Gli Orologi del Diavolo: un bio-crime made in Italy sulla via della coca

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Gli Orologi del Diavolo, il riscatto italiano nelle serie crime prodotto dalla TV di Stato

In origine c’era Narcos e a distribuirlo è stato (ed è) la piattaforma di streaming Netflix, poi è arrivato Gli Orologi del Diavolo, in onda su Rai 1 stasera, per la terza puntata di un’avvincente storia che ha come protagonista Beppe Fiorello, prodotto da Rai Fiction.

Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia che si insedia dietro questa fiction.

Sinossi de Gli Orologi del Diavolo

Gli orologi del diavolo, è un film ispirato alla storia vera di Gianfranco Franciosi, il primo civile italiano infiltrato negli affari illeciti del narcotraffico internazionale, basato sul libro scritto dal protagonista della vicenda “Gli orologi del diavolo: infiltrato tra i narcos, tradito dallo Stato”.

Il titolo fa riferimento ai Rolex che il boss a capo dell’organizzazione internazionale di narcotrafficanti regalava a tutti i suoi affiliati, Franciosi compreso.

Nel cast, oltre a Beppe Fiorello nel ruolo del protagonista, anche Claudia Pandolfi, Alvaro Cervantes e Nicole Grimaudo. 

Gli Orologi del Diavolo: un bio-crime made in Italy sulla via della coca 1

Ma chi è Gianfranco Franciosi?

Gianfranco Franciosi, ligure, è un vero e proprio genio della meccanica, il suo mestiere prima dei fatti narrati (2007) era quello di costruire e riparare barche. Lo Stato lo reclutò come infiltrato tra i narcos per quattro anni. Una storia vera che presta perfettamente per essere una trasposizione cinematografica. Ma anche un videogioco, e infatti il colosso americano Ubisoft ha anticipato la Rai dedicando a questa vicenda il game Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands, dove il narcotraffico è il vero protagonista.

Ma torniamo a Franciosi. Gianfranco, detto Giannino, protagonista de Gli Orologi del Diavolo, tra i suoi clienti per cui costruiva barche aveva un tale Tortellino, un affiliato della Banda della Magliana, poi morto in un regolamento di conti. Ma questo primo contatto gli basta per essere agganciato da due suoi soci, Raffaele, camorrista appartenente al clan Di Lauro. L’altro è lo spagnolo Elías Piñeiro Fernandez, un boss del narcotraffico. Anche loro vogliono gommoni, ma sono più espliciti sull’uso che ne faranno, tanto che chiedono dei gavoni per occultare la droga e dei serbatoi maggiorati.

Giannino si reca alla polizia a denunciare il tutto e – su loro indicazione – gli viene consigliato di accettare per riuscire a capire ed intercettare i fondi internazionali in cui confluisce tutto il denaro sporto proveniente da questo giro di vite.

Si trasforma così da meccanico a primo civile infiltrato in una banda di narcos internazionale.

Il ruolo dello stato negli affari dei narcotrafficanti

Franciosi riesce così ad entrare e immischiarsi completamente negli affari miliardari di questi traffici che collegavano Italia, Spagna ed America Latina, riuscendo a portare a compimento l’operazione Albatros, che l’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso definirà «il maggiore sequestro nella storia della lotta al narcotraffico ai danni della più imponente e pericolosa organizzazione di importatori di droga d’Europa».

Con questa operazione sono venuti anche fuori i due modelli principali di delinquenza statale legati al traffico di droga: da un lato, la corruzione attraverso la neutralizzazione del potere dello Stato, quando l’iniziativa è nelle mani dei trafficanti di droga, e, dall’altro, la corruzione attraverso l’abuso di potere quando l’iniziativa spetta ai dipendenti pubblici.

Il predominio dell’una o dell’altra forma di corruzione dipende in larga misura dalla storia dello Stato e dall’equilibrio di potere tra le istituzioni pubbliche e le reti del traffico di droga. Ad esempio, il caso del Messico, dove le varie amministrazioni rimasero a lungo sotto la tutela de facto di un unico partito, potrebbe presentare una somiglianza maggiore al riguardo con il caso della Cina che con quello del Brasile, dell’India o della Colombia.

Fabiana Criscuolo
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