Prisma, la nuova serie dai creatori di SKAM Italia, è disponibile a partire dal 22 settembre su Amazon Prime Video. Riuscirà la stagione con i suoi otto episodi ad avere le spalle abbastanza larghe per farsi carico dei fardelli della generazione Z?
Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo lavorano insieme su questo nuovo progetto, con la volontà di differenziarsi rispetto all’esperienza maturata con la serie Skam Italia. A tal proposito, Bessegato è rimasto alle redini della quinta stagione di Skam Italia solo nelle vesti di showrunner, non un abbandono quello dell’autore quanto piuttosto un distacco fondamentale per poter dar luce a questa nuova creatura.
Prisma è una serie ambiziosa che rielabora alcune delle tematiche già viste in Skam Italia sotto nuove vesti: il format è molto meno stretto, le possibilità visive e registiche più raffinate e le trame più elaborate. Per questo la dimensione del racconto si fa di più ampio respiro rispetto a quanto visto in Skam Italia e il personaggio principale non è più costretto a compiere il proprio arco narrativo nel giro di dieci episodi. Cambiano le vicende ma cambia molto anche la location, in Prisma infatti non siamo più a Roma ma a Latina, una scelta che ha ben poco di casuale. Come dichiarano i due creatori della serie: «Latina è una città che non assomiglia a nessun’altra: novant’anni di fondazione, non ha un dialetto, non ha un centro storico, è tutta un’identità in costruzione». E proprio questo spazio del divenire a farsi contenitore di innumerevoli storie di liceali che cercheranno di capirne un po’ di più dell’adolescenza e delle proprie vite; lo capiranno fin da subito i due gemelli Marco e Andrea, i veri protagonisti della serie. Il giovanissimo Mattia Carrano dimostra una solida prova attoriale, riuscendo a caratterizzare coerentemente entrambi i gemelli e cogliendo le loro differenze di fondo. Andrea comincia a indossare abiti femminili piacendosi ma non riuscendo a comprendere cosa gli stia accadendo; l’altro, Marco, è innamorato perso di Carola ma troppo insicuro e timido per dichiararsi.
La scoperta di sé è un’indagine profonda e lenta che vede il susseguirsi di errori, false piste, prese di distanza e prese di coscienza. In questa esamina è fondamentale quella qualità che ben intuiscono i due creatori della serie Bessegato e Urciolo: l’apertura verso l’altro. La ricerca dell’io non è mai completamente solitaria, per completare il mosaico è necessario disporre di quel tassello mancante, un tassello a noi sfuggente e che solo l’esterno può fornirci. C’è bisogno di andare nel mondo per scoprirsi fino in fondo e di questo se ne rende conto fin da subito anche Andrea che inizialmente nasconde il desiderio di travestirsi ma un po’ alla volta comincia a sentire il bisogno di comunicarlo. Andrea trova rifugio nella LGBTQ+ helpline, un numero di assistenza psicologica che lo aiuterà in questo suo percorso di comprensione e di crescita, nel mentre inaugura un profilo instagram anonimo dal nome “no_one_knows_me_like” in cui reinventarsi un’identità digitale e pubblicare le proprie foto più intime con addosso abiti diversi. In una delle scene iniziali, Andrea confessa candidamente al telefono: “Un po’ per gioco qualche giorno fa ho provato una foto un po’ diversa, della mia schiena. Ho ricevuto apprezzamenti e mi sta piacendo. Significa che sono un trans?” e subito gli viene risposto: “(..) Non avere fretta di darti delle etichette”. È l’inizio di un graduale percorso di riconoscimento che riguarderà, anche se in modo diverso, tutti i personaggi della serie. Gli autori cercano quindi di inscenare una dimensione corale del racconto in cui vengono equamente rappresentati tutti i vari drammi dei personaggi.
Nel racconto di Prisma i personaggi tornano spesso sui propri passi e, nel corso delle puntate, la narrazione si riavvolge all’indietro più che in avanti con flashback che riprendono le vicende di “cinque mesi prima” o “due anni fa”. Sono soprattutto le emozioni e le passioni a muovere i fili invisibili del racconto, rivelandocene tutta la sua complessità. Per questo risulta emblematico il titolo della serie “Prisma” che allude non solo alle diverse sfaccettature della realtà, come le numerose facce della figura geometrica in questione, ma anche al fenomeno della rifrazione per cui un raggio incidente di luce bianca investendo un prisma si scompone restituendoci un arcobaleno, simbolo per eccellenza della comunità LGBTQ+. Ma definire Prisma come una serie che tratta semplicemente tematiche LGBTQ+ sarebbe riduttivo, tante altre sono le questioni e le riflessioni che vengono poste. Le due più ricorrenti riguardano il bisogno di approvazione dagli altri e la ricerca della popolarità, cose che puntualmente si traducono in delusioni o vanagloria. Temi, del resto, che ci trasciniamo per tutta la vita e che non riguardano solo il mondo adolescenziale.
Ma a questo Prisma non è interessata, non c’è spazio per gli adulti che vengono rappresentati per tutta la serie come persone per nulla in grado di comprendere appieno i bisogni dei più giovani: i professori del liceo sono meri esecutori di un incarico statale, inetti a cogliere le diversità e le peculiarità di ogni singolo ragazzo; i genitori sono gli eterni assenti e i frustrati che danno luogo a banchetti inquisitori con i propri figli; il nonno è un nostalgico fascista che ha insegnato al suo pappagallo a ripetere “Duce” in continuazione.
Mentre il mondo dei ragazzi corre velocissimo, quello degli adulti sembra sospeso nel tempo impossibilitando così qualsiasi forma di comunicazione. Una scelta che mi ha riportato alla mente il primo lungometraggio del regista taiwanese Tsai Ming-Liang “Rebels of the Neon God”. Nel film in questione, dopo diversi fallimentari approcci di comunicazione e di comprensione reciproca padre-figlio, c’è finalmente un tentativo di riappacificazione. In una sequenza il padre, un burbero tassista, porta suo figlio in giro per Taipei; i due si fermano e fanno tappa da un fruttivendolo dove comprano della frutta fresca tagliata in pezzi e cominciano a mangiarla sul posto. Ad un certo punto il padre prende con insistenza a porgere la frutta nella coppetta del figlio che rimane completamente inerte, tra il turbato e il rassegnato. La frutta, sempre più abbondante, cade a terra mentre il padre noncurante continua ad elargirla in quantità sempre maggiori, quasi come se tutto quel cibo potesse colmare un qualche tipo di vuoto. E da qui emerge tutta l’amarezza della scena, c’è davvero ben poco da saziarsi e da riempirsi con un qualcosa di cui non si ha la più pallida idea di cosa farsene. Così è il mondo degli adulti anche in Prisma, convinti di dare ciò che serve senza mai dare veramente ciò di cui si ha bisogno.
A questo punto non posso che consigliarvi di recuperare il sopracitato film e la serie Prisma, nel frattempo rimanendo in attesa di una seconda stagione non posso che confidare nel fatto che la serie in futuro saprà rimuovere alcune semplificazioni. Il mio auspicio per la seconda stagione è quello di sapersi dimostrarsi ulteriormente inclusiva anche nel raccontare più dettagliatamente i problemi adolescenziali dei ragazzi in condizioni di disagio economico o con altre fragilità e non solo le storie dei figli di famiglie benestanti o altolocate.
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