Il 10 ottobre in Piazza Duomo centinaia di operatori artistici si sono riuniti con un’impressionante e scenografica manifestazione. Una “riunione” silenziosa, totalmente aderente alle norme anti-Covid (non come i beceri No-Mask). Quando improvvisamente tutti i partecipanti hanno iniziato a battere con forza sopra i loro bauli, eseguendo un interludio ritmico di grande effetto, nel roboante “frastuono” creatosi è risuonata tutta la disperazione di un settore che ormai da anni è lasciato a sé stesso.
Purtroppo, però, anche questo lodevole gesto sarà destinato a cadere, come sempre, nel silenzio
Ci ho messo qualche ora a produrre il mio parere sulla questione. Nonostante il chiaro appoggio e la totale passione e comprensione con cui possa avvicinarmi ai manifestanti, cadrei in un ingenuo ottimismo ritenendo questo tipo di azioni utili e, in qualche modo, influenti.
Di fatto il fragore ritmico prodotto da chi voleva essere ascoltato ancora una volta finirà per cadere nel totale silenzio. In fondo, si sa, se un albero cade nella foresta ma nessuno ne sente il trambusto sarà veramente caduto? E non sono le orecchie del governo quelle a cui dovrebbe arrivare l’aggressivo “picchiare” plastico delle mani menanti fendenti sui bauli. O meglio, non è il governo il problema principale di un settore in crisi da anni.
Una crisi che va di pari passo con l’astenia culturale di un paese ormai sempre più indifferente e, soprattutto, ignorante.
Di fatto non dobbiamo mai dimenticarci che, qualunque cosa se ne voglia dire, Covid o non Covid i governi nel loro susseguirsi hanno sempre fatto scelte politiche. Scelte orientate, ovviamente, in quei campi e fattori che vedevano il maggiore interesse e stimolo di quello che potremmo chiamare “popolo”.
Perché Giuseppe Conte, ordunque, dovrebbe mai preoccuparsi di chi monta luci e palchi, di chi mette in scena spettacoli, di chi produce arte e cultura se lo stesso popolo italiano ormai da anni fa orecchie da mercante?
Tanto al medio man dello stivale basta X-Factor, diciamocelo chiaramente.
Se la manifestazione dei bauli è l’ennesimo evento destinato a cadere nel nulla cosmico di un paese sempre più simile ad un buco nero supermassiccio è unicamente colpa di quella coscienza sociale a “gravità zero” che ormai, da anni, ha deciso di voltare le spalle all’arte. Il governo, le sue riforme, i suoi aiuti economici, sono soltanto il sintomo conclusivo di un problema ben più radicato: quello dell’indifferenza.
Parliamoci chiaro, nel nostro paese più che mai l’arte e la cultura non contano un cazzo
Anche tra quelli che dicono di interessarsi ad essa, probabilmente, una buona parte la concepisce solo come un gradevole optional di cui fare, tra l’altro, usufrutto in modo prepotentemente gratuito. Se il mercato degli operatori artistici, che da ora in poi chiameremo metaforicamente “bauli”, è in crisi la colpa va ricercata nella svalutazione psicologica dell’arte, privata di dignità, privata del suo senso di utilità nel sostrato sociale italico (e non solo, ma noi come sempre quando si tratta di aspetti negativizzanti facciamo di tutto per essere capilista).
La colpa va data a quelle scuole medie e superiori dove l’insegnamento della musica, della storia dell’arte o del teatro sono soltanto una mera barzelletta, spesso fatta da professori svogliati o con programmi con quantitativi di ore totalmente esigui se non, talvolta, completamente assenti. Senza scordarci, ovviamente, che nel bel paese la musica viene insegnata solamente alle medie, sul piano della scuola dell’obbligo, e spesso in modi che davvero poco hanno a che vedere con l’arte in sé.
L’arte, nelle scuole, viene messa del tutto in secondo piano e poco ci manca che vengano levate anche la letteratura classica o la filosofia (già tacciata dai molti “progressisti” delle nuove riforme del futuro come materia priva di utilità).
