Quando si diventa mare (Diana edizioni, 2020) è il titolo della raccolta di esordio di Antonino Ficili, giovane autore – giovanissimo, ha ventitré anni – siciliano.
Il libro di Antonino Ficili è un insieme di versi, prose, aforismi e pagine di diario: sono “Parole raccolte come conchiglie sulla spiaggia”, come recita il sottotitolo. Queste conchiglie sono le riflessioni dell’autore sull’amore, sull’uomo e sulla natura (elemento che si nota già da titolo e sottotitolo – mare, conchiglie, spiaggia – e che molto presente è in tutte le pagine). Non è una natura irreale, idealizzata, pensata quella di Antonino, bensì vista (una delle parole chiave del libro è infatti occhi: “Guardare è seminare” si legge a pagina 11), vissuta, esperita. È chiaramente una natura soggettiva, che viene trasformata dallo sguardo e dal passaggio dell’autore, nella cui mente molti – tutti – gli elementi della natura sono collegati: i fiori sono “stelle della terra. Piccole stelle che nascono al suolo” (pag. 15), oppure (pag. 14):
Il mondo è come un cane.
Se carezzi la sua testa
a Occidente
è l’Oriente a scodinzolare.
Ancora (pag. 78):
Una pietra cade per strada: un meteorite sulle formiche.
Antonino Ficili sembra andare scrutando il mondo con la lente d’ingrandimento, soffermando l’attenzione sul minuscolo, sul trascurabile (a torto), su ciò che spesso passa inosservato. La sua è una poesia delle piccole cose, che alla fine sono sempre quelle più rivoluzionarie (pag. 16):
La mia rivoluzione avrà luogo oggi. Intanto porto a spasso i cani.
Il libro presenta delle parti interessanti ma anche – ed è normale, lecito, comprensibile – punti in cui emerge la sua giovinezza poetica. L’autore dà il meglio di sé – e il potenziale c’è – quando non si perde in metafore, giochi di parole e costrutti chiasmici; quando non si perde nell’elargizione di saggi consigli (mai richiesti, sempre poco benevolmente accettati) ma preferisce farlo – perdersi – passeggiando per i campi, lungo strade di campagna, in mezzo ai fiori. La natura non ha mai bisogno di ghirigori (pag. 62):
Il mio volto è finito nel grano,
la mia voce in bocca ai grilli.
Sono in fila le formiche
e portano ai cani le mie ossa.
Quella con la natura è una simbiosi che incanta, tuttavia non sempre questo incontro-dialogo è fruttuoso. La lingua degli alberi, che a pagina 112 riescono a percepire i pensieri dell’autore, “ricorda quella dei bambini” ed è una lingua che l’autore tenta sì di mantenere, ma non sempre con successo. Non a caso, ascoltare il suono del flauto dello gnomo malinconico nascosto nelle tubature risulta impossibile a un adulto: “ormai sono anni che non lo sento più”.
Si cresce, si cambia, si passa il testimone ad altri bambini, in un ciclo perenne che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare.
Sorprende – piacevolmente, ed è una gioia per gli occhi – la presenza di innumerevoli nomi di fiori, sparsi per tutto il libro: gerani, viole, narcisi, camelie, papaveri, gigli, margherite, girasoli, crisantemi. A questi si aggiungono altrettanti nomi di animali, per lo più uccelli – cornacchie, gazze, merli, poiane, picchi, ghiandaie, cardellini, formiche, gatti, cani, ratti, mosche, volpi, conigli – che popolano il libro con i loro versi e le loro azioni. Felicemente notata questa preferenza all’iponimia, alla precisione della definizione dell’oggetto e quindi della sua nominazione precisa. Come detto prima, la natura di Antonino è reale, vissuta, e di conseguenza presenta termini precisi.
In altre parti del libro di Antonino Ficili– soprattutto quelle che hanno come tema l’amore – il lettore finisce per notare inevitabilmente troppi occhi, troppa luce, troppi cuori, troppo Stilnovo. Anche qui, l’età giustifica quest’amore pieno di speranza, di dolcezza – a tratti melenso, senza dubbio sincero, ma smodato, o ingenuo: è l’amore dei vent’anni. Chi legge vorrebbe quasi dirglielo all’autore che quest’amore non esiste e non è mai esistito – se non come idealizzazione – neanche in poesia. Ma poi continua a leggere e preferisce tacere, che
chi è felice è simili agli dei e non va svegliato mai.
Alcuni versi di Antonino Ficili sono notevoli perché, come detto prima, spogliati da figure retoriche troppo appariscenti e appartenenti a un modo ormai anacronistico di fare poesia:
[…]
Sei una terra abitata dai gatti e dagli angeli
[…]
(pag. 35)
Quasi è rassicurante
il modo in cui una spina
entra nella carne.
(pag. 74)
Quando accadrà
che sarò fuori dal mio corpo
o finirò dentro il tuo
oppure sarò morto.
(pag. 76)
La parola, spogliata dalla retorica con cui cerchiamo di ingolfarla spesso – anche involontariamente –, torna libera di essere potente ed efficace da sola, e questa è sempre una meraviglia che commuove.
Leggi anche
Lúcio Rosato, Trilogia della possibilità in Mostra al MuMi
Fatti di rock, un viaggio nella musica che ha fatto la storia
Premio Michetti, 75 anni di arte e cultura
Miracoli e tradimenti nel nuovo libro di Valeria Parrella [Recensione]
Bologna Children's Book fair: impressioni a freddo
Alla scoperta del mondo attraverso la letteratura di viaggio
Successo di pubblico per l’incontro con Mauro Corona a Mussolente - Photogallery
Il Ministero della Solitudine al Teatro Arena del Sole, Bologna
- Sulla mappa, la X di Robin Corradini - Luglio 30, 2023
- Su Famiglia nucleare di Adriano Cataldo - Giugno 27, 2022
- Cos’hai nel sangue, di Gaia Giovagnoli - Maggio 21, 2022