La miccia accesa: Enrico Ruggeri racconta gli anni di piombo

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È solo questione di carattere quando due fratelli arrivano a quell’odio viscerale che costituisce un punto di rottura? A Enrico Ruggeri parrebbe di no. Nel suo ultimo romanzo, Un gioco da ragazzi, La nave di Teseo +, 2020, 446 pp., il cantautore, non nuovo alle forme narrative che superano in lunghezza una canzone, racconta la storia di due fratelli che entrano in conflitto fra loro e, in qualche modo, contribuiscono a scrivere la storia italiana con il triste capitolo degli anni di piombo.

Due fratelli tanto diversi

Mario e Vincenzo Scarrone, questi i loro nomi, sono nati a distanza di un anno, a metà degli anni Cinquanta. Vivono in una famiglia borghese, rispettabile, in una città, Milano, che è sempre di più il centro dell’economia italiana. Trascorrono l’infanzia insieme, crescono insieme. E niente sembra presagire che un equilibrio, animato solo dai piccoli battibecchi tipici dell’età, potrà un giorno infrangersi trasformando quelli che furono fratelli in nemici.

Tutto cambia, però, quando i due iniziano a frequentare il liceo, lo stesso liceo. Mario diventa un punto di riferimento dei gruppi studenteschi di sinistra, Vincenzo inizia a bazzicare coetanei tendenti a destra. Entrambi discenderanno la china giorno dopo giorno senza neppure accorgersi di essere ormai pedine nelle mani degli eventi.   

I liceali diventano grandi, si fanno uomini, ma anche il coinvolgimento politico si fa più serio e, aggiungiamo, pericoloso. Non si tratta più di distribuire volantini o partecipare a manifestazioni: è l’ora dell’azione, una riscossa che esige dimostrazioni concrete. La contestazione si fa violenta e gli scontri tra le opposte fazioni finiscono sempre più spesso nel sangue.

Gli avvertimenti ai nemici si trasformano a poco a poco in sequestri, omicidi politici, attentati. E ai due, ormai con una quantità spropositata di accuse sopra le spalle, non resta che scappare, lasciare l’Italia per iniziare una vita che è frutto di quelle scellerate azioni: la vita del latitante. Mai riusciranno ad incontrarsi per ricucire uno strappo abissale. Mario si toglierà la vita in esilio, Vincenzo tornerà in Italia per dire addio a un fratello chiuso in un feretro che forse solo allora capisce di amare. Tardi, troppo tardi, anche per recuperare l’antica libertà.

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Enrico Ruggeri con una copia del libro.

Una famiglia qualsiasi in un’epoca di cambiamento

Che i veri protagonisti del romanzo siano Mario e Vincenzo lo si capisce fin da subito. Anche le vicende ad essi collegate lo dimostrano. In questo volumone di quasi 450 pagine – non spaventatevi, il linguaggio di Enrico Ruggeri, fresco, asciutto, coinvolgente, ve ne farà percepire molte meno – la stragrande maggioranza dei fatti si riferisce a loro.

I due, però, non sono semplici mine vaganti, almeno non lo saranno in tutte le vicende narrate. Hanno una famiglia composta da un padre, Carlo Scarrone, stimato professore universitario, una madre, Anna Rustici, insegnante figlia di un funzionario fascista, e una sorella minore, Aurora, che per tutto il romanzo cercherà di rivestire il ruolo di paciere, tentando di ristabilire l’armonia perduta. Un “microcosmo di affetti e di legami”, come lo definisce Enrico Ruggeri all’inizio del libro, che il capofamiglia, Carlo Scarrone, guarda con soddisfazione per essere riuscito, fino a quel momento, a tenere il mondo esterno, evidentemente pieno di insidie ai suoi occhi, fuori da quel paradiso terrestre.

Carlo ed Anna appartengono a un passato difficile, segnato dagli orrori della guerra, ma, in un certo senso, lo rimpiangono, perché non si riconoscono in un mondo che cambia alla velocità della luce. Vale il detto “Si stava meglio quando si stava peggio”.

Ciononostante, cercano di tenersi al passo coi tempi, partecipando all’era dei consumi inaugurata dal boom economico: comprano una Fiat 1100 per le vacanze al lago; una televisione che diventerà elemento di attrazione fino a che gli altri condomini non ne avranno acquistata una; un mangiadischi con tanto di 45 giri per portare un po’ di note fra le quattro mura. Personaggi come Mike Bongiorno, il maestro Alberto Manzi, e programmi come Carosello e Canzonissima diventeranno amici di famiglia, animando le giornate degli italiani in un palinsesto molto più risicato di quelli di oggi.

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Mike Bongiorno a “Lascia o raddoppia”.

Le rivolte studentesche e le sottoculture giovanili   

I tentativi di Carlo ed Anna di tenere fuori dall’uscio il mondo, o meglio di far entrare col contagocce solo le novità ritenute davvero utili, sono, però, destinati a fallire. L’uomo è parte del mondo, sembra suggerire Enrico Ruggeri, ed è pura utopia pensare di tenere separate le due cose.

