Il mio Francesco Guccini

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Parlare di Francesco Guccini mi mette paura, tanta, perchè so quanto sia stato per la musica italiana, e so quanto lui sia “tanto” per chi lo segue. Tutta questa paura probabilmente influenzerà questo articolo, ma cercherò di non farmici prendere completamente. Aiuto.

Se un anno mi avessero detto che non avrei potuto fare a meno di Francesco Guccini avrei risposto con un sonoro “ma và”. Tutto questo per il fatto che io ho sempre ignorato il cantautorato italiano, pur avendo passato, un’infanzia, ascoltando Edoardo Bennato, De Gregori, Lucio Battisti e tanti altri cantautori, ma il mio ignorare non era accostabile al “non piacere”, ma era più un non sentire mio quel genere.

Infondo ho sempre cercato di scappare da chi, come Francesco Guccini, trattasse degli argomenti molto impegnati, non ero pronto per quel tipo di testi, ed in parte, neanche mi andava di mettermi li a capirli per sentirli miei. In pochi mesi però Guccini per me divenne come un libro, in cui il cantautore racconta la vita di un tempo che sembra, in teoria, passata. Ed in questi racconti abbiamo di tutto, dalla vita quotidiana al quanto sia difficile essere un’artista, o di quell’incazzatura perenne contro la società.

Francesco Guccini

Sentii la voce di Francesco Guccini l’anno scorso, ma lo ignorai, probabilmente ancora non ero pronto per quel tipo di testi e di racconti, ma pochi mesi fa cominciai a capirlo.

La mia prima canzone di Francesco Guccini fu “La Locomotiva”, ma non ebbe un grande effetto su di me. Di quella canzone capii poco, capii solo la storia di un ragazzo che volesse distruggere quella locomotiva, segno della ricchezza e della borghesia del tempo. Otto minuti di canzone, che non mi interessava, che non mi disse nulla, forse, perchè, doveva ancora scattare quel mio interesse verso un certo tipo di testi.

Il tempo passò e qualche mese fa però qualcosa si accese, e sentii la voglia, una grande voglia, di ascoltare Francesco Guccini. Una grande voglia di risentire quella “La Locomotiva”, ma anche di andare avanti, ad ascoltare altri racconti. La prima, “altra”, canzone, fu “Via Paolo Fabbri 43”, e mi affascinai da quel racconto di vita quotidiana in quella via di Bologna, che divenne ancora più affascinante e curiosa dopo che sentii “Bologna”. Rimasi su quell’album, Via Paolo Fabbri 43, di cui custodisco gelosamente il vinile, ed arrivò il momento di “L’Avvelenata”, che, divenne, la MIA canzone.

Quello che provai quando sentii “L’Avvelenata” fu un grosso senso di libertà, quasi come se Francesco Guccini, con quella canzone, avesse detto tutto quello che io, e tanti altri musicisti, diciamo da sempre, ovvero il fatto che, noi musicisti, siamo umani (argomento che ho già trattato). Il cantautore modenese però ha deciso di parlare di questa libertà da “incazzato”, parlando, in ogni particolare, di cosa si provi ad essere un musicista. Parte dal momento in cui, troppo spesso, chi ti dovrebbe supportare quasi ti scoraggia a seguire la tua passione, al momento in cui ti prende il momento in cui vorresti mollare tutto e passando per il, sacrosanto diritto, di fare quello che si vuole da musicista.

Francesco Guccini mi ha insegnato a capire le sue canzoni, a non avere paura di essere quello che si immedesima nelle sue canzoni, ma soprattutto mi ha insegnato ad immaginare le sue storie.

Sono tante le cose che Francesco Guccini mi sta insegnando in questi, pochi mesi. Mi insegna ad immaginare, tanto, tantissimo, a chiudere gli occhi e immedesimarmi in tante delle storie da lui, raccontate. E poi mi ha insegnato a capirle le canzoni, non solo a leggere il testo e dire “ok, ora lo ho capita”. Ed ecco perchè conosco ancora poche canzoni di Guccini, perchè perdo molto tempo ad ascoltarlo e a capirlo, senza fretta, con calma, apprezzando ogni singola parola.

Ma andiamo per ordine, concentrandosi su quell’immaginazione che Francesco Guccini riesce a darmi: immaginarsi di essere “Cirano” o immaginarsi fuori da una delle osterie di fuori porta, grazie a “Canzone Delle Osterie Di Fuori Porta”. Con Cirano sono lì, vestito come uno spadaccino, che combatte chi non sogna più ed ama il facile, un combattete coraggioso ma triste comunque, per amore, perchè la sua Rossana, probabilmente, non sarà mai sua. Subito dopo mi ritrovo fuori un’osteria, ad immaginare tutti i personaggi che la frequentavano, magari a cantare “La Fiera di San Lazzaro”,ma contemporaneamente ad immaginare chi è morto o chi è già dottore.

E poi c’è il lato del “non avere paura delle sue canzoni”, che sia nel capirle, o che sia nell’immedesimarsi, per poi dire “questo sono io”, ed anche con fierezza. Canzoni come “Il Sociale e L’Antisociale” e “Vorrei” sono la dimostrazione di quel sentirsi “forte” raccontato nelle righe precedenti. Nella prima, Francesco Guccini, mi ha fatto sentire “forte” nel sentirmi antisociale, nell’odiare, più o meno, la società. Mentre, nella seconda, mi riporta alla semplicità, o meglio, la semplicità dell’amore, ah la semplicità, una parola che non ti aspetti che possa essere accostata a Guccini.

Francesco Guccini

Il mio Francesco Guccini continua, perchè, come ho detto, non ne posso fare a meno.

E così finisce il mio Francesco Guccini, o meglio, finisce almeno qui, nell’articolo, ma in reltà io sono in continua scoperta, sono sempre lì, a curiosare tra la sua semplicità ed il suo essere, in certi casi, complicato. Per me Guccini continua, e spero che per molti di voi, dopo aver letto questo articolo, possa cominciare. Ci vediamo alla prossima, con degli artisti, anzi, una band con cui ho un rapporto di “amore ed odio”, ovvero i Fast Animal And Slow Kids.

Marco Mancinelli
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