Gli unici livelli di insegnamento delle arti decenti, in Italia, sono quelli rappresentanti dalle accademie/conservatori. Luoghi spesso non alla portata di tutti, per molti costosi ben oltre le loro tasche a cui si accede già ad un’età matura e per cui, ci si aspetta, si è già ben indirizzati verso la conoscenza del mondo artistico. Un’arte così svalutata già nelle scuole non può ovviamente pretendere di assumere maggiore rilevanza in contesti ben più “maturi”.
Insomma, non credo ci sia bisogno di dirvi quante siano le persone che ritengono il fare musica/teatro o qualunque altro tipo di espressione artistica un semplice gioco
Un gioco per bambini che “vogliono diventare famosi”. Già, perché ormai l’arte, nella coscienza mediana, sembra essere unicamente strumento a beneplacito dello showbiz, spesso anche di bassa qualità
Così per le persone l’arte diviene un gioco e non un’espressione culturale, l’artista un potenziale perditempo e non un professionista, un lavoratore dotato di competenze (spesso anche di gran lunga superiori a quelle dell’impiegato da scrivania medio, perdonatemi se vi sputo in faccia una dura verità) che non solo meritano di essere retribuite ma sono in grado di servire e di essere utili tanto quanto attività dai frutti ben più “materiali” e diretti.
Mi chiedo, quindi, come può essere presa sul serio la manifestazione dei bauli in un paese dove l’arte viene vista unicamente come uno show circense fatto da funamboli a basso prezzo da tirare fuori dal cassetto quando opportuno “per un briciolo di svago” ma senza dar loro altro riconoscimento? Se questa è la considerazione data all’arte, come si può vincere una lotta per i “diritti” di chi dietro quell’arte suda, fatica, stramazza giorno dopo giorno? Come può il “rullo di tamburi” di Piazza del Duomo essere ascoltato da coloro che, più che delle percussioni, percepiscono il suono di un carillon giocattolo? Come si può pensare che il governo prenda più seriamente dei lavoratori da tutti reputati di serie B in quanto curatori di un macrocosmo opzionale, dimenticabile?
La rabbia dei bauli, giusta, sacrosanta, a cui anche la mia si unisce in un coro dilaniante e sfegatato, va rivolta non contro chi governa ma contro chi vive. Basta dare la colpa ai politici di turno (eletti da noi), basta dare la colpa a feticci che, alla fine, sono soltanto il delta del fiume. E’ chi vive una nazione, un paese, a farne la cultura. Il politico, nel 2020, non fa altro che cavalcarne l’onda.
Prendetevela con il popolo se non è più interessato ai teatri, ai concerti, ai musei, alla letteratura, alla cultura e allo spettacolo perché siamo nell’era del consumismo materialistico e non possono fiorire soldi li dove non vi è l’interesse del compratore.
Urlate in faccia alle persone, ricordategli che l’arte esiste e che, soprattutto, senza di essa la loro vita si sta ingrigendo, appassendo giorno dopo giorno
Prendete quei bauli e mostrate, anzi, mostriamo alle persone quanto le loro anime stiano diventando “vuote”, così prese dal materiale, dal “palpabile paonazzi” per citare il Rancore (Link), non a caso, di Siamo Già Arrabbiati. Così presi solo da ciò che sembra riempire gli stomaci da lasciar morire di fame degli io ormai essiccati.
Il menare delle mani sui bauli di Piazza Duomo, purtroppo, non avrà più coda di quello che avrebbe una batteria in una camera insonorizzata, non finché non saranno gli animi delle persone a risvegliarsi e a voler nuovamente un’arte bella, florida, rigogliosa, che ricominci a dare possibilità ai sognatori, linfa vitale ai creativi e bellezza agli occhi, le orecchie e le menti di chiunque voglia soffermarsi su di essa anche per un solo secondo nel grigiore di tutti i giorni.
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