L’incontro con la poesia di Attilio Bertolucci non può lasciare indifferenti e la lettura di “Fuochi in novembre”, riedito per edizioni San Marco dei Giustiniani a cura di Gabriella Palli Baroni, è un’occasione imperdibile per entrare in contatto con uno dei grandi “poeti minori” del nostro Novecento.
“Fuochi in novembre” di Attilio Bertolucci, ovvero come ti divento poeta
“Fuochi in novembre” è la seconda raccolta che il giovane autore dà alle stampe nel 1934 presso l’editore Minardi; la stagione letteraria italiana è attraversata dall’esperienza poetica dell’Ermetismo e, seppur Bertolucci ne appaia distante, ottenne, proprio grazie alla sua unicità, l’attenzione di molti intellettuali, fra cui Montale, che lo recensisce sulle pagine di “Pan”, riconoscendone l’indubbio valore della scrittura, animata da “vena, fantasia, respiro”. Proprio le parole di Montale spinsero un emozionato Bertolucci a recarsi da un fotografo per farsi eseguire un ritratto “da poeta”.
Il sentimento della natura, così caro a Bertolucci, si dipana nei suoi versi, raccontando una realtà concreta, quotidiana, pulsante in immagini spesso circondate da un’aura di sogno. Le stagioni si susseguono in un’esplosione botanica di fiori e colori, l’immagine diventa sensazione tangibile e indimenticabile nella sua immediatezza.
La poesia di “Fuochi in novembre” è ancora in procinto di evolversi e maturare, ma è attraversata da importantissimi temi che permeano la poetica del nostro autore e che ne rivelano un respiro aperto anche alla poesia europea, prima fra tutte quella inglese.
È venuto il tempo
che il ranuncolo limpido
rischiara
l’erba folta e amara;
fitte e stupite
si schierano sulle prode
le margherite […]
Attilio Bertolucci, Primavera
Quasi pare spontaneo sentire il tepore del sole e il profumo del fiore della gaggìa che attraversa le pagine della raccolta e riporta alla mente l’infanzia, il caldo assolato dei pomeriggi estivi. La memoria del passato appare come un’epifania, un momento perfetto in cui si ripercorrono il familiare gioco di raccogliere, in un solo gesto, tutte le foglie di un ramo, e la felice corsa, “paurosi e felici” (Ricordo di fanciullezza), fra le prime ombre del crepuscolo e della sera “melanconica fanciulla / coronata di vivide stelle”; “tutta la sua infanzia” che offusca gli occhi di “sogni e nostalgie” (Poi nella serena luce).
Le gaggìe della mia fanciullezza
Attilio Bertolucci, Ricordo di fanciullezza
dalle fresche foglie che suonano in bocca…
Si cammina per il Cinghio asciutto,
qualche ramo più lungo ci accarezza
la faccia fervida, e allora, scostando
il ramo dolce e fastidioso, per inconscia vendetta
si spoglia una manata di tenere foglie […].
Un fiore che vive e uno che muore: Attilio Bertolucci e le sue muse
Inghirlandata fra i petali più belli, compare nella raccolta anche l’amata Ninetta, Evelina Giovanardi, colei che diventerà la moglie del poeta. I due si conobbero a scuola e la fanciulla viene consacrata nella raccolta con parole che ne esaltano la leggiadra dolcezza; figura delicata e festosa, “con le guance di fuoco / e gli occhi ridenti” (A Ninetta), trasfigurata in indimenticabile visione benefica e luminosa.
Sì: ho colto garofani alteri
Attilio Bertolucci, Madrigale
delle tue guance,
e avean corolle sì rance
con sì bizzarri screzi neri…
Ma sotto i tuoi occhi
sono cresciute le viole,
come di marzo, al primo sole,
sulle rive dei fossi.
Questo sole di gennaio
che riscalda il cuore
ti ride negli occhi, gaio,
se alla finestra aspetti il tuo amore.La gente passa e ti vede
Attilio Bertolucci, Questo sole
bella e tranquilla come un fiore
invidia colui che tiene
padrone, il tuo cuore.
Questa dimensione gioiosa tuttavia è attraversata anche dal tema della morte; non si rievoca solo la cara sorella Elsa, deceduta in tenera età, e l’elemento floreale ancora ritorna, accompagnando suggestivamente un ricordo, un’immagine cristallizzata nella memoria (“Le chiome nere e gli occhi di pervinca / correvi per il giardino…”, Per una sorellina morta a sei anni), ma anche nella proiezione della morte (“Improvvisamente / mi ricordai do te / come se fossi morta”, Sabbia) che, come ricorda Gabriella Palli Baroni, propone una “affermazione del valore della rinascita epifanica”.
Se tu fossi morta
Attilio Bertolucci, Romanza
potrei ricordare quel giorno d’estate
che mi corresti incontro
ridendo, fra gli oleandri:
le mie labbra tremavano e non osavo guardarti.
Se tu fossi morta
potrei ricordare
i tuoi occhi ch’erano schiariti,
tutte le tue parole, e i luoghi, e il tempo estivo
sino al dolce morire del giorno.
Memoria e suggestioni dal passato, concretissime, cristallizzate in un’aura fuori dal tempo; quella di Bertolucci è una poesia del paesaggio, del mutare, di immagini potenti, spesso delicate, in cui appare, sottile, il timore della disgregazione della perdita, nella consapevolezza dell’ineluttabile mutevolezza dell’esistenza. Come l’ultima rosa bianca, futuro ritratto smemorato della sua interlocutrice, un fiore “così dolce / che fa tremare”, destinato a perdere la sua bellezza, scampata all’oblio grazie alla forza eternatrice della poesia.
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