Jonsi – Shiver: dai Sigur Rós alla musica elettronica tra intimità, sperimentazioni, lande islandesi e ciliegi giapponesi

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“Music from a cold Land” è la risposta che Nine, uno dei protagonisti dell’anime Terror in Resonance (disponibile su Netflix), a chi gli chiede cosa stesse ascoltando con quelle sue cuffie perennemente inforcate nelle orecchie. Una chiara citazione da parte dell’autore dell’opera nipponica, Shin’ichirō Watanabe, nei confronti della musica dei Sigur Ros. Di fatto, su sua stessa ammissione, sono state proprio le opere della band post rock islandese ad ispirare tanto la trama quanto la (stupenda) colonna sonora di un anime poco conosciuto nonostante il grande potenziale. E proprio dalla mente dell’abile ed eccentrico frontman dei Sigur Rosi, Jonsi, arriva Shiver, secondo album solista pubblicato lo scorso 2 ottobre 2020.

Le produzioni artistiche del 45enne Jón Þór Birgisson sono sempre state contraddistinte dall’eccentricità di un’artista che su di uno stile estremamente personale è stato in grado di costruire una fama di livello internazionale. Un successo, ovviamente, nato dalla capacità di incantare con le proprie opere migliaia di ascoltatori provenienti da ogni parte del globo.

Jonsi Shiver

Che sia per lo stile cantato falsettato fino all’estremo, per le sonorità eteree delle sue produzioni o per la chitarra elettrica suonata con l’archetto di un violino, quello di Jonsi è un marchio di fabbrica sempre riconoscibile fuor da ogni ragionevole dubbio

Lo stesso lo si può percepire, ovviamente, anche di un album come Shiver che, in tutta la sua forma, sembra ereditare in sé tutta l’anima dell’arte dei Sigur Ros, anche se trasposta su piani sonori (apparentemente) estremamente differenti. Con Shiver, di fatto, ci ritroviamo di fronte ad un album di raffinata musica elettronica contraddistinta da una mescolanza di ambient, sperimentazione ed intimità. Uno stile, quello di Shiver, che non può non ricordare l’ultimo decennio di Apparat, artista tedesco da cui, senza ombra di dubbio, Jonsi sembra aver colto più di una sfumatura.

Un’ispirazione, ovviamente, che non si schianta nella mera emulazione culminando così in un prodotto ricco di spunti, personalità e potenzialità grazie, ovviamente, alla spiccata personalità artistica e alla maestria di una personalità musicale che da anni è in grado di trasmettere il suo ben distinguibile “messaggio sonoro”.

Così quella “Music from a cold land” in grado di ispirare ad uno sceneggiatore dall’altra parte del mondo la tragica storia di due orfani nel disperato tentativo di diffondere nel mondo il loro messaggio (con una punta di vendetta) torna a vibrare nelle note sintetiche di Shiver

Così in undici canzoni inizia un viaggio che si divide tra il gelo dei panorami islandesi il delicato roseo candore dei ciliegi giapponesi. Un viaggio fatto di luci accecanti formate da sonorità limpide e aperte nonostante la dimensione spesso minimale delle composizioni.

Con Exhale si estende un panorama dotato di estrema dolcezza nonostante la natura estremamente minimale di un pezzo che vedo voce e pianoforte in posizione di primo piano con sparuti elementi elettronici ad impreziosire dando leggiadre sferzate di colore solo nelle battute finali. Un pezzo dal taglio solenne ed intimo, luminoso potremmo dire, in perfetto rapporto di coerenza con quanto espresso dal resto dell’opera.

Con la title track, Shiver, i leggiadri falsetti di Jonsi sono ancora protagonisti in un pezzo che cresce lentamente, scandito da innesti noise e suoni sintetici, colorati e cristallini, utili anche a rimarcare l’apertura quasi epica di un ritornello tra i più toccanti dell’intero album.

Con Cannibal e Salt Licorice troviamo non solo due collaborazioni vocali femminili (rispettivamente nelle voci di Elizabeth Fraser e Robyn) ma anche le due produzioni dalle tinte più pop dell’intero lavoro

Mentre con la prima troviamo il pattern delle precedenti, con un lento crescendo progressivo, intimo e minimale, con Salt Licorice ci ritroviamo invece fiondati in un pezzo di raffinato pop a tutto tondo. Colorato e groovy, tra le ritmiche di electric drum e basso synt si muove la sinuosa e delicata voce di una Robyn slanciatissima e ben supportata da un’elettronica sperimentale e ben lontana dalla banalità. Nonostante ciò, però, il potenziale di orecchiabilità del pezzo è enorme, culminando in un lavoro pop estremamente raffinato, fresco e all’avanguardia.

Con Wildeye ci ritroviamo a fare i conti con il pezzo più sperimentale della raccolta. Isterico e imprevedibile, in un momento focalizzato su di un pesante industrial, poi in picchiata verso un malinconico ambient dalle tinte opache o, ancora, aperto improvvisamente su panorami modern synt-wave e chillout. Un pezzo che raccoglie in sé il livello massimo di sperimentazione ed imprevedibilità dell’album mettendo in mostra una grande maestria nella sintesi sonora a discapito, va detto, di un’orecchiabilità a dir poco limitata.

Un difetto più perdonabile considerata la gran presenza di quest’ultima nel resto dell’opera, basti guardare la dolce Hold.

Nonostante le trovate sonore raffinatissime e la costruzione di panorami musicali freschi ed interessanti, l’album va purtroppo a perdere colpi sul finale, divenendo ad un certo punto piuttosto ripetitivo in particolar modo nelle strutture utilizzate.

Un difetto, comunque, incapace di affondare quanto di buono messo in mostra da un album del calibro di Shiver

Con questo nuovo episodio solista Jonsi si afferma in nuovi panorami musicali ben lontani dal nativo post rock dei Sigur Ros. Un nuovo mondo in cui, con maestria, l’artista islandese è stato in grado di trasporre non solo il suo genio ma anche il suo stile inconfondibile.

Ne viene fuori un lavoro raffinato, ispirato, tremendamente fresco ed in grado di poter dire la sua anche di fronte ai mostri del settore (come lo stesso Apparat). Dalla parte di Shiver, ovviamente, non vi è però solo la qualità strettamente “musicale” ma anche quella artistica. Di fatto, tra giocose sperimentazioni di suoni sintetici e cristallini, ambient e tanto altro Jonsi riesce a dare vita ad un album godibile nonostante la non estrema accessibilità. Un lavoro dalle tinte solenni ed intime, capace di rilassare, far riflettere, immergere l’ascoltatore e proiettarlo di fronte a nuove “lande”, nuovi panorami.

Quelli che vedono la fredda steppa islandese estendersi a perdita d’occhio. Quelli che vedono le strade di Tokio inondate da alberi di ciliegio sotto cui due ragazzi malinconici e determinati “tramano” per dare nuova dignità alle proprie vite. E vi è un solo punto in comune tra due scene così distanti: il pathos mozzafiato in grado di provenire da ciò che sa penetrare direttamente l’anima con la sua bellezza, la sua storia, la sua drammaticità.

Leggi anche: Ohms: un ritorno “sbiadito” nel nuovo album dei Deftones (Link)

Lorenzo Natali
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