Pinocchio, il capolavoro di Carlo Lorenzini, in arte Collodi, torna a rivivere nelle sale cinematografiche nella versione di Matteo Garrone.
Un cast che è immagine dell’Italia, con una nutrita compagine proveniente dal Sud e dalla Toscana, con Roberto Benigni nei panni di Geppetto e Federico Ielapi in quelli di Pinocchio.
Pinocchio, un tipo poco raccomandabile
Due sono i classici della nostra letteratura per l’infanzia: Cuore e Pinocchio. Un tempo se la giocavano, soprattutto tra i banchi delle elementari e in quella fascia d’età; oggi il successo del primo ha perso di smalto a vantaggio di un nuovo sistema di valori che certo non si rispecchia in quelli tutti ottocenteschi di fedeltà alla patria, dedizione alla famiglia e fiducia nel duro lavoro.
Ma Pinocchio… Pinocchio non conosce crisi. Tutti possono rivedersi nel burattino – che poi burattino non è, ma marionetta senza fili – proprio perché in tutti esiste un lato ribelle. L’attualità del personaggio nasce da questo. Pinocchio è il modello negativo che aspettavamo, perché finalmente ci mostra come anche sbagliare faccia parte dell’umano. Certo, il più delle volte si paga, ma, se disposti ad imparare dai propri errori, non si esclude una possibile assoluzione.
Una nuova versione cinematografica per Pinocchio
Di Pinocchio sono state fatte decine di versioni cinematografiche. Quella di Garrone è l’ultima in ordine di tempo, ma un confronto con quelle che l’hanno preceduta è senz’altro doveroso. La madre di tutte risale al 1972 ed è lo sceneggiato televisivo (visionabile su Raiplay, qui) che porta la firma di Luigi Comencini. L’altra grande versione è quella di Roberto Benigni, uscita nel 2002. In entrambi i casi i registi vollero svincolare la storia dal monopolio di attori toscani in un romanzo che molto risente della tradizionale ambientazione toscana. Garrone ha fatto tesoro della lezione e, pur decidendo di dare in appalto ad attori del Granducato ruoli principali e minoritari – nel cast, oltre a Benigni, figurano Massimo Ceccherini nei panni della Volpe, Sergio Forconi nel ruolo del venditore dell’abbecedario e Maurizio Lombardi interprete del Tonno – ha costituito un gruppo di professionisti provenienti da varie zone d’Italia e non solo. La fata turchina adulta, infatti, è interpretata dall’attrice francese Marine Vacth.
Il Pinocchio di Garrone: un racconto realista
Chi va al cinema a vedere Garrone sa che le narrazioni edulcorate non sono il suo forte. Il regista si era già cimentato nel genere fiabesco nel 2015 riproponendo una selezione di racconti tratti da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Dici “fiabe” e viene immediata l’associazione con i bambini. Ma che disagio devono avere provato alcuni genitori nel mostrare ai propri figli scene cruente come quella del pasto a base di cuore di drago o effusioni troppo spinte in cui per il rotto della cuffia si è salvaguardato il pudore.
In Pinocchio, Garrone non rinuncia alla sua schiettezza, ma questa non appare così perturbante come nel precedente lavoro. Il capolavoro di Collodi ha già di per sé una venatura fortemente realista e Garrone sembra trovare il terreno ideale per raccontare a modo suo la storia del pezzo di legno.
La miseria si taglia col coltello
Con pochi oculati accorgimenti, Collodi era stato capace a suo tempo di descrivere la dura vita di campagna alla fine dell’Ottocento. Il fuoco dipinto nella casa di Geppetto, la fame di Pinocchio che prima sdegna le umili pere del padre per poi lasciarlo a bocca asciutta privandolo pure delle bucce che si apprestava a mangiare ci hanno fatto toccare la miseria con mano. Questi particolari non si ritrovano nel film di Garrone, ma molto altro contribuisce a tratteggiare la condizione sciagurata della gente del posto, soprattutto Geppetto. Proprio all’inizio del film, per esempio, si ritrova il povero falegname alla ricerca di qualcosa da masticare. E l’oste del paese, pur di mettere a tacere quell’anima in pena che, con la scusa di lavoretti da fare per aggiustare l’attrezzatura di sala, altro non cerca che un impiego per guadagnare due soldi, lo liquida con una ciotola di minestra.
Gli “amici” di Pinocchio
Pinocchio ignora cosa sia la miseria ed è forse per questo che si getta in tante imprese sconsiderate trascurando le conseguenze, anche di natura economica, che potrebbero piombare sul capo del babbo Geppetto. Vende l’abbecedario che il padre gli aveva faticosamente procurato impegnando la giacca, non si presenta a scuola, si allontana dal paese all’insaputa del genitore. E, si sa, lontano da casa i pericoli sono sempre in agguato. Dopo aver ricevuto da Mangiafuoco (Gigi Proietti) i cinque zecchini d’oro, Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe che prima lo spennano alla locanda con un pasto succulento sul suo conto – e nel film l’interpretazione di Ceccherini e Papaleo rende splendidamente l’immagine della voracità e dell’opportunismo dei due loschi individui – e poi cercano di fargli la pelle travestiti da assassini. Ecco, proprio la scena dell’impiccagione si carica in Garrone di una potenza espressiva molto suggestiva. Il Gatto e la Volpe siedono ai piedi dell’albero aspettando che Pinocchio abbia esalato l’ultimo respiro; Pinocchio, svenuto, viene rappresentato in controluce cosicché di lui non ci resta che una sagoma scura sospesa a mezz’aria. Impressionante.
Non dimentichiamo gli amici veri
Un personaggio che Garrone valorizza notevolmente è la fata turchina. Fedele alla versione originaria, la rappresenta come una bambina e come una donna adulta. E qui il regista tocca uno degli apici della sua opera. Il primo incontro, infatti, è con la bambina che lo accoglierà nella sua dimora signorile, ma di una signorilità decadente che sa d’abbandono, dopo averlo salvato dall’impiccagione. E qui, splendida trovata che travalica il messaggio di Collodi – ma, considerato che il romanzo nasce per parlare ai bambini, ci sta proprio bene – vediamo i due coetanei condurre giornate spensierate insieme, fatte di scherzi alla governante lumachina. Un piccolo angolo di paradiso che ci ricorda quanto siano belle l’infanzia e l’amicizia.
Un Pinocchio da non dimenticare
Garrone dà vita, nel complesso, a un film di spessore. Ottima la scelta degli attori, ottima la fotografia e la regia. Qualcuno gli contesta il fatto di essere troppo distaccato, incapace di suscitare vere emozioni. Può darsi. Come va rilevato che, a differenza di altre versioni cinematografiche, qui domina l’umorismo a scapito della comicità. Umorismo pirandelliano, che tramite un amaro sorriso si propone di far riflettere. Però non mancano neppure le felici intuizioni, come nella scena di Pinocchio di fronte al giudice che evita la galera solo perché inizia a denunciare una serie di misfatti immaginari di cui sarebbe colpevole. E lì, in quel paese dove si puniscono gli innocenti e si lasciano in pace i delinquenti, chiaro riferimento alla nostra Italia, Pinocchio se la cava inventando, per una volta, storie a fin di bene.
Massimo Vitulano
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