“Riproduzioni in scala”: la poesia enciclopedica di Demetrio Marra

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Riproduzioni in scalaNon riempivo di note una raccolta di poesie e non facevo le orecchie alle pagine dai tempi del Liceo, quando i libri “da leggere assolutamente” erano ancora tanti e la frenesia di saperli tutti in tempo era conseguente. Ecco, non si annotano tutti i libri: annotare presuppone una lettura che non sia quella comoda e orizzontale del letto o del divano

Si annotano i libri buoni, ricchi, che valgono lo sforzo della lettura alla scrivania. Il libro di Demetrio Marra (classe 1995) è uno di questi: corposo, complesso, dalla lettura impegnativa a tratti difficile (lunga vita a questi testi!) per la presenza di versi densi di citazioni, riferimenti letterari e legati alla toponomastica dell’autore. I luoghi, infatti, riempiono le pagine della raccolta di Marra, poeta calabrese trapiantato a Pavia. Di questa ci sono l’università, le piazze, Corso Carlo Alberto, l’Almo Collegio Borromeo, i locali, pub e bar. Della Calabria, tra i tanti, la casa di famiglia e lo Stretto, pesante e incombente immagine che ogni tanto si riaffaccia nei versi.

Demetrio Marra Riproduzioni in scala
Demetrio Marra

In Riproduzioni in scala questi due mondi si incontrano (e scontrano) così spesso tanto da definire Marra poeta geografo

 La mole poi di riferimenti alla vita di città, al suo ritmo frenetico, fatto di spostamenti, lavoro, impegni, abitudini, gli è valsa la definizione di poeta urbano. Tuttavia, si sa, per quanto per comprendere si senta sempre il bisogno di definire, questo significa determinare fissando i limiti, delimitare, chiudere ad altre interpretazioni l’oggetto, sacrificare tutti quegli aspetti e quelle sfaccettature che non rientrano nella definizione. Non sono immune da questo virus nemmeno io, ma, rileggendo la raccolta in questo periodo che ci spinge maggiormente al pensiero, ho voluto ampliare i confini permettendo agli elementi barbari rimasti fuori di rientrare ufficialmente all’interno dell’opera. L’autore parla molto di città, ma non solo; la sua è un’opera enciclopedica che contiene all’interno tutti gli opposti del mondo e tutti i suoi aspetti e punti di vista (il titolo rimanda proprio a questo: le “Riproduzioni in scala” sono piccoli modelli di mondo, ciò che viviamo e che ci circonda).

Fin dalla prima lettura ho pensato a Marra, per il quale, come scrive Flavio Santi nella prefazione, “fare poesia è riprodurre, scardinare, sostituire”

 creando mappe e atlanti della modernità, come un odierno aedo, un cantore, un cucitore di storie (e forse non è un caso che Marra sia anche autore di poemetti). La Calabria dei suoi versi è spesso accompagnata da richiami all’epica e a tutta la mitologia legata alla Magna Grecia: “Oltre la linea / omerica di Scilla e Cariddi l’atterraggio / al Tito Minniti” (La vita a Kansas City, pag. 32). Secondo la tradizione, l’aedo era cieco, poiché così, non distratto dalla vista del mondo, più facilmente poteva entrare in contatto con la divinità a cui chiedeva ispirazione, attraverso gli occhi dell’anima. L’aedo moderno, come contrasto, ne ha invece un terzo: “Il terzo occhio che alcuni pensano di avere sulla fronte / io / lo tengo / in disparte e con la palpebra / serrata. È un bozzo / sulla destra / una cisti sebacea / che con luci calde allo specchio s’adombra / dà forma di sé nel cono del riflesso” (“Olvidarás al otro que dejaste”, pag. 56). Anche a Ulisse Marra assomiglia, in continuo spostamento pure lui. Regionale veloce, Frecciabianca, Intercity, Italotreno: nella raccolta ci sono tutti.

Demetrio Marra Riproduzioni in scala


Il poeta, inoltre, ha due luoghi principali, due case: Reggio Calabra e Pavia

“L’università e casa mia, le porto in me / come innesti […] casa significa lontananza dal Palazzo / e dall’Università e dall’Aula e dai luoghi comuni, / e dalle olive denocciolate agli aperitivi o dalle / patatine in sacchetto” (VI, pagg. 22-23). Sebbene l’essere andato via sia stato positivo: “Spatriato, e che bene mi ha fatto!” (LA CITTÀ SOSTITUITA, pag. 64), due città fanno sempre nessuna: “Siano, finalmente, A e B / due città. O vado nell’una / o vado nell’altra? No. In / nessuna, neanche per parti, io / ci sono.” (VIII, pag. 41). Tuttavia, tra tanti luoghi possibili, è nel non-spazio del treno che il poeta passa molto tempo. Qui, tra convivenze coatte tra passeggeri e possibili ritardi, Marra deve fare i conti con un compagno di spostamenti inusuale: il suo doppio (E COME IN SPECCHIO è il titolo della sezione), da cui si separa, riconoscendolo, solo una volta giunto a destinazione:

“Poi Pavia, fine corsa / del treno, dal sedile mentre tengo / la porta a ventola lo riconosco” (Intercity, pag. 45).

