Continuando a parlare di singolarità musicali, dopo aver parlato dei The Contortionist, non possiamo in alcun modo non includere nella ristretta cerchia band del calibro dei Bent Knee, per quanto sia effettivamente ostico riuscire a definirli e trattarli.
Band dalla conformazione già di per sè atipica, vedendo la presenza del violinista Chris Baum, il marchio di fabbrica dei Bent Knee è senza ombra di dubbio l’imprevedibilità. Ostici ad un ascolto iniziale e difficilissimi da imitare, partendo dalla voce meravigliosamente dotata di Courtney Swaim per proseguire con gli articolati arrangiamenti intrecciati dal quintetto strumentale, il complesso di Boston è in grado di regalare un’esperienza musicale unica nel suo genere e, soprattutto, fresca.
Proprio quella freschezza indice di una personalità spiccata e ben sviluppata è ciò che, su tutto, è in grado di garantire ai Bent Knee una notevole nota di merito
La soluzione adottata, però, dalla Swaim and co. risiede proprio nell’eccentricità e nell’eterogeneità di stili mescolati tra di loro che non solo rende difficile un’individuazione precisa del genere musicale offerto (così da rompere pali e paletti della musica moderna) ma, soprattutto, dona loro una personalità allo stesso tempo “liquida” e ben marcata, la cui garanzia è il modo in cui ciascuna sfumatura musicale viene trattata. Cura, espressione e raffinatezza armonica e strutturale, di fatto, sono una costante tanto nelle produzioni più “user friendly” quanto nei pezzi dal taglio più avanguardistico.
Proprio l’avanguardia musicale, di fatto, potrebbe essere l’universo perfetto, assieme a quello progressive, dove allocare i Bent Knee
Le vertiginose virate vocali di una voce femminile espressiva e tecnicamente dotata vanno spesso ad intrecciarsi con elementi jazzistici, momentanee fughe verso panorami più avant-gard metal o, ancora, atmosferici o tendenti al pop e all’art rock.
La band riesce a salire alla ribalta della scena musicale, facendosi notare dal “grande pubblico” nel 2017 con Land Animal. Album sublime e perfetto biglietto da visita per chiunque voglia avvicinarsi alle opere del sestetto di Boston, abitua l’ascoltatore fin da subito ai suoi cambi stilisticamente “isterici”, innestati su di una forma canzone estremamente breve e non priva di momenti estremamente godibili. Il tutto facendo trasparire, spesso, un sostrato jazz da cui sempre più artisti moderni attingono a braccia spalancate.
Con You Know What They Mean, quarto lavoro in studio rilasciato sotto l’egida della Inside Out Music nell’ottobre del 2019, i Bent Knee sono stati in grado di confermare la loro natura di “mutaforma” strutturali. Vedere in unica raccolta pezzi dalla natura alt/rock e ricca di carisma come Give us The Gold, intervallati con momenti di fuga “metal” come quelli di Bone Rage o con le venature avanguardiste e quasi noise di Lovemenot, per non dimenticare l’articolato e studiato pop di Hold Me In, non può far altro che far apprezzare un progetto così coraggiosamente duttile e capace di rompere le barriere imposte da strutture, generi e campi semantico/musicali.
Persino l’utilizzo dei suoni, spesso, trascende l’usuale, potendo godere talvolta di violini distorti, di chitarre dal sound singolare e/o suoni di tastiera estremamente ricercati
Il tutto, ovviamente, al servizio di pezzi imprevedibili non solo a livello di sound ma anche a livello di struttura, in grado di cambiare improvvisamente marcia ed intenzione senza risultare, però, eccessivamente baroccheggianti o dall’aspetto artificioso.
Insomma, nella loro estrema ricercatezza i Bent Knee si concretizzano con una grande naturalezza, sintomo di una amalgama di musicisti che sa con chiarezza cosa fare e come farlo. Non è facile riuscire a trovare, ad oggi, la soluzione alchemica ideale per costruire qualcosa di originale ed estremamente riconoscibile. I Bent Knee ci sono riusciti alla perfezione e, proprio per questo, rientrano a gran merito tra quelle singolarità musicali a cui ogni musicista dovrebbe guardare (e forse anche rubare qualcosa).
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