Dopo il successo di Gore, ultimo album rilasciato nel 2016 con allegato un piuttosto diffuso plauso della critica, i Deftones tornano sulle scene musicali con Ohms (Reprise Records) nono album in studio pubblicato il 25 settembre 2020.
Nell’anno del ventennale dall’album della consacrazione, White Pony, la band di Sacramento torna in pista con un album complesso e che sembra andare a braccetto con la stessa complessità di un periodo come quello attuale che, a causa del Covid, ha costretto l’intera scena musicale a rallentamenti e acrobazie funamboliche atte ad evitare una fatale “perdita di equilibrio”.
E proprio dell’equilibrio, quello tra Yin e Yang, i Deftones vogliono parlare con Ohms
Argomento estremamente caro al vocalist Chino Moreno che proprio nel lavoro della band di Sacramento e nella sua produzione artistica, come dichiarato a mezzo stampa, vede la continua dualità e contrapposizione tra Yin Yang. Equilibrio e polarità delle cose, quindi, come tematica fondamentale per un album tanto atteso e con il difficile compito di succedere ad un Gore che non solo aveva portato la band su nuovi piani musicali ma anche ad una maturità sperimentale estremamente apprezzata dalla critica.
A quanto pare, però, l’equilibrio tanto decantato da Chino Moreno sembra venire a mancare in un lavoro come Ohms che, nel complesso, finirà per non soddisfare le tante aspettative presenti. Uno squilibrio, quello tra aspettativa e risultato finale, dovuto ad un album che nonostante le buone intenzioni finirà ineluttabilmente per lasciare una buona dose di amaro in bocca.
Dietro la misteriosa e minimale copertina in black and white di Ohms si cela, di fatto, un lavoro che già dai primi ascolti sembra di peccare, più che di ispirazione, di cura.
La band di Sacramento si va a cimentare infatti con un’opera dal sound volutamente “giganteggiante” e granitico, con tendenze spiccatamente dark e atmosfere gloomy e tensive. Fin dalla title track, Genesis, i Deftones sembrano voler subito mettere in chiaro l’estrema durezza sonora che andrà a pervadere tutto il lavoro tra riff granitici, acidissimi harsh vocals e serratissimi groove. Una durezza, quella di Genesis, che trova un seguito e spicca in modo imponente e netto in pezzi come Pompeij e Radiant City.
Non vengono a mancare, ovviamente, tagli più melodici come quelli garantiti dalla nevrotica Urantia, pezzo dove massicci riff di chitarra si intervallano con strofe e ritornelli dall’approccio più melodico e aperto, o dalla groovy e sinuosa The Spell of Mathematics, quinta traccia dell’elenco e meritevole della corona di fiore all’occhiello dell’album.
Così tra pesantezze chitarristiche e pause più “atmosferiche” o aperte a spezzare, si delineano delle tracce che, purtroppo, nel grosso dei casi sembrano incapaci di spiccare il volo. Ciò che emerge con l’ascolto di Ohms, di fatto, è l’assenza totale di picchi musicali, se non in rarissimi casi, tanto nelle singole canzoni quanto nell’intero album.
I pezzi scorrono in modo inerme, quasi monotono, senza disturbare ma senza nemmeno colpire l’ascoltatore
Il riffing di chitarra, sempre impostato e devoto alla costruzione di un sound massiccio e compatto, non sempre riesce a risultare coinvolgente peccando, alle volte, di freschezza e originalità (vedasi la stessa Radiant Chity). Mentre, però, si deve riconoscere al comparto strumentale dei Deftones l’ottimo lavoro nella costruzione di una chiara idea sonora, figlia meticcia di Nu-Metal, alternative, metalcore e industrial, che viene proposta e riproposta coerentemente durante tutta la riproduzione in modo quasi impeccabile, non si può dire lo stesso del vocalist Chino Moreno.
Di fatto le linee vocali risultano spesso “strascicate”, pigramente appoggiate ai pezzi con scelte melodiche estremamente discutibili e incapaci di dare freschezza, piglio e slancio alle diverse sezioni. Gli stessi harsh vocal, nel complesso apprezzabili per quanto eccessivamente filtrati e uber compressi, mancano di consistenza risultando una semplice “aggiunta” al tutto che ben poco valorizza la composizione.
Così, a vent’anni da White Pony, prendendo le mosse e muovendo le nostre considerazioni su Ohms, ci ritroviamo di fronte ad un album incapace di soddisfare le aspettative
Gravato dal predecessore, rilasciato in un delicatissimo ventennale, pubblicizzato e annunciato in modo forse troppo accattivante e misterioso, il ritorno dei Deftones suona come un “tanto fumo e poco arrosto” (per non dire “tutto e niente”) rendendo quello che sarebbe dovuto essere uno degli album dell’anno un semplicissimo album tra molti.
Non un brutto lavoro, certamente, ma con parecchi difetti e con grandissimi margini di miglioramento. Un album piuttosto sbiadito o, anzi, in bianco e nero, proprio come il suo artwork. Mancante di quei colori necessari a renderlo di impatto, di quel carisma, di quel piglio in grado di poterlo definire “un buon lavoro”, di quel guizzo in grado di permettere a canzoni con idee buone di “colpire nel segno” e non semplicemente scorrere lisce come acqua fresca. Soprattutto, però, nonostante l’evidente presenza di una convincente idea di base, manca quel livello di cura necessario a renderla vittoriosa.
E proprio quest’ultimo fondamentale tassello è ciò che ha impedito a Chino Moreno and co. di raggiungere quel livello di equilibrio capace di rendere Ohms il nono Album (con la A maiuscola) dei Deftones.
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Capolavoro di disco. Questa recensione avrei potuto scriverla io dopo aver ascoltato il disco 3 4 volte. Invece le canzoni hanno bisogno di essere ascoltate, assorbite, vanno come le sfumature infinite. Un brano come Ceremony, con i suoi 3 minuti, é così ricco da valere intere discografie. Headless idem. Tutte le canzoni hanno una difficoltà di interpretazione iniziale, data proprio da queste sfumature che ne rendono l’ascolto più difficile, ma una volta volte l’album prende il volo. Ripeto, CAPOLAVORO. Recensione che è figlia di un ascolto distratto. Le scelte melodiche di Moreno sono tanto difficile da cogliere per chi é abituato ai chorus catchy di tre quarti del panorama musicale attuale.
Uno dei migliori dischi della già straordinaria discografia dei Deftones.
Un ritorno alla rabbia degli esordi, ma con una maggiore raffinatezza compositiva.
Impareggiabile Terry Date.