È Uscito il 5 febbraio il nuovo album di Angelica, intitolato Storie di un appuntamento e atteso seguito dell’esordio di un paio d’anni fa. Il primo album, Quando finisce la festa, aveva infatti lasciato buone impressioni.
Angelica Schiatti, questo il nome completo, è una cantautrice di origine monzese, attiva ormai da un po’; innamorata dei suoni e – soprattutto – dell’immaginario vintage anni ’60 e ’70, scrive, arrangia e compone.
Dopo un’esperienza che le ha regalato qualche soddisfazione ma presto naufragata coi Santa Margaret, ha deciso di fare da sola. La prima band vedeva la presenza illustre di Stefano Verderi, chitarrista de Le Vibrazioni, e proponeva un miscuglio di rock e blues all’italiana non privo di buoni spunti.
In quel contesto Angelica pareva pienamente nel suo elemento, sia per la presenza scenica indubbia e platealmente vintage, quasi una Grace Slick de noaltri, che per il canto votato a influssi soul e blues. E invece, Angelica, una volta messasi a ballare da sola – più cantare, in verità – ha saputo reinventarsi in uno stile sicuramente più radio friendly; l’aspetto ricercatamente vintage rimane più come una piacevole patina e affiora ogni tanto in superbi ganci melodici degni del pop anni Sessanta. Il suono, al contrario, è moderno e strizza l’occhio a una certa sensibilità indie ed elettronicamente liquida, quasi un incrocio tra un film di Spike Jonze e un pezzo di Levante arrangiato da Tommaso Paradiso.
Suoni freschi, insomma, e una spruzzata di elettronica che pare tendere la mano più agli anni Ottanta che alle epoche d’elezione di Angelica.
Storie di un appuntamento, però, è anche un disco nato a cavallo dell’emergenza sanitaria, e l’influsso si sente vagamente nei testi. A tratti Angelica si fa paladina di chi – stanco di indossare una maschera – vuole andare oltre le apparenze.
Rispetto all’esordio sono passati solo due anni, eppure la maturazione nei testi è evidente; dallo spleen vagamente sfatto da hangover post-festa, si passa a riflessioni più profonde. Come detto dalla stessa Angelica in alcune interviste, e come risalta anche dalle foto del progetto grafico, l’appuntamento a cui si allude non è né galante, né di lavoro; è più un appuntamento con sé stessi, un fare i conti coi trent’anni e con l’attesa del grande evento, quello che cambia la vita e che pare non arrivare mai.
E se aspettare il momento giusto fosse una scusa per rimandare i conti con sé stessi? Questo, pare chiedersi Angelica. E viene in mente lo splendido Io la conoscevo bene, capolavoro di Pietrangeli degli anni ’60, in cui una giovanissima Stefania Sandrelli interpreta una ragazza che passa da un’esperienza all’altra, rimandando sempre il più impegnativo degli incontri; quello con sé stessa.
Rispetto all’esordio, Storie di un appuntamento è più stringato; appena otto brani, alcuni di breve durata, e forse ancora più attuale nei suoni. Le belle melodie – sottilmente malinconiche – del primo lavoro si ripresentano solo a tratti, quasi a tradimento, in alcuni ritornelli e nella chiusura suggestiva di Comodini; la ricerca di qualche aggancio più radiofonico sfocia nella danzereccia Karma, con tanto di video a tema e con un testo però intelligentemente femminista.
Ma vediamo brevemente, pezzo per pezzo, come suona questo lavoro di Angelica, uscito per Carosello Records.
Il pezzo, a testimonianza della passione vintage dell’autrice, si apre col suono di quello che pare un vecchio mangianastri. Parte Peggio di un vampiro e subito Angelica chiarisce le coordinate, ovvero il tentativo di superare i luoghi comuni e le maschere sociali che ci rendono un po’ tutti uguali. Ti lascio arrampicare sugli specchi/Ti aspetto al piano terra per contare tutti i pezzi pare quasi un invito a volare un po’ più bassi e a non perdere il contatto con la realtà. Musicalmente il brano sfoggia un soffuso arrangiamento elettronico, quasi sofisticato: forse troppo per l’asfittico panorama radiofonico.
Si prosegue con Il momento giusto, con le riflessioni di cui si diceva prima e con la frase che dà il titolo alla raccolta. Il testo è un invito a fermarsi e recuperare il contatto con la realtà, e una riflessione sui trent’anni, età difficile in cui aspettare il momento giusto rischia di diventare un rischioso alibi. Pare quasi che Angelica esca di lato per osservare lucidamente la vita che procede veloce e insensata; un sentimento forse comune a molti, dopo il lockdown. Il ritornello è musicalmente quasi dissonante col testo, così aperto e solare da sembrare uscire dritto dal pop anni Ottanta.
Karma è l’episodio più leggero del disco, a livello musicale, col rotolante basso che sottolinea l’andamento quasi funk del pezzo. Un Rickenbacker del ’72 mezzo rotto, a quanto si legge nelle note del disco. Sogno che nessuna donna resti ferma dietro a un grande uomo/Ma stiano occhi negli occhi per brindare con del vino buono è una frase che si attaglia perfettamente ai tempi in cui viviamo; il segnale chiarissimo che anche in un pezzo quasi dance si possa dire qualcosa di intelligente.
L’ultimo bicchiere è il singolo che era già fuori da un po’; una ballata lenta e malinconica, forse il pezzo più legato al primo album e omaggio a personaggi iconici. Una nota di merito, qui specialmente, alla voce di Angelica; potente quanto basta, non priva di estensione, sempre intonatissima e mai sforzata a cercare di andare sopra le righe. Forse il brano migliore della raccolta, almeno per chi aveva amato il primo disco.
De Niro è una breve riflessione sui tempi velocissimi e sulla memoria labile imposti dalle stories dei social, a cui si contrappone la concretezza vintage dei bed-in di John Lennon e Yoko Ono o del De Niro di Taxi Driver. Mille violini suonati da un’app è la frase che riassume il concetto.
C’est Fantastique è un brano che si apre quasi all’insegna del funk fine anni Settanta; il testo ribadisce i concetti cardine del disco, ma a sorprendere è il bellissimo ritornello, che apre improvvisamente a un gancio melodico perfetto, su cui saggiamente Angelica non insiste troppo. Un pezzo che è un gioiellino pop e un prodigio di misura ed equilibrio.
Strip Club mantiene le stesse atmosfere, anche se manca il colpo del KO del ritornello killer.
La chiusura di Comodini è forse il momento più suggestivo e onirico dell’album.
Un disco conciso – ma non è un difetto, anzi – e un pezzo che invece è forse troppo breve e lascia il rimpianto per come poteva essere più strutturato. Sì, perché Comodini con l’incipit elettronico e liquido, notturno e onirico, è forse il passaggio più evocativo di questa raccolta. Il ritornello, anche qui improvviso e sorprendente, ripropone la malinconia e la capacità dell’autrice di pescare sempre la giusta melodia.
Insomma, Storie di un appuntamento si va ad inserire nel filone dell’It Pop più nobile e sofisticato, dalle parti di Canova o del sottovalutato Effenberg, ma senza disdegnare – perché no? – paragoni ancora più nobili, i Baustelle, per dire. Un disco che necessita sicuramente di più ascolti per essere apprezzato, e la vera domanda è: chi è disposto ad ascoltare qualcosa più volte, di questi tempi?
Pensateci e intanto date una possibilità ad Angelica, se la merita.
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