Il nuovo progetto, per Warner music/Elektra, di Achille Lauro, si intitola semplicemente Lauro. Uscirà domani, 16 aprile 2021. Siamo stati alla conferenza stampa di presentazione del disco.
Che Achille Lauro sia un vulcano di idee è noto. 1920, 1990, progetti side di 1969, sono i precursori diretti di Lauro. Lauro: semplice copertina, il gioco dell’impiccato, con la O finale evidenziata. Ma ci sono molti strati, molti livelli di interpretazione.
“Sono un perfezionista. Pretendo che anche le piccolezze siano perfette. Sono cresciuto in una comune di artistoidi, e fra di loro c’erano anche eccellenti musicisti e scrittori. Mi domandavo, sempre, prima di far uscire qualcosa, se quel qualcosa sia perfetto, sia di livello. Fare musica e fare arte è artigianato. La copertina è minimal, è una serie di cinque quadri, e ciascuno include una lettera in più.
Trovo che sia una metafora della vita, un gioco per bambini che rappresenta un omicidio. La O è rossa: in questo quadro si rappresenta la fine del gioco : una fine, per un amore, per la vita, per un lavoro. Un errore alle elementari, corretto in rosso. Oppure, il rifiuto di quella fine, che credevamo fosse il 2020. Infine, i generi musicali che ho incarnato a Sanremo.”
I generi musicali che descrivono Achille Lauro: punk rock, pop, musica classica, glam, rock ‘n roll.
“Il glam rock, la L. E’ un manifesto di libertà, lo è stato e lo sarà. Essere tutto, essere niente, essere teatro ed essere soli allo stesso tempo, come dei clown. Il rock ‘n roll di Sanremo, seconda serata: un manifesto di cambiamento, un ballo a due, spensierato. La u sta per popular music: il pop, bistrattato e considerato frivolo in Italia.
Il punk rock per me è declinazione di ciò che è unico, originale – la globalizzaizone purtroppo ha uniformato tutto. Le classifiche sono tutte uguali in tutto il mondo. I ragazzi oggi emulano solo ciò che funziona, non le loro vere aspirazioni. Dio benedica chi se ne frega! È il vero messaggio del punk. Io ho sempre fatto ciò che non ci si aspettava da me, con l’urban, con Rolls Royce a sanremo.
Tutte le scelte della mia carriera sono state considerate errate: ma sono stato fortunato, con la mia discografica che mi ha dato fiducia, Fiorello e Amadeus, e Sanremo. E, infine, classic orchestra: la musica, per me, cattura le mie personalità. Gli elementi dell’orchestra sono persone che hanno studiato singolarmente, sono solisti, ma che insieme formano un tutto, l’opera. Ed è una grossa metafora per il mondo intero, per la nostra società.
Ecco il senso della copertina. C’è un significato più profondo. Per me, ogni brano che ascolto, ha un colore. Quando chiedo a qualcuno di descrivermi un brano con un colore, spesso mi viene risposta una sfumatura simile: allora la musica si guarda anche, allora la musica è anche immagine. È da qui che nasce la costruzione del vestito: è un’unica entità. Mo viene detto di essere modello di Gucci, prodotto di marketing: no, sono solo un gran lavoratore. Ossessionato da ciò che faccio. Lo amo. Amo immaginare qualcosa e poi renderlo tangibile.
La musica mi ha insegnato ad immaginare un progetto e realizzarlo. Aiuto tutti sui set: guardo i dettagli, ho un team ben selezionato di amanti del proprio lavoro. A partire dal manager, dal direttore creativo. Non lo fanno per lucro, ma per amore del loro lavoro. Non è né arte né poesia, è artigianato. Abbiamo messo un mattone sopra un altro, scoperto il fallimento e scoperta la chiave del successo. Nessuno ci ha buttato facilmente sul palco di Sanremo. Li invito a seguirci, per il livello di dettaglio e studio dietro ogni pezzo e performance più semplice.
