25 luglio 2025 – Anfiteatro degli Scavi di Pompei. Quando Bryan Adams sale sul palco, l’aria è quella delle grandi occasioni. Un monumento della musica mondiale che suona tra i resti di un’antica città: basta questo per emozionarsi, ma c’è di più. “Ho suonato in tanti posti inusuali”, dice al microfono, “ma questo è il posto più bello dove l’abbia mai fatto”. E a guardare le luci che accarezzano le pietre millenarie e il pubblico che canta con lui, viene da credergli.
Lo show è completamente acustico, ma non per questo silenzioso. La voce di Bryan riempie ogni spazio, e l’interazione col pubblico è totale, costante. Parla, ascolta, risponde. Quando qualcuno in platea lancia una battuta o un commento, lui rilancia, scherza, sorride. Sembra quasi di essere in una stanza con lui, con un amico che ti racconta la sua vita attraverso le canzoni. È questo il grande pregio del concerto: la vicinanza, l’intimità. E il pubblico la restituisce con affetto, rispetto, calore.
La scaletta è ricca e attraversa decenni di carriera. Si parte forte con Run to You, Let’s Make a Night to Remember, It’s Only Love, poi arrivano momenti più intimi come Please Forgive Me e When You Love Someone. C’è spazio anche per il romanticismo cinematografico con I Finally Found Someone, in cui Adams canta anche le parti di Barbra Streisand con dolcezza e ironia.
Non mancano però alcune perplessità. In un contesto acustico così essenziale, si sente la mancanza di una band. Alcuni brani, soprattutto quelli più rock come Can’t Stop This Thing We Started o Somebody, perdono un po’ di spinta e mordente. Gli arrangiamenti non sembrano pensati apposta per un set acustico: più che reinventati, sono semplicemente “spogliati”, a volte troppo. E Bryan Adams, che resta un animale da palco, un rocker puro, sembra muoversi con un po’ di fatica in questa dimensione ridotta, quasi compressa.
Uno dei momenti più particolari arriva con Echoes dei Pink Floyd, un omaggio chiaro e diretto a Pompei. La esegue tre volte, perché le prime due non vanno bene: si ferma, scherza, riparte. E proprio per questo è uno dei passaggi più umani e sinceri del live. Bryan non si prende troppo sul serio, e questo lo rende ancora più amato.
Tra i momenti più toccanti, l’inevitabile (Everything I Do) I Do It for You, l’intramontabile Heaven, e la rarità A Little More Understanding, suonata per la prima volta dal vivo. Non mancano anche cenni spiritosi all’Italia: racconta di aver mangiato spaghetti e di aver assaggiato “il miglior pomodoro della sua vita”. La platea ride, applaude, si stringe a lui.
Nel finale, l’unione tra palco e pubblico è ormai totale: Have You Ever Really Loved a Woman?, Straight From the Heart e All for Love (con Adams che canta anche le parti di Rod Stewart e Sting) chiudono una serata imperfetta ma vera.
Un concerto forse non memorabile per gli arrangiamenti, ma indimenticabile per l’atmosfera, per la connessione con il pubblico, per l’uomo che ha voluto spogliarsi del superfluo e mostrarsi com’è.
Bryan Adams, anche senza la sua band e il suo volume da stadio, resta una leggenda. E a Pompei, tra le rovine e le stelle, ha scritto un altro piccolo pezzo di storia.
A cura di Stefano STRE Crispino
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