Ray Alder ha deciso di cimentarsi in un side project da solista e What the water wants rappresenta il suo esordio. Sarebbe stato bello poter dire che questo progetto conservasse o magari – perché no – esaltasse ulteriormente le qualità dello storico singer dei Fates Warning. Purtroppo invece non è così.
What the water wants di Alder è un disco con poche idee e scarse motivazioni, risultando piuttosto piatto e privo di significato. Qual è il messaggio che il cantante voleva trasmettere con questo album? Perché ha sentito la necessità di dover dire qualcosa che non poteva essere espresso con i progetti di cui fa già parte? Non si riesce proprio a cogliere un segno o un appiglio con cui il cantante possa o voglia collegarsi all’ascoltatore. E detto di un cantante coinvolgente e dotato come il suddetto è qualcosa che lascia sconcertati.
Dispiace criticare un musicista del genere, che ha prodotto tanto con una band di importanza storica per il metal e che ha avuto meno successo di quanto meritasse (ricordiamo sempre che prima dei Dream Theater, i Fates Warning cominciarono a poggiare le basi per il progressive metal). Ma What the water wants è un disco che scorre un po’ troppo liscio, come un bicchiere di acqua distillata: non lascia nulla dietro di sé. I brani si susseguono senza far trasparire un’emozione che sia una. Chiaramente si coglie una drammaticità di fondo, un tono un po’ malinconico, una certa enfasi patetica. Tuttavia, il tutto viene realizzato in maniera piuttosto banale.
Banale è una parola forte, penserà più di qualcuno. Sembra strano dirlo di Alder, eppure…
Le composizioni del disco sono tutte un continuo rimando al metal degli anni Ottanta, e fin qui non ci sarebbe nulla di male. Tuttavia, questo metal ottantiano non solo viene imitato, ma viene anche brutalmente semplificato, con idee poco accattivanti. Inoltre, più di un brano presenta ripetitività nei riff e nelle melodie, privo anche delle più semplici variazioni che avrebbero reso il repertorio meno monotono.
Di questo album si riesce ad apprezzare la voce di Alder, stupenda come sempre. What the water wants sopravvive grazie alla sua incisività e alla emotività che riesce a trasmettere.
Inoltre, la formazione musicale offre ottimi musicisti, con Mike Abdow e Tony Hernando ad alternarsi alla chitarra e al basso, regalando anche qualche bell’assolo e talvolta un riff interessante. Non male anche Craig Anderson alla batteria, capace di impreziosire i brani con qualche virtuosismo ben congegnato. Assolutamente di ottimo livello la produzione, che regala un suono splendidamente definito e capace di rendere comunque molto piacevole l’ascolto.
Tuttavia, tutto questo non basta. Se manca la materia prima alla base, si può essere dotati quanto si vuole, ma un disco non funziona (chiedere ai Dream Theater per credere). Ci sono un paio di canzoni interessanti, come la title-track o la ballad The Road. Ma si resta allibiti di fronte a brani come la opener Lost o Wait, Crown of Thorns e The Killing Floor. Qual è il punto di arrivo dietro questi brani? Siamo davvero sicuri che non ci fosse qualche idea migliore da proporre?
Rincresce davvero dover criticare un maestro come Ray Alder, ma questo suo esordio da solista presenta numerosi difetti.
Non ha intenzione di guardare al futuro. Non solo: non è capace di guardare al passato. Privo totalmente di una sua personalità che permetta di dire “Questo è il sound di Ray Alder”, sembra un’accozzaglia di brani messi un po’ per caso, senza alcun particolare criterio. Sono tanti i cantanti che hanno deciso di avviare un progetto personale: Bruce Dickinson, James LaBrie, Devin Townsend… Chi più chi meno, questi musicisti sono stati capaci di dire la loro al di fuori dei main project da cui provenivano. Con Ray Alder, per ora, non si può dire la stessa cosa. What the water wants non può essere considerato altro che un triste colpo a vuoto. Meglio aspettare qualche idea migliore, magari per un secondo album più coinvolgente, oppure meglio dedicare le proprie energie continuando a lavorare con Jim Matheos nei Fates Warning.
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