Tutti i luoghi menzionati sopra hanno chiaramente personaggi che li abitano: studenti, coinquilini, pendolari, lavoratori, precari, disoccupati. La poesia, anche fosse di respiro epico, ha bisogno di nuovi eroi e questi siamo noi: “i tuoi cavalieri – lasciali / passare a vita migliore” (IV, pag. 19). Noi, con tutte “le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni” montaliani fatti da bollette, mutui, polizze, rate universitarie e tutto il carico di oggetti che ci portiamo dietro e che ormai sono indispensabili alle nostre vite: TV, Ipod, Ipad, piatti, tappeti.

Mentre leggevo e ponevo questi oggetti in un elenco mentale, mi è venuto il mente Il museo dell’innocenza di Pamuk

Storia, inoltre, che coinvolge così tanti personaggi da spingere lo scrittore a pubblicare l’elenco dei loro nomi alla fine del romanzo. Marra, alla fine del libro, invece, inserisce delle note ai testi, per contestualizzare nomi e renderli comprensibili al lettore. Ma torniamo alla raccolta, il cui linguaggio, anche, si adatta a personaggi e ambientazioni. Termini tecnici o appartenenti al registro alto convivono con nomi di brand commerciali, anglicismi, neologismi, espressioni colloquiali e turpiloquio. È come se l’autore volesse dire al lettore che si ha bisogno di verità, anche nella poesia, soprattutto in un mondo dove l’apparenza è tutto. In ogni cosa c’è, quindi, il risvolto della medaglia, e il poeta non lo nasconde; per esempio:

“i quadri africani / che mio padre ha portato dal Kenia assieme / al virus intestinale” (VI, pag. 23).

È una poesia che non compiace, “poesia / debosciata” (VII, pag. 24) che quando sembra stia per raggiungere picchi di pathos, al verso successivo riscende giù in picchiata, lasciando stordito il lettore: “Atena all’Arena dello Stretto guarda / la città. / È un porco / che mangia e non ingrassa” (La vita a Kansas City, pag. 35).

Marra è un autore che non inganna il suo lettore, non imbelletta i versi, non presenta la sua terra natia come bella a prescindere, non idealizza la sua terra come Foscolo ha fatto con Zante

 Amare vuol dire in questo caso riconoscerne i difetti e sentire forte il diritto di denunciarli: “Pentimele, bellissima costa / se non ti avvicini” (La vita a Kansas City, pag. 33). La sua poesia dissacrante funziona attraverso l’uso sapiente di alcune figure retore, tra cui l’iperbole, il parallelismo e l’ossimoro. Molti accostamenti ossimorici stridono così tanto da produrre un effetto straniante e tragicomico, a cui poi segue l’attesa riflessione:

“E chi / non farebbe di tutto per un posticino, / avere una mucca, forse / un maiale e dei polli, da difendere con grandi / robot, contro eserciti interdimensionali” (LA CITTÀ SOSTITUITA, pag. 69).

Alcune contrapposizioni città/natura, inoltre, ricordano il Marcovaldo di Calvino; tra le tante: “Sull’autostrada crescono ficarazzi / come segnaletica complementare” (Lo svincolo di San Leo, pag. 29). Ciò che non troviamo nella poesia di Marra è una risoluzione di questi opposti: non c’è pace, o accordo. Cosa possono fare la poesia e il poeta? Non di certo nobilitare tutto ciò che viene inserito nei versi, anzi: il “pisciatoio” (La vita a Kansas City, pag. 33) è proprio un pisciatoio.

Quello che si può fare è metaforizzare ciò che si vive, che serve a ben poco se il trasferimento si fa verso un ambito semantico che manca o non si riconosce

“Il lampadario emette / luce a intermittenza al centro della camera. Anche questo / – di cosa, poi – è metafora” (Mitologie, pag. 40). Riprendendo il titolo della poesia appena citata (Mitologie) mi viene in mente una cosa. Capitava che gli eroi dei poemi epici intraprendessero una discesa nell’Ade e parlassero con persone defunte, le quali, libere dal concetto di tempo, riuscivano a vedere il passato come il futuro. Raboni, Bianciardi, Ottieri, Saba sono solo alcuni dei personaggi con cui il poeta dialoga attraverso i suoi versi. Ecco cosa fa la poesia, fa da ponte (non “crollato” come in VIII, pag. 41) tra i tre tempi e permette un dialogo continuo con chi non c’è più. Anche qui, però, Marra non permette chiuse patetiche: la sua discesa è particolare, satirica, sui generis: “scriverò una / discesa agli inferi per indigestione di pescespada e sarà / anche questa un’idea / riciclata”(Defecatio post mortem, pag. 59). È un materialismo che riporta sempre il lettore con i piedi per terra, e va bene così anzi, grazie.

Di seguito due poesie tratte dalla raccolta:

Nel diavolo, probabilmente
e sulla schiena delle donne, sul seno,
sulle labbra, ci si salva: nella poesia
debosciata e nel metro, eventualmente;
sui treni, sugli aerei anche se precipitano,
nelle macchine anche se investono,
nelle strade e sui marciapiedi

ma chi si salva davvero se qui fra
l’abbraccio delle scrivanie come la pressa
che accalora le bestie sono bloccato

Frecciabianca

La signora bionda di fronte a me
con indosso occhiali vintage mangia
un panino al salame dividendolo
con la figlia segretaria in un hotel
della Lombardia –
                                  è quadretto messo
così su due piedi per farmi dismettere
questo tono di lusso ontologico
prima che arrivi, così che il fondo
non perda colore, s’ingrigisca
lo scorrere dei bassipiani, che
le rotaie deraglino, che riesca la terra,
prima che lo stormo adesivo
si liberi dalle barriere antisuono,
che si scelga l’Apocalisse.

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Federica Gallotta
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