Lin-Manuel Miranda, regista statunitense di origine portoricana esploso a Broadway con i musical In the Heights e Hamilton: an American Musical (che gli hanno fatto guadagnare un Premio Pulitzer, tre Grammy Awards e tre Tony Awards), al suo debutto sul grande schermo realizza un’opera estremamente sentita e partecipe.
Perché Tick tick… Boom! è la storia di Jonathan Larson (4 febbraio 1960- 25 gennaio 1996), giovane e spiantato autore di musical, prima del successo dei futuristici Tick, tick…Boom! e Rent, che avrebbero innovato e rivoluzionato il Musical e che gli avrebbero fatto guadagnare il Premio Pulitzer e tre Tony Awards, purtroppo tutti postumi.
Veniamo alla trama di Tick tick… Boom!:
Jonathan (Andrew Garfield) è un ragazzo che lavora come cameriere in una tavola calda e che sogna di sfondare a Broadway come autore di musical. In prossimità del suo trentesimo compleanno vive un periodo di profonda crisi perché il successo tarda ad arrivare. Continua a fare paragoni con il suo idolo e fonte d’ispirazione, Stephen Sondheim tra i parolieri di West Side Story e più tardi autore tra l’altro del capolavoro Sweeny Todd (da cui Tim Burton nel 2009 aveva tratto il meraviglioso film omonimo con uno straordinario Johnny Depp) che invece era arrivato al successo all’età di ventisette anni.
Oltre a questo continuo complesso d’inferiorità Jon in Tick tick… Boom! deve far fronte alle difficoltà pratiche della vita: la notizia della positività all’HIV di un suo amico e collega, le condizioni economiche precarie che gli permettono di vivere solo in condivisione in uno a dir poco “stravagante” appartamento, dove ci si lavano i denti in un lavandino con una pila di piatti sporchi e ci si fa la doccia in cucina.
A questo si aggiungono da una parte le pressioni della fidanzata Susan (Alexandra Shipp) che vorrebbe trasferirsi sulle montagne dello Berkshire, località dove lei potrebbe svolgere il più sicuro lavoro di insegnante e dove crede che anche il ragazzo potrebbe trovare un lavoro più stabile, e dall’altra la delusione per il “tradimento” del suo miglior amico Michael (Robin de Jesus), che decide di mettere da parte le sue aspirazioni artistiche d’attore e di andare a lavorare in un agenzia di pubblicità, cambiamento che gli permetterà di avere uno stile di vita ben diverso.
Tutto questo mentre è alle prese con l’organizzazione di un workshop per presentare ai produttori di Broadway un musical a cui sta lavorando: Superbia. Concentrato al massimo su questo progetto, decide di lasciare il lavoro alla tavola calda, getta al vento un’occasione lavorativa procuratagli da Michael e cerca di rimandare il momento in cui dovrà dare una risposta definitiva a Susan circa il trasferimento; fino a quando la ragazza, per quanto innamorata, decide di lasciarlo.
Finalmente arriva il giorno del workshop e un Jonathan in preda all’ansia riceve il supporto della cantante solista, Karessa (Vanessa Hudgens), e la gioia della presenza dei genitori, della cui perplessità per le sue scelte si rende conto a malincuore. Tuttavia è felice per la presenza del suo amico Michael e soprattutto emozionato per la presenza del faro della sua carriera Stephen Sondheim (Bradley Whitford).
La presentazione si rivela un successo; ma neanche il tempo di goderne che arriva la doccia fredda. La sua agente Rosa Stevens (Judith Light) gli comunica infatti che il musical pur essendo stato apprezzato non verrà mai prodotto; troppo elevata e difficile la materia (in effetti Larson si ispirò al distopico 1984 di George Orwell) e alti i costi di produzione. A questo punto l’autore decide di abbandonare i suoi sogni di gloria e va da Michael per chiedergli di aiutarlo ad ottenere il lavoro nell’agenzia di pubblicità.
Di fronte all’evidente frustrazione e tristezza del suo miglior amico, Michael lo incoraggia a non arrendersi; lui aveva rinunciato all’ambizione di diventare attore perché si è reso conto di non avere talento, talento che invece Jon ha. Oltre ad incoraggiarlo gli rivela che anche lui è sieropositivo. Ma la spinta definitiva ad andare avanti arriva da una telefonata di Sondheim, che gli dice di aver molto apprezzato il suo lavoro, che lo appoggia e che vuole incontrarlo di persona.
Tick, Tick… Boom! è, senza aver paura di esagerare, un film bellissimo. A cominciare dalla regia di Miranda, che con il suo dinamismo, resta fedele all’idea stessa di rappresentazione che aveva Larson. Come detto all’inizio, il drammaturgo statunitense rivoluzionò il musical, rendendolo più veloce, in linea con un periodo in cui i giovani erano abituati allo stile di MTV. E soprattutto ebbe il grandissimo merito di raccontare il dramma dell’AIDS.
Notevole il montaggio di Andrew Weisblum, giustamente candidato agli Oscar. Per quanto riguarda le musiche, è da sottolineare la meraviglia di alcuni momenti, come l’esibizione corale di Sunday, il duetto “a distanza” di Karessa e Susan nella meravigliosa Come to your senses, Why di Jonathan, e il duetto dello stesso Jon e di Michael No more.
Ma il valore aggiunto di Tick tick… Boom! è Andrew Garfield. Presente in tutte le scene, in una sorta di one-man show Garfield recita, canta, si muove come un funambolo. La sua incredibile immedesimazione con Larson viene fuori soprattutto nei momenti in cui deve esprimere i dubbi, la frustrazione, l’ansia per il tempo che passa, il dolore, la delusione e infine la gioia.
Ma oltre l’autore di Rent, l’attore anglo-americano è la rappresentazione di tutti i giovani i cui sogni fanno fatica a diventare realtà e che si scontrano con i limiti della realtà. Una voce anche per i molti che non hanno avuto la forza di insistere e che “cedono” alla prospettiva di una vita più rassicurante. E sarebbe una gran bella notizia se, dopo il Golden Globe come Miglior Attore Protagonista in un film commedia o musicale, arrivasse l’Oscar.
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