L’ultimo Lupo non può essere considerato come un documentario né come un film d’animazione, eppure riesce ad esprimere con la stessa delicatezza la necessità di salvaguardare una specie.
Tratto dal libro di Jiang Rong “Il totem del lupo”, si tratta dell’ultimo lavoro per il grande schermo del regista francese Jean-Jacques Annaud, già entrato nella rosa dei migliori registi europei con Il nome della rosa e Sette anni in Tibet.
Al suo esordio cinematografico è stato premiato con il Premio Oscar per il miglior film straniero. Ad oggi può vantare 4 Premi César, 1 David di Donatello, 1 Premio Flaiano, 1 François Truffaut Award al Giffoni Film Festival e un Premio alla carriera Festival cinematografico internazionale di Mosca.
Negli ultimi anni ha lavorato anche ad una delle miniserie televisive di maggiore successo, La verità sul caso Harry Quebert, basata sull’omonimo best-seller scritto da Joel Dicker.
Si distingue tra gli altri registi per lo scopo, nella sua attività cinematografica, di riuscire a regalare allo spettatore il grande intrattenimento del cinema hollywoodiano e le stesse emozioni ma adottando lo stile all’europea, quindi senza strafare.
Ci troviamo nella Cina del 1967. Due anni dopo l’inizio della Grande rivoluzione culturale due giovani studenti di Pechino si offrono volontari per insegnare a leggere e a scrivere ai bambini delle tribù nomadi. Chen Zhen e un suo amico decideranno di addentrarsi nella Mongolia Interna. Qui vengono sfamati e ospitati dai mongoli ed in cambio loro ne guadagneranno in istruzione e cultura.
Per assurdo però è Chen Zhen ad imparare più di tutti. Rimane affascinato dai luoghi incontaminati e ricchi di vita che non avrebbe mai potuto immaginare in qualità di studente di città. Nonostante la loro reputazione di animali carnivori e senza rimorso, e un primo incontro decisamente non amichevole, Chen Zhen rimane particolarmente colpito dai lupi e dal loro legame con i pastori.
“Come pensi che Gengis Khan abbia sconfitto i più grandi eserciti del mondo con un pugno di cavalieri? Aveva imparato l’arte della guerra osservando gli stessi lupi che adesso stai guardando tu.”
Il capo della tribù diventa una sorta di mentore per lui, una figura paterna che gli insegna quanto c’è da sapere su quel mondo sconosciuto a chi vive in una metropoli, con un equilibrio tutto suo.
Quando il governo comunista ordina di eliminare tutti i cuccioli di lupo in un modo alquanto brutale, Chen Zhen decide di salvarne uno e di allevarlo per osservare da più vicino l’animale, il suo comportamento e la sua strategia.
Se da un lato Chen Zhen si dimostra altruista nel salvare il cucciolo da una morte certa, dall’altro si comporta da ingenuo pensando di poter piegare l’istinto di libertà del lupo al suo volere.
Per un po’ di tempo riesce a tenerlo nascosto ma quando viene scoperto dai rappresentanti del governo cinese si giustifica dicendo che si tratti soltanto di un esperimento e, vedendola come un’opportunità, gli permettono di tenerlo per usarlo come esca.
Ma madre natura glielo impedisce. Sperando di poter usare il cucciolo di lupo per attirare i lupi adulti e ucciderli tutti infatti, questi ultimi non si lasciano ingannare per un lupo che non riconoscono e che ha addosso l’odore di un essere umano.
“I lupi sono intelligenti, organizzati, formano un corpo unico e si piegano alle decisioni del loro capo branco, ma più di ogni altra cosa hanno pazienza, un’infinta pazienza. Bisogna saper attendere il momento giusto, lupi e mongoli l’hanno compreso”.
E così nonostante tutto il mondo gli remi contro, Chen Zhen continua a prendersi cura del suo lupo, a cui insegna a cacciare, a nuotare e ad attaccare, trasformandolo in un bellissimo esemplare.
Il loro rapporto non è sempre facile ma col tempo i due riusciranno a trovare un equilibrio. Quando ormai tutti i lupi della zona sono stati uccisi, una sua amica decide di liberare il lupo di Chen Zhen, rendendolo praticamente l’ultimo esemplare di lupo.
Ed è qui che la scelta di Chen Zhen si rivela per essere quella giusta, quella che garantisce la sopravvivenza della specie, nonostante in primis non sempre c’erano i migliori presupposti.
Come diceva lo stesso saggio, non si può catturare un dio per farne uno schiavo.
In alcuni aspetti assomiglia al Re Leone. Il leone è il re della savana così come il lupo è il re della steppa e in quanto tale si trova in cima alla catena alimentare. È normale che quando gli stessi esseri umani hanno minacciato la loro principale fonte di cibo, in questo caso le gazzelle, i lupi hanno dovuto trovare un altro modo per sopravvivere: cibarsi delle pecore allevate dai pastori. Basta quindi un piccolo gesto per scatenare una reazione a catena e destabilizzare un equilibrio di per sé già delicato.
Nei titoli di coda possiamo leggere quanto il ricordo del “lupetto”, come lo chiamava lui, abbia segnato Chen Zhen per sempre.
Ha dedicato infatti la sua vita alla stesura di un libro, nella speranza che il canto dei lupi possa riecheggiare ancora nella splendida steppa mongola.
Direi che è riuscito nel suo intento. Il suo libro è diventato il best-seller più letto in Cina dopo il Libretto Rosso di Mao Tse-tung.
Anche in Italia il lupo, considerato nocivo e pericoloso, è stato perseguitato quasi fino all’estinzione. Negli anni ’70 il WWF valutava che non ne sopravvissero più di 100 esemplari in tutto il Paese. Grazie alla battaglia intrapresa appunto dall’associazione con l’operazione San Francesco oggi in Italia vivono quasi 1.200 lupi. Ma sono ancora perseguitati da trappole, bracconieri e bocconi avvelenati.
“Aiutaci a proteggere i lupi. Questo pianeta è anche il loro.” È l’invito lanciato dal WWF già qualche anno fa, se volete saperne di più potete consultare la pagina dedicata sul sito ufficiale.
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