Incantation – Sect of The Vile Divinities [Recensione]

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Dopo 3 lunghi anni di silenzio, gli Incantation fanno un glorioso ritorno sulla scena con il loro nuovo, e già acclamato, album: “Sect of The Vile Divinities”, in uscita il 21 agosto via Relapse Records.

Per molte bands non è necessaria un’introduzione, atta a spiegare chi sono e cosa facciano: gli Incantation sono una di queste.
Fin dai primi anni di vita, hanno dimostrato di saper domare le onde fragorose del Death Metal vecchia scuola che molti, me compreso, amano alla follia.

Incantation

Non serve un dottorato in astrofisica per comprendere le intenzioni di una band del genere; e già dall’artwork si evince una poca sobrietà e una dose massiccia di frequenze direttamente servite a 160+BPM in pieno stile Incantation.

Sect of the vile Divinities viene presentato con 3 singoli: Fury’s Manifesto, Propitiation ed Entrails of the Hag Queen.
Tutte e 3 posseggono le medesime caratteristiche come la megalitica pesantezza dei ritmi, lo sferzare dei suoni e una voce che amalgama il tutto come se fosse un esimio cerimoniere, pronto a presenziare un oscuro e grottesco rituale.

Da questo punto, il viaggio nel nuovo girone infernale, ha inizio; ci troviamo in un universo soffocante e claustrofobico, che ci attanaglia le orecchie già dai primi secondi d’ascolto: lasciando senza fiato sia l’assiduo ascoltatore, che il neofita; tutto come perfettamente anelato dagli stessi Incantation.

Ritual Impurity è l’incipit di questo cantico, presenta tutti gli attributi necessari che ogni canzone/intro dovrebbe avere, guidando il viaggiatore, come un novello Virgilio, tra le prime tracce dell’album; riuscendo a spezzarsi perfettamente con canzoni come la stessa “Propitiation” e Guardians of the Primeval.

Incantation

Progredendo nella nostra “katabasis”, si avverte un costante senso di oppressione, sempre in costante aumento: come se il soffitto fosse sempre più basso sotto la nostra testa o come se le pareti fossero sempre più strette, costringendoci a divincolarci a ogni passo.

In questo momento, l’album rivela la sua vera natura: gli Incantation ci mostrano una pesante venatura di Funeral Doom Metal; dove i ritmi veloci e tartassanti e splettrate “zanzarose”, lasciano il posto a un andare più cadenzato e lento accompagnato da lunghi accordi dissonanti e lancinanti.
Ignis Fatuus” e “Shadow-Blade Masters of Tempest and Maelstrom” sono il chiaro esempio di ciò appena riportato.

Siamo nella parte più bassa del girone infernale, è qui che gli Incantation iniziano davvero a dare il meglio di loro; le canzoni non rimangono tali, ma si elevano a veri e propri inni profani e blasfemi intonati da una voce a dir poco demoniaca.

Scribes of the Stygian mette la prima granitica pietra sul nuovo muro di suono di Sect of The Vile Divinities, il rituale della band è nel suo più profondo vivo e noi ascoltatori siamo i testimoni di tutto ciò che vi accade.
Il tutto, culmina con Unholy Ambrosia, decisamente il pezzo più tetro e pesante dell’intero album degli Incantation.

Incantation

Dopo questi 45 minuti di peregrinazione nei meandri più oscuri e carnali nella storia del Death Metal, ci troviamo a tirare le somme per un album davvero meritevole e di lode.

Rimaniamo schietti, Sect of the Vile Divinities, non si tratta del capolavoro del suo genere, oltre che rimane sempre diversi passi sotto a predecessori degli Incantation come Onwards To Golgotha.
Ma, nel suo insieme, ci troviamo di fronte a un album di una qualità decisamente elevata e di una magistralità di cui, veramente poche band, possono vantarsi.
Come punto negativo, però, gli si può attribuire la sua poca immediatezza e le sue frequenze davvero granitiche che, purtroppo, possono non essere apprezzate da tutti.

Jacopo Simonelli
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