For All Mankind, quarta stagione: recensione

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La quarta stagione di For All Mankind è fatta di Marte, politica e grandi ritorni, disponibile su Apple TV +.

For All Mankind è uno degli show di fantascienza migliori degli ultimi anni. Le sue premesse, oramai seminate nel lontano 2019, in un mondo diverso, pre-pandemia, pre-guerre, sono semplici: nel 1969, la corsa per la Luna è stata vinta dall’URSS. Armstrong e soci non sono stati i primi umani sul nostro satellite. Ciò ha fornito la giustificazione narrativa per l’ucronia di For All Mankind, in cui, ormai, nel 2003, l’umanità ha una base stabilmente abitata sulla Luna, con tanto di turismo spaziale. Marte, il pianeta rosso, è stato raggiunto nel corso della terza stagione, con una involontariamente congiunta missione NASA, RosCosmos, e Helios (una sorta di SpaceX dal maggior successo).

Ora, nel 2003, ritroviamo i personaggi di sempre: Danielle Poole (Krys Marshall) si gode la sua vita da pensionata sulla Terra, circondata dagli affetti familiari; al contrario, Ed Baldwin (Joel Kinnaman), continua la sua battaglia contro l’invecchiamento nello spazio: rimane al comando delle operazioni EVA della Helios. Margo Madison (Wrenn Schmidt) vive mestamente nel suo isolamento a Mosca, parla malamente russo e cerca di rimanere in contatto con la sua antica professione come consulente esterna per la RosCosmos. Infine, la figlia di Ed Baldwin, Kelly (Cynthy Wu) e Aleida Rosales (Coral Pena), rimangono nel cast fisso. Troviamo anche alcuni nuovi acquisti: Miles Dale (Toby Kebbel) è un ex lavoratore sulle piattaforme off-shore, che, nel tentativo di dimostrare alla moglie di essere in grado di provvedere ai bisogni economici della famiglia, si candida per il programma marziano della Helios. Al suo fianco Tyner Rushing, nel ruolo di Samantha, originariamente inclusa nella crew deputata alla cattura di un asteroide in orbita marziana.

For All Mankind, quarta stagione: recensione 1
Svetlana Efremova

Gli sceneggiatori della quarta stagione di For All Mankind (Matt Wolpert, Ben Nedivi, Bradley Tompson, Sabrina Almeida, fra gli altri) si sono evidentemente ispirati alla nostra realtà per scrivere la loro ucronia d’inizio millennio: nonostante gli orrori delle Torri Gemelle non siano mai avvenuti, i matrimoni omosessuali sono stati legalizzati anzi-tempo in USA, grazie al coming out dell’ex presidente Ellen Wilson; Al Gore è diventato Presidente degli Stati Uniti, rimuovendo, di fatto, l’esistenza della guerra in Iraq e Afghanistan dovuta alle amministrazioni Bush Junior. Convinto ecologista, spinge per una sempre maggiore conversione all’energia della fusione e per il programma spaziale. Dall’altro lato della barricata, però, la de-stalinizzazione dell’URSS – sopravvissuta al disastro di Chernobyl, che non si è mai verificato –, ad opera di Gorbaciov, viene bruscamente interrotta dal colpo di stato di un precursore di Vladimir Putin, che coinvolge anche la povera Margo. Oltre la cortina di ferro, la RosCosmos ha un nuovo leader: l’intelligente Irina Morozova (Svetlana Efremova), fedelissima del nuovo regime. Alla Nasa, invece, è Eli Obson a comandare (Daniel Stern), ed Aleida continua a lavorare in controllo missione nonostante soffra di PTSD dovuto all’attentato di pochi anni prima, in cui perse la vita Molly Cobb. Inoltre, il primissimo esperimento congiunto, Helios-USA-URSS, di catturare un asteroide in orbita marziana finisce nel sangue: fra i primi a metter piede su Marte, Grigory (Lev Gorn) perde tragicamente la vita durante una EVA, nei primi minuti del primissimo episodio.

L’apparente pacifico status quo della Happy Valley, su Marte, viene ulteriormente sconvolto dalla scoperta dell’asteroide Riccioli D’Oro (Goldilocks, in inglese): un’enorme sfera di iridio e altri metalli rari, che, se portata sulla Terra, assicurerebbe un placido e tranquillo sviluppo tecnologico, ma che segnerebbe la fine del programma Marziano – tonnellate e tonnellate di metalli che ucciderebbero la colonia marziana, in quanto, oramai, inutile. Ma il CEO di Helios, Dev Ayesa (Evi Gathegi) ha ben altri piani.