Sono felice di dirlo a voi giornalisti, perché voi siete il veicolo: voglio poter far comprendere i vari strati del mio artigianato, l’attenzione che ci pongo – non va più di moda leggere, c’è bisogno di novità, non ci si sofferma. Chi invece ha auto il piacere, la voglia, di fare un passetto in più verso di noi, ora forse ci comprende. Non sono più un outsider squinternato, ma ora hanno capito chi sono e che non sono monodimensionale.”
Voglia di esporsi e allo stesso tempo di trasmettere un messaggio, in Lauro
“Lauro è un disco spontaneo. Io scrivo, come ho scritto 16 marzo, scrivo riflessioni sull’amore, su di me, sul cinismo, sull’attrazione sessuale, sul sogno del futuro (come in Rolls Royce). Poi io non vivo il presente, vivo il futuro con ottimismo e il passato con malinconia: spingo per questo. Ogni brano è una faccia di me. Cui vi chiedo di averne cura. Non mi interessa che tutti vi si rispecchino, ma che il messaggio sia compreso.
Mi è stato detto che in Italia il mio personaggio potrebbe sovrastare la mia musica. Fossi stato attaccato al puro successo, non avrei cambiato genere, non avrei fatto 1920 e 1990, non avrei sfruttato Sanremo per uscire dalla mia comfort zone. Ho sempre fatto tutto ciò che era contrario a quel che ci si aspettava da me. Cosa dovrei fare? Cercare di fare successo eliminando ciò che sono io, costruendo il singolo estivo per forza, il pezzo d’amore innaturale? Io continuerò ad essere me stesso.
Il disco si divide in due macroaree. La prima introspettiva, che esplora la tempesta dell’anima, il tormento perenne dell’artista, il sognatore. Ah, tutto ciò che abbiamo realizzato è stato a nostre spese, non c’era appoggio discografico. Mio padre ha fatto il prof universitario ed è un uomo onesto, ha fatto carriera con la propria capacità. Sono una persona onesta anche io. So fallire, andare avanti, e hanno ricevuto meno di quanto hanno meritato. La seconda area è punk rock – grunge. Dunque lato A, introspettivo, e Lato B, più leggero.”
C’è spazio anche per la riflessione sociologica, in Lauro.
“Generazione X, perché io fotografo la mia generazione. La mia cultura è basata sulla curiosità. La mia generazione è simile a quella a cavallo di ’65 e ’80. Non crediamo nella chiesa, nel matrimonio, in se stessi e in quelli prima. Non sappiamo chi vorremo essere. Viviamo solo l’oggi. E anzi, cerchiamo i soldi per l’odierno, e fine. La generazione X di cui parlo è atea, accettiamo le nostre dipendenze (la mela di jobs), la tecnologia è utile ma non per forza ottima.
Femmina tratta di temi pericolosamente comuni: il maschio che si nasconde dietro la virilità. In un rapporto di coppia, in una situazione di stallo, si fa finta di niente. Si fa l’uomo ad ogni costo. L’uomo forte. Femmina arriva a mostrare il lato divino della donna. Gli uomini sono, nella periferia dove sono cresciuta, non istruiti al rispetto della figura femminile, né preparati culturalmente. Odio quel mondo.
La mia fortuna è stata capire che volevo scrivere, fin da piccolo, e che sono andato subito a vivere in una comune, e sono cresciuto con persone più grande, anche cinquantenni, e sapevo che non sarei voluto diventare come loro: ho visto lo spiraglio della musica allargarsi, e ho cercato di inserirmici.
Non rinnego il mio passato né la mia formazione, Roma è una città enorme – e vi si vive un senso d’abbandono, di decadenza, eppure di poesia. Rino Gaetano, Mannarino, Coez, Califano… tutti romani. Ringrazio Roma e la sua periferia. Lo rifarei. Non scambierei mai quello che ho oggi con qualcos’altro. “
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