio una volta terminato un film e spingermi a guardarlo di nuovo. Ma il mio è un silenzio stupefatto, attonito e con una carica emotiva e adrenalinica che a volte non mi fa prendere sonno.
Perché Ferzan è uno di quelli che la vita te la sbatte in faccia, senza ipocrisie, senza nascondersi. I suoi lavori parlano un linguaggio universale, i suoi finali sono pieni di interrogativi, i suoi protagonisti sono intessuti di contraddizioni. Ma i suoi personaggi siete voi, siamo noi, siamo tutti, con le nostre incertezze, debolezze, paure, gioie, speranze.
Ed è proprio di notte che ho deciso di scrivere la recensione de La Dea Fortuna. Perché se c’è una cosa che ho imparato negli anni è che certe sensazioni non posso lasciarle sfumare e farle correre via, che alcune emozioni vanno scritte di getto, senza pensarci troppo. Perché l’insonnia d’arte è un pregio troppo grande, un’opportunità troppo bella per esprimersi il giorno dopo.
Protagonisti della pellicola sono Arturo (Stefano Accorsi) ed Alessandro (Edoardo Leo), una coppia di lunga data.
Il primo è un traduttore insoddisfatto con il sogno mai realizzato di fare lo scrittore o il professore universitario, è razionale, pacato, di poche parole. Il secondo invece è un idraulico, è istintivo, passionale, espansivo. Due caratteri diversi. Due stili di vita diversi. Due modi di guardare la realtà in modo diverso. Forse è proprio questa diversità che li ha portati a perdere quell’affinità e quella complicità che li teneva uniti un tempo. Dopo quindici anni, la loro quotidianità si è ridotta a una sopravvivenza e una sopportazione per il quieto vivere, un rapporto fatto di silenzi, di omissioni, di tradimenti, di rimpianti. Una routine sepolta dall’abitudine, un amore deteriorato che sembra definitivamente spezzato, dimenticato.
Tutto cambia e si trasforma quando arriva la migliore amica di Alessandro che decide di affidare i suoi due bambini alla coppia per risolvere dei problemi di salute, con la promessa di tornare a riprenderseli tre giorni dopo. Annamaria (Jasmine Trinca) è una donna emancipata, forte e determinata ma che ha paura di un futuro che vede troppo incerto non solo per se stessa, ma anche e soprattutto per i suoi figli. Ed è proprio lei, con le sue entrate ad effetto, la deus ex machina della storia, è lei “la dea fortuna”, quel Caso capace di sospendere il tempo, di rimandare ciò che sembra imminente, di ridisegnare involontariamente il rapporto tra i due amici, stabilendo indirettamente i ruoli e consegnando loro il coraggio di prendere la strada per una serenità che potrebbe esserci, se solo si volesse.
Arturo ed Alessandro affrontano l’arrivo dei bambini in modo differente. Mentre Arturo è fin dall’inizio scettico e a tratti insofferente dalla loro presenza, Alessandro scopre quell’istinto paterno che era represso, cogliendo nei due bambini l’occasione per accantonare i problemi quotidiani e scoprire un nuova forma d’amore, naturale. Sandro (Edoardo Brandi) e Martina (Sara Ciocca) rappresentano l’anello di congiunzione, il valore dell’esplorazione, la forza di ricredersi e correggersi, di tornare indietro, di rompere un’abitudine diventata ormai fastidiosa.
La Dea Fortuna ha un segreto, un trucco magico: come fai a tenere sempre con te qualcuno a cui vuoi molto bene?
Devi guardarlo fisso, rubi la sua immagine, chiudi di scatto gli occhi e li tieni ben chiusi, lui ti scende fino al cuore, e da quel momento quella persona sarà sempre con te.
Attorno a loro ci sono figure secondarie – d’altronde Ozpetek è un maestro dell’impercettibilità, ovvero nel raccontare personaggi che apparentemente sono ininfluenti, messi lì a caso, ma che hanno un ruolo cruciale nella riuscita del film. Impossibile non citare l’interpretazione di Paola Minaccioni in Allacciate le cinture – ma che, con i loro problemi, si uniformano perfettamente attorno al nuovo quadro familiare, facendo emergere una stupefacente e sottile coralità in quell’emozionante e liberatorio ballo di gruppo sotto la pioggia, in cui ognuno di essi si sfoga, abbandonando per pochi minuti le preoccupazioni per abbracciare una spensieratezza e una pace interiore.