Se ne renderanno tristemente conto quando Mario, il figlio maggiore, farà il suo ingresso al liceo. La scuola non è più quella di un tempo, il rapporto tra studenti e professori è completamente mutato. Adesso dominano le assemblee, i picchetti impediscono agli studenti di entrare in classe e i corridoi sono diventati feudi dei “compagni” di sinistra.

I moti studenteschi degli anni Sessanta hanno rivelato una situazione variegata, in cui anche l’attivismo giovanile risulta dettato da una fede politica. Ci sono i gruppi di destra, di sinistra, e persino quelli di Comunione e Liberazione, più vicini all’ambiente cattolico. Il tutto all’insegna di una frammentazione che si rispecchia nel clima politico degli anni Settanta. I professori si piegano all’evidenza dei fatti: in una scuola sotto embargo non resta che sostenere la protesta o subire l’ira di studenti che, in gruppo, sono capaci di tutto.

Gli adolescenti degli anni Settanta hanno i loro miti, un modo di vestire che, a colpo d’occhio, deve poter dire per quale fazione parteggiano. I giovani di sinistra leggono Mao, Neruda, Gramsci, Marx ed Engels; quelli di destra Orwell, Wodehouse, Pound, Evola, Schopenhauer e Nietzsche. I giovani di sinistra ascoltano Bob Dylan e gli Inti-Illimani, quelli di destra David Bowie e Lou Reed. Giovani in cerca di identità, di uno spirito di appartenenza che, in quegli anni, li renderà facili vittime di falsi profeti.

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Contestazioni studentesche negli anni Sessanta.

Protagonisti inconsapevoli della storia

Un gioco da ragazzi è un romanzo che porta la storia privata a cozzare prepotentemente con quella pubblica. A cosa si deve il titolo scelto da Enrico Ruggeri? L’espressione è ben radicata nell’uso comune per indicare qualcosa che si compie con estrema facilità. E questo è lo spirito con cui Mario e i suoi “compagni” parleranno di armi, guerriglia, esplosivi, programmando spedizioni punitive, come quella nello studio di un avvocato consigliere della Democrazia Cristiana che sarà gambizzato.

Magistrati, imprenditori, politici e giornalisti saranno i bersagli di entrambi gli schieramenti, ma anche le sedi di partito, di emittenti radiofoniche e di quotidiani, dando vita a un decennio dominato dal terrorismo rosso e nero che inizierà con l’attentato di piazza Fontana nel dicembre 1969 per concludersi con la strage della stazione di Bologna nell’agosto del 1980. Dopo questa data, anche se non completamente spariti, simili episodi scemeranno col passare degli anni.

Con questo titolo, però, Enrico Ruggeri vuole dirci molto di più. Vuole sottolineare il fatto, anagrafico, che a compiere simili atti siano i più giovani, poco più che ragazzi. E vuole anche dirci che per loro è quasi un gioco, presi, come sono, dall’eccitazione del momento e dal ritenersi attori del cambiamento. Non è così. Figure opache, mai viste prima, inizieranno a mettere le mani sui movimenti, trasformando giovani pieni di ideali in perfetti delinquenti.

I gruppi extraparlamentari, dopo una prima fase di sintonia con il partito e, per la destra, con la polizia, taglieranno i ponti con tutti, diventando proiettili impazziti che si sentono traditi dall’avvicinamento degli avversari storici che prenderà il nome di “compromesso storico”. Chi non lo farà, chi non degenererà nel terrorismo, passerà di là dalla barricata, mettendosi al servizio di quegli stessi partiti e magari, come Federico Beccherle, esponente di spicco dei movimenti studenteschi di sinistra, facendo carriera, arrivando addirittura a ricoprire il ruolo di sottosegretario nel governo Craxi.

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La stazione di Bologna dopo l’attentato del 1980.

Enrico Ruggeri si espone     

Ciò che ha osato fare Enrico Ruggeri con questo romanzo non è cosa da poco. Da una parte perché la ferita di simili avvenimenti è ancora aperta, dall’altra perché facilmente avrebbe potuto rischiare di favorire nel suo resoconto una delle due parti e, si sa, i giornalisti non aspettano altro.

Invece è stato estremamente lineare nella narrazione, scegliendo di riferire i fatti in ordine cronologico – l’inizio di tutto è l’incontro tra Carlo e Anna nel 1939, la fine la morte di Mario nel 1992 – senza mai abbandonare il tono oggettivo e quel pizzico di bastonature a danno di entrambi gli schieramenti. In mezzo ai grandi nomi che vi furono coinvolti, Indro Montanelli e Aldo Moro, solo per citarne alcuni, Enrico Ruggeri cala la gente comune, quella i cui nomi non passeranno mai alla storia per specifici meriti, ma che vi sono entrati finendo comunque sulle pagine dei giornali.

Il tema del libro può ricordare opere di altri autori, si veda Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi, ma la profonda caratterizzazione dei personaggi, l’approfondimento di un momento storico diverso, ne fanno un romanzo pieno di personalità. Cinico e prepotente in certe pagine, diventa tenero e commovente in altre. Come un pugno in testa, seguito da un abbraccio, come quelli che frequentemente Aurora darà ai fratelli. Una cura senza speranza di guarigione, quella di Enrico Ruggeri, ma pur sempre una risposta per far fronte al dolore.    

Massimo Vitulano
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