Il sole è tramontato sulla monarchia britannica
In un caldo giorno di settembre, sotto un cielo grigio e un arcobaleno che fa da cornice ad una bandiera che sventola a mezz’asta, il popolo intona – per l’ultima volta – God Save the Queen.
È in questo scenario che il mondo intero ha salutato – per sempre – il Novecento. Quel “secolo breve” teatro di stravolgimenti sociali, politici e culturali senza precedenti. Perché la morte della Regina Elisabetta II rappresenta la fine di un’Era: dal dopoguerra al dopo pandemia, da Churchill alla Brexit, dalla guerra fredda alla globalizzazione, da Gorbaciov a Putin, da Kennedy a Biden. Al suo cospetto sono passati 15 primi ministri, 14 presidenti americani e 7 papi.
Pensavamo fosse eterna, tutti. Anche i repubblicani convinti – come me – perché un azimuth della storia come la Regina Elisabetta II è difficile da non amare, da non prendere in considerazione, da non omaggiare.
Non è un caso se proprio lei è stata la ragione per cui un’artista provocatoria come Tracey Emin – la cui opera più famosa è un letto sfatto con lenzuola sporche e oggetti sparsi qua e là – si è dichiarata una “monarchica segreta”. È stata anche la ragione per cui Vivienne Westwood – la stilista britannica associata all’estetica punk e new wave – ha dichiarato, come milioni di altre donne in tutto il mondo, di essere una “grande fan” della regina Elisabetta.
Non era solo una sovrana della monarchia più longeva al mondo, dedita al suo popolo, ligia al dovere e con la schiena dritta, sempre con quella sua delicata neutralità costituzionale. Lei era prima di tutto una donna che si è sposata per amore – cosa non scontata per le donne dell’epoca, tutte – e che non si è trattenuta dall’uscire da quella rigorosa serietà imposta dall’etichetta reale. Ho amato quei momenti imprevedibili che l’hanno vista alla guida della sua Range Rover incappucciata, oppure cedere ad una risata spontanea con il principe Filippo o stupirsi davanti la visione di una mucca.
Un punto di riferimento saldo ed incontrollabile per un’intera nazione da 70 anni, colei definita come l’immortalità della storia fatta persona.
Quando la regina Elisabetta II fu incoronata regina d’Inghilterra nel 1953, il mondo era un posto molto diverso da quello che vediamo oggi. L’impero britannico aveva ancora colonie sparse in tutto il mondo, il World Wide Web avrebbe fatto il suo ingresso decenni dopo e la Luna era solo un ‘sogno proibito’ per due nazioni impegnate nella guerra fredda. Non c’era mai stato un primo ministro donna, l’Unione Europea era un’utopia e la maggior parte dei paesi stavano raccogliendo ancora le macerie del secondo conflitto mondiale.
L’Unione Sovietica era guidata da Stalin, gli Stati Uniti da Truman e in Vaticano c’era Pio XII, ma la Gran Bretagna governata da Churchill si avviava a quella che è passata alla storia come l’Era elisabettiana, proiettando una nazione intera verso il futuro della modernità e del progresso, dove la nobiltà ha visto declinare la sua posizione di potere e influenza.
Non per lei, ma con lei la televisione prende il posto della radio e fa la sua entrata in scena, catturando i cuori e le menti delle persone in cerca di intrattenimento. Il piccolo schermo divenne sempre più dominante negli anni del suo primo decennio di regno, dove la sua incoronazione fu seguita attraverso le immagini della tv, invece che ascoltata in radio, la prima volta per un evento del genere.
Nelle innovazioni tecnologiche e comunicative che si trovano le contingenze e le pressioni della storia del Novecento. È proprio in questo scenario che nascono i contrasti derivati dall’incontro anacronistico tra l’eternità della Corona e il tempo di una Regina “simbolo di modernità, cambiamento e progresso”, per citare le parole del tanto discusso zio Edoardo. In tutto questo è impossibile non pensare ai contrasti dovuti alla questione di genere, dove Elisabetta è sempre stata circondata da uomini forti in un mondo patriarcale, compresa l’era Tatcher.
Una regina pop a tutti gli effetti
Il regno della regina Elisabetta ha visto la proliferazione della fotografia a colori, la commercializzazione della televisione e l’invasione di Internet. È stata dipinta e fotografata; rappresentata su monete, magliette e oggetti; c’è persino una bambola Barbie che ha il suo volto. Una figura che ha spinto a rinnovare plessi analitici che hanno segnato e rivoluzionato la riflessione filosofica contemporanea.
È stata simbolo bidimensionale con Andy Warhol nell’opera serigrafica della Pop Art a protagonista di film e serie tv come The Crown che hanno raccontato parte della sua storia e quella della sua famiglia; senza dimenticare lo spot con Daniel Craig nei panni di James Bond per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi del 2012 a Londra e la partecipazione alla London Fashion Week, seduta al fianco di Anna Wintour.
In un mondo proiettato sempre di più verso una vocazione repubblicana, la regina Elisabetta rimane – l’unica e vera – incarnazione della sovranità, capace di far dialogare il vecchio e il nuovo. Perché è stato semplice provare affetto e simpatia per una signora anziana pilastro della stabilità in tempi tumultuosi. Elisabetta II è stata la dimostrazione più evidente che la sopravvivenza della monarchia dipenda sempre dalla personalità e dal temperamento di chi porta la Corona.
“Era sempre la ragazzina del grande palazzo, con il naso premuto contro la finestra. Le piaceva pensare che molti dei suoi sudditi vedessero in lei qualcuno molto simile a loro”.
Dio salvi la regina.
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