La pellicola si muove in uno spazio temporale illineare, ognuno dei protagonisti viaggia tra passato e presente, ricordando e cercando di superare eventi drammatici e traumatici che li hanno segnati e scavati dentro. Un plauso particolare, come nei migliori film di Ozpetek, deve andare ad una fotografia calda, familiare, accogliente in cui le terrazze sul tetto spiovente in zona Tiburtina a Roma creano una sorta di comune conviviale, dove risate, confidenze, problemi e discussioni sono all’ordine del giorno.
La cornice si svolge in un terreno in cui Ozpetek è un maestro, un profeta, ovvero quello di narrare storie con un taglio tragicomico estasiante, fatte di grandi compagnie, di avventure tra amici, di linguaggi non verbali, di tavole imbandite, di stoviglie dai colori accesi, di case ben arredate, di famiglie allargate.
Il tutto accompagnato da una colonna sonora toccante, dove la voce di Mina in Luna Diamante – brano scritto da Ivano Fossati – riesce a catturare e ad enfatizzare nei volti ogni espressione e ogni gesto. Una canzone che descrive perfettamente la storia di Arturo ed Alessandro: «E tu perchè non parli, una parola sospenderebbe il mio rancore. Io non so più quello che dico, umiliata in silenzio forse strappata dal mio sentimento». E’ proprio Mina una delle protagoniste celate dell’opera, a cui il regista dedica il personaggio di Mina (Cristina Bugatty). Incantevole e lacerante è anche Che vita meravigliosa, brano cantato da Diodato, che ha avuto la capacità di accompagnare la mia emozione per tutta la sequenza finale.
Edoardo Leo dimostra un talento nella drammaticità che credevo non possedesse – o almeno non così bene – una naturalezza nel passare da una prima parte che strizza l’occhio alla commedia all’italiana, ad una seconda la cui accezione è decisamente più angosciante e dolorosa. Stefano Accorsi invece non si allontana dalla sua comfort zone recitativa, tanto che in alcuni momenti sembra di rivedere il suo Michele in Le Fate Ignoranti, ma è accorto e credibile per tutti i 120 minuti.
Performance esemplare anche quella di una sempre perfetta Jasmine Trinca – a volte mi chiedo come faccia ad entrare in maniera così calzante nei panni di un personaggio, non ricordo una sua interpretazione sottotono – che regala quel guizzo e quel tocco poetico dato dal suo sguardo un po’ malinconico, un po’ turbato e un po’ preoccupato che rende l’opera ancor più bella di quanto già lo sia.
La Dea Fortuna è l’ennesimo capolavoro di Ferzan Ozpetek, bravissimo come sempre a non scadere nel moralismo e a mettere in primo piano elementi estetici imprescindibili. L’opera è una trasposizione cinematografica sincera e ostinata dei sentimenti. E’ un kammerspiel su una coppia appassita pronta a sbocciare di nuovo e in una nuova forma. Un lungometraggio di una storia avvolta in un leggero, ma percettibile velo esoterico tanto caro al regista. E’ il racconto di quanto il Caso sia sempre dietro l’angolo, pronto ad irrompere, sconvolgerci, ribaltarci. La Dea Fortuna è l’esempio tangibile delle qualità umane, che homo faber ipsius fortunae, che solo l’uomo è l’artefice della propria sorte, del proprio destino nella capacità di realizzare le sue potenzialità e di raccogliere la felicità nonostante gli eventi negativi.
La Dea Fortuna è un film libero e raffinato. E’ la rivincita del cinema italiano, quello fatto bene, quello delle idee, quello vigoroso. E’ un affresco cinematografico necessario che punta allo stomaco, arriva dritto alle emozioni e ci racconta di come l’amore col tempo si trasforma, si evolve, va avanti ma non per questo si cancella. Un’opera della settima arte destinata a restare nel tempo.
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