La Cospirazione del Cairo: recensione

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La Cospirazione del Cairo (Boy from Heaven) è un film di Tarik Saleh, presentato in anteprima al Festival del cinema di Roma 2022 e attualmente nelle sale italiane grazie a Movies Inspired. Il film era stato peraltro scelto come pellicola svedese da presentare agli Oscar.

Con la crescente globalizzazione del nostro mondo, finalmente anche una nicchia finora inesplorata sta venendo scoperta dal pubblico di massa occidentale: il cinema d’area araba. Certo, i grandi autori non mancano: Mehdi Barsaoui, su tutti. Eppure, finora, nessun autore aveva avuto l’ardire di proporre un thriller politico – un sottogenere ben specifico, e, soprattutto post primavera araba, capace di sfiorare se non proprio afferrare tematiche scottanti.

Ed è stata questa la genesi de La Cospirazione del Cairo per l’egiziano/svedese Tarik Saleh: sullo sfondo della grande scuola coranica di Al-Azhar, una delle piu’ importanti del mondo musulmano sunnita, si dipanerà una storia di crudeltà, violenza, tradimento, e, forse, come la debole luce della speranza in fondo al vaso di Pandora, di redenzione.

Saleh è, innanzitutto, l’autore di Metropia. Semmai vi fosse capitato di navigare Youtube fra il 2010 e il 2009, sareste incappati nell’ottimo lavoro di animazione diretto dal regista – un mondo fra l’utopico e il distopico, asfissiante sci-fi paneuropeo. Alcuni topòi di Metropia sono mantenuti ne La cospirazione del Cairo: l’amore, appunto, per il cospirazionismo e come creature umane innocenti, ingenue, e sempliciotte, reagiscano nel ritrovarsi in situazioni stratificate, multi architettate, infinitamente piu’ grandi di loro; la distinzione quasi manichea fra bene e male, ma, anche nel male, una goccia di giustificazione per un bene superiore sempre presente – laddove in Metropia vi era il controllo mentale sulla popolazione, ne La Cospirazione del Cairo quel male è rappresentato dai poteri occulti, fortemente politici, lontani da Allah, che mirano all’elezione del nuovo Shaykh – grande imam.

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Egitto, qualche anno prima della rivoluzione che portò alla deposizione del pluridecennale leader Mubarak. Paesino di pescatori. Famiglia tutta al maschile orfana di madre e moglie. Adam (Tawfeek Barhom) è il figlio maggiore, un devoto musulmano dalla fulgida intelligenza, ma, allo stesso tempo, un cuore ancora incorrotto ed una incrollabile fede in Allah. Una insperata lettera aprirà le porte, per Adam, di Al-Azhar, la scuola coranica piu’ prestigiosa dell’Egitto. Il giovane si troverà incredibilmente presto incastrato, fili di colla velenosa a tenerlo immobilizzato, in una grande cospirazione per l’elezione del nuovo Grande Imam del mondo sunnita.

Attorno ad Adam si muove una coorte quasi esclusivamente al maschile – scelta che, seppur ovvia, per un pubblico occidentale può risultare straniante – fra cui spicca l’agente dei servizi segreti Ibrahim (Fares Fares), una figura fra il paterno e il tirannico, ma, che, nella poetica complessiva di Saleh, rientra assolutamente fra i buoni purtroppo asserviti ad un potere dalle cui catene non sanno o non possono liberarsi. Adam sarà anche in grado di stringere amicizie sincere, come non pensava fosse possibile con ragazzi così diversi da lui. Egli diverrà un uomo nel peggior e piu’ traumatico dei modi, ma senza perdere la sua innocenza così tanto riverita dal potente shaykh cieco, il benevolo Neghem (Makram Khoury). Ancora, l’ambivalenza – ma anche l’equilibrio, e l’attualità politica – della sceneggiatura de La Cospirazione dei Cairo, che le è valso il premio all’ultima edizione del Festival di Cannes, è incarnata nel gruppetto di Zeloti – mi si perdono il prestito da un’altra religione abramitica – comandato da Soliman (Sherwan Haji, attore di etnia curda fra i piu’ promettenti della sua generazione), sostanzialmente una cellula dei fratelli musulmani interna alla scuola piu’ sacra dell’Islam. Tale ruolo, di contraltare al suo putativo capo e potenziale grande Imam Durani (Ramzi Choukair) sminuisce volutamente il secondo e fa giganteggiare il primo: il potente valore della follia idealista della gioventu’, cui Adam, placido in apparenza ma tormentato protagonista, è ansioso spettatore. Infatti, al pari del protagonista di Metropia, Adam è quasi esclusivamente vittima passiva degli eventi, ed è solamente l’ansia, umana ma pacata, a mostrare la sua reazione. Nel finale, però, la parabola di lieve ascendenza di Adam subirà un’improvvisa accelerazione, in un ottimo e soddisfacente finale dolceamaro.

La Cospirazione del Cairo: recensione 1

Il cinema di  Tarik Saleh, debole nelle altre prove dopo Metropia – Tommy, The Contractor – brilla quando si trova nel suo ambiente: sceglie un cast in grado di parlare l’arabo fluentemente, sebbene con diversi accenti; scrive da sé la sceneggiatura e lascia ampio raggio d’azione a interpreti come Fares, Haji e Khoury, mentre per Barhom, il timido Adam, scrive scene perfettamente adatte al viso ancora acerbo del giovane. In svariati sensi, La Cospirazione del Cairo è però un noir/poliziesco nordico: asfissiante nell’ambientazione, minimal nelle scenografie e nel commento musicale, si avvicina alla trilogia Millennium di Oplev, ma la terrificante descrizione nella co-dipendenza psicologica di Adam con tutto il male che lo circonda sfiora le tematiche di Speak no Evil di Christian Tafdrup; la narrazione lenta, incentrata sul dialogo, sugli sguardi, e la placida ma bollente costruzione del finale fa ricadere La Cospirazione del Cairo perfettamente nella categoria. Un lavoro che brucia lento, ma che incuriosisce e colpisce.

Dal lato puramente registico, La Cospirazione del Cairo non brilla per ardire di inquadrature, ma è efficace nel descrivere i momenti salienti come visti dal punto di vista di Adam: il suo terrore all’assassinio di Zizo (Mehdi Dehbi) e la sua sacrale dignità nel finale. Non si avvale di piani sequenza, non esagera con campi larghi atti a confondere e stupire, ma descrive la socialità della vita ad Al-Azhar e sacralizza la grandiosità della grande Moschea. Allo stesso modo, la fotografia di Pierre Eim è naturalistica ma non colpisce né evidenzia in modo fulgido i momenti salienti della trama.

Sebbene non un capolavoro, La Cospirazione del Cairo è un film eccellente che ha il pregio di avvicinare il pubblico occidentale a tematiche da esso lontane, ma con un linguaggio cinematografico tutto europeo e che è una efficace sintesi di quanto il vecchio mondo ha saputo esprimere – d’area europea ed araba.

Giulia Della Pelle
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