Manuel Gagneux di Zeal & Ardor su Greif: intervista

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Manuel Gagneux è mente ed ideatore dietro al progetto Zeal & Ardor, nome di punta del metal avant-garde mondiale. Nato a Basilea, la sua musica fonde gli spiritual con il black metal. Gli Zeal & Ardor, dopo il successo del primo album omonimo, hanno continuato la propria evoluzione musicale fino a Greif, uscito il 23 agosto da indipendente.

Dalla nostra ultima intervista sono cambiate molte cose. E abbiamo sentito che avete anche nuovi collaboratori. È vero?


No, sono gli stessi. Solo che li apprezzo di più (ride ndr).


A proposito di Greif, il vostro nuovo album. A cosa si riferisce il titolo? Un gioco di parole con la parola dolore? Si riferisce oppure ad una bestia mitologica? Inoltre, l’intero album ha una sorta di sensazione infantile, come se rimandasse ad un vivido sogno infantile con temi musicali ricorrenti di ninne nanne tradizionali europee, eccetera. È collegato alla mitologia che sta alla base della composizione?


Beh, sì, perché c’è questa vecchia tradizione per cui, nella mia città natale, Basilea, c’è questa figura di Grifone che ogni anno, a gennaio, volta le spalle alla parte ricca della città. E da bambino andavi a vedere questa cosa con la tua classe, assistevi e poi più tardi dicevi: “Oh, cazzo, quella era la guerra di classe”. E adoro quell’aspetto. Ma credo che l’infanzia sia una scorciatoia per le emozioni.
Quindi, sai, c’è il carillon nell’album. Ci sono anche, per me, sintetizzatori a otto bit, cose che suonano come un Game Boy. Mi riportano alla mia infanzia. Quindi c’era anche quello. Ed è come un cheat code per far sentire emozioni alle persone.


Andiamo avanti. In Greif troviamo una forte tendenza alla melodia insieme a una maggiore esplorazione dei generi musicali (Kilonova con un tocco di funk acid, punk, disease, eccetera, eccetera). Parlaci di questa tua evoluzione musicale.


Sì, sì. Avessimo fatto un disco duro o mapesante sarebbe stato facile e forse anche finanziariamente saggio.  Saremmo però destinati ad essere quella band per sempre e penso che ci sia ancora molto che potremmo fare. È la roba più morbida che abbiamo mai scritto, ma rappresenta proprio ciò che siamo. Ho provato a scrivere un paio di canzoni da “Zeal and Ardor” e mi sono sentito come “oh, lo sto facendo di nuovo”.

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E cosa vi aspettate come reazione dal pubblico?


È questo il punto. Non so cosa aspettarmi. Sono curioso! Si potrebbe dire “oh, faranno il tutto esaurito”. È un feedback plausibile. È stata la cosa più coraggiosa da fare. Quindi non so cosa aspettarmi. Sono davvero curioso.


“To My Ilk” è una scelta interessante e coraggiosa per un singolo. Una canzone che dura solo due minuti e mezzo. Perché l’avete scelta come canzone inaugurale per l’uscita di “Greif”?


Beh, perché la gente si aspetta da noi di essere sorpresa ed è un paradosso perché se li sorprendiamo si aspettavano di essere sorpresi e quindi non li abbiamo più sorpresi. Se non li sorprendiamo, invece, li abbiamo davvero sorpresi. Quindi è come se fosse una situazione persa in partenza.


Vi state allontanando molto dal sound che avete sviluppato ai vostri inizi, nonostante sia ancora rintracciabile in canzoni come “Go home, my friend” e “Interlude 369” o “Clawing out”. Questo scontenterà i fan di sempre, secondo te?


Probabilmente sì. Voglio dire, non siete interessati? No. Ma questo è l’equilibrio. O siamo come una stazione di servizio dove si viene a prendere il gasolio, o non vogliamo ucciderci nei prossimi cinque anni e per me non è una decisione difficile (ride ndr.) Forse alla gente non piacerà. Ma il fatto è che a noi piace e dobbiamo suonarlo ogni sera per i prossimi due anni.

Parlando del suono, Greif suona davvero crudo e ferale. Com’è andato il processo di registrazione e produzione?


Abbiamo registrato tutto allo stesso modo degli ultimi due dischi, nello stesso studio ecc. Il mixer del disco è stato Adrian Bushby, che si è occupato di Muse e Foo Fighters. Ha una mente e un approccio molto “rock”. Sembra che siamo tutti nella stessa stanza a suonare nello stesso momento. Credo che Adrian abbia capito l’album prima di me. Ha detto: “Oh, pensate di essere una band metal? No, siete una band pop” e ci ha fatti diventare una band pop rock. È stata la cosa più onesta da fare. Più lo ascolto e più sono d’accordo con lui.


Ricordiamo che nella precedente intervista abbiamo discusso della possibilità di avere canzoni in lingua svizzera piuttosto che solo in inglese. Succederà mai?


Forse. Ma il fatto è che lo svizzero suona male, come il tedesco. Suona molto aggressivo. Il francese ha un suono piuttosto morbido, mentre lo svizzero tedesco sembra un troll che cerca di venderti del pesce vecchio. Non è bello.


Parlando di Solas. Con il suo suono davvero romantico e malinconico è, per noi, probabilmente  la migliore ballata nella vostra discografia. Avete però riservato il meglio per ultimo come, ad esempio, con “Hide in shade”. Puoi dirci di cosa parlano queste due canzoni?


Hide in shade è una canzone molto occulta. Parla, beh, prima di tutto, di non essere. Nascondere le proprie qualità reali ed essere pronti a colpire. Ed è anche un’evocazione di un paio di demoni. Riguardo Solace, è probabilmente una canzone che non riusciremo mai a suonare dal vivo perché non credo che riuscirei a cantarla senza piangere. Quella che sentite sul disco è la prima take che ho fatto. Poi abbiamo provato a farla correttamente in studio e non ci sono riuscito. Quindi è al massimo della crudezza.


Abbiamo saputo che ad agosto sarete in tour con gli Heilung in Europa e con i Gerea, il cui album uscirà ad ottobre in Nord America. Siete eccitati per questo?


Abbiamo già suonato con gli Heilung. Il loro spettacolo è incredibile e non vedo l’ora di partecipare. Con i Gerea ho un po’ di timore perché sono brillanti. Se li hai mai ascoltati, hai sentito circa il 5% di quello che fanno dal vivo. L’idea di salire sul palco dopo di loro mi spaventa e questo mi piace perché sono una band eccezionale e non vedo l’ora di conoscerli.

Lorenzo Natali
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