For All Mankind, quarta stagione: recensione 2

Decisamente piu’ cupa delle precedenti ed aperta da un vero e proprio disastro, la quarta stagione di For All Mankind si incentra maggiormente sui singoli protagonisti che sul destino delle nazioni cui appartengono. Danielle è il fulcro attorno cui tutto ruota: richiamata dalla pensione e dalla sua nipotina per tenere sotto controllo la bollente situazione ad Happy Valley, sembra essere l’unica a mantenere una parvenza di buon senso mentre tutto crolla. Suo contraltare, l’un tempo militaresco ed inquadrato Ed Baldwin, indugia nell’uso di cannabis per controllare il suo incipiente Parkinson, e, come nella precedente stagione, non accetta la realtà dell’invecchiamento e cerca, continuamente, una fuga da se stesso. Lui, che fu a poche centinaia di metri dall’essere il primo uomo sulla Luna, e che fu il primo su Marte, che si rifiuta di spendere i suoi giorni finali sulla Terra – in un mesto, noioso, riposo. Margo, sulla Terra, fronteggia le conseguenze dei suoi sotterfugi, e l’omicidio di un commilitone, su Marte, da parte dell’astronauta Svetlana Zakharova (Masha Mashakova), non fa altro che accrescere il peso sulle spalle dell’ex direttrice di Houston. Il suo personale tormento è di duplice natura, ed il suo fardello, il cui apice viene raggiunto durante la conferenza stampa nel sesto episodio, in cui la scienziata è costretta ad ammettere di aver tradito gli Stati Uniti – non per amore, come avvenne in realtà, ma per una supposta “delusione dei proprio ideali”.

Tutti e tre personaggi ottimamente scritti, come avviene per Aleida e Kelly – entrambe, in eterno conflitto fra l’essere madri e l’essere professioniste e lavoratrici; perché anche nel mondo Ucronico di For All Mankind alle donne è richiesto di essere supereroi e i padri sono raramente contemplati come decenti figure di riferimento. Aleida, in particolare, è la testimonianza vivente di quanto quel lavoro possa dare e quanto togliere: piu’ di tutti ha sofferto la scomparsa della sua mentore Margo, e, anche dopo otto lunghi anni, ne piange la scomparsa.

For All Mankind, quarta stagione: recensione 3
Daniel Stern

Fra le nuove introduzioni, la corona per la piu’ perfida delle serie tv va indubbiamente a Irina Morozova: scaltra, calcolatrice, e fedelissima ad un regime sostanzialmente putiniano, non risponde ad altri se non a se stessa e non si fa scrupoli neppure a fare uso delle capacità di Margo. Al contrario, Miles detiene orgogliosamente il primato di epitome del proletario piu’ odioso di sempre: degradato dall’essere parte della missione di cattura e mining dell’asteroide a misero inserviente, inizierà un percorso di clandestinità e mercato nero, nonché di eccessivamente tardiva rivoluzione verso i poteri forti e i ricchi per via della debole connessione wi-fi e del cibo della mensa per i lavoratori Helios – comprensibile, sì, ma pur sempre troppo poco per giustificare le sue azioni di sabotaggio, e di continuo, petulante, insistente invito al colpo di stato.

Tecnicamente, anche la quarta stagione di For All Mankind è perfetta; la regia, nei migliori episodi – come il quinto – è ad opera di Sylvain White. Certo, mancano un po’ i tempi delle missioni Apollo al cardiopalma; la tecnologia del terzo millennio è piu’ affidabile, tutto è computerizzato e prevedibile. La componente di suspance, in For All Mankind 4, è fornita dalle scene di isteria, singola e di massa – dalle scazzottate, dalle grida furibonde di Danielle, dalle buone prove attoriali di Kinnaman e Pena, ma raramente dalle grandi azioni di scoperta. Viene parzialmente a mancare, se non per la triade d’episodi finali, ciò che aveva reso grandi le precedenti stagioni: la sfida sempre piu’ grande. Ciò, però, è, in un certo senso, quel che rende For All Mankind fedele a se stessa – una serie tv sull’esplorazione spaziale che sia credibile, che risponda ai reali bisogni dell’umanità. E il minare un asteroide farcito di metalli rari è, indubbiamente, un sogno dell’umanità. Forse, solo, non del singolo fruitore di serie TV.

La quarta stagione di For All Mankind rimane, dunque, fedele alle promesse fatte nella primissima stagione e fornisce alcuni spunti interessanti sull’evoluzione dei personaggi, nonché uno sguardo distaccato verso la situazione politica attuale; una serie da non perdere per gli appassionati di sci-fi.

Giulia Della Pelle
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