I Riverside giungono a Roma a Largo Venue per il loro ID.Entity Tour, in supporto del loro ultimo album.
Realtà musicale tra le più creative e originali degli ultimi vent’anni, noti per essere “troppo pesanti per essere Prog Rock, troppo leggeri per essere Prog Metal”, i Riverside rappresentano probabilmente quanto di meglio i due generi possano offrire.
Formazione classica, eppure leggermente atipica, con il quintetto (mancato) voce, chitarra, basso, batteria e tastiera, dove il vocalist Mariusz Duda svolge egregiamente anche il ruolo di bassista.
Un sound che non disdegna incursioni di riff pesanti e breakdown moderni e prettamente Metal, ma che al contempo sa essere intimo, seducente, vagamente sofisticato come il migliore Progressive Rock anni Settanta.
Mettiamoci anche la straordinaria capacità di rendere i live non una semplice riproposizione di quanto realizzato in studio, ma un’esperienza totale.
Ecco quindi che i Riverside riescono a realizzare un’esibizione live spettacolare, trascinante e ogni volta unica e irripetibile.
L’elemento subito interessante di un concerto di questa band polacca è la passione dei suoi interpreti e la costruzione delle esecuzioni dei brani arricchendoli di intermezzi, assoli, prolungamenti. Insomma, i live non devono essere esibizioni al karaoke, ma devono essere spettacoli: il pubblico non viene solo per ascoltare, ma anche per vedere e partecipare.
Questo i Riverside l’hanno capito chiaramente, molto meglio di tante altre band anche più blasonate, e assistere a un loro concerto è un’esperienza straordinaria, che lascia profondamente il segno.
Ad aprire le danze dell’ID.Entity Tour a Largo Venue è #Addicted, brano intenso e ormai storico proveniente da Love, Fear and the Time Machine del 2015, seguito da 02 Panic Room, un salto indietro alle origini della band, dalla trilogia dei primi album che li ha catapultati all’attenzione del pubblico appassionato di Prog, rivelandoli come una delle realtà più importanti del genere.
Si giunge finalmente all’ultimo album ID.Entity con uno dei suoi riff caratteristici, suonato dal basso di Duda: Landmine Blast. Bastano poche note a scatenare il pubblico, pronto a seguire i vari cambi di tempo della band. Ma del resto le atmosfere che il brano suscita sono irresistibili e quindi, una volta giunti al ritornello, il frontman si ritrova sostenuto dall’insieme di voci del pubblico presente.
Da notare poi le plurime provenienze degli spettatori: a dispetto delle aspettative, il numero di fan giunti dall’Est Europa, dagli Stati Uniti o perfino dall’Iran, ricopre una significativa porzione. Un fenomeno che invita a riflettere sulla forza della musica come elemento di unione tra individui e sulla capacità attrattiva dei Riverside, capaci di unire persone dai diversi approcci, sentimenti e gusti musicali.
Superata questa riflessione che lo stesso Duda e compagni affrontano sul palco interagendo col pubblico con grande calore e una punta di sorpresa e ironia, si procede ancora con l’ultimo album. Big Tech Brother è subito riconoscibile dal caratteristico discorso di avvertimento di termini e condizioni da accettare per ascoltarlo, perfettamente recitato dal frontman. Non manca qualcuno tra il pubblico che ha imparato a memoria anche questi versi, arricchendo di pensieri critici e postmoderni la portata di una canzone. A cosa possono arrivare i Riverside…
L’intensità vagamente Metal dei brani di ID.Entity viene smussata dalle atmosfere intime, quasi Modern Jazz, di Left Out, straordinaria traccia di quell’album spartiacque nella storia della band che è Anno Domini High Definition.
La band ci trasporta per quasi un quarto d’ora in un mondo totalmente diverso da quello in cui erano immersi fino a poco prima, riuscendo a trasformarsi con camaleontiche capacità lungo la stessa serata. Il talento poi nel rivisitare i propri brani riporta davvero a quella che doveva essere l’esperienza di un live di una storica band Prog degli anni Settanta, dai primi Genesis del mago dei travestimenti Peter Gabriel alle travolgenti esperienze dei Pink Floyd fino alle interminabili esibizioni degli Hawkwind. Anche in questo i Riverside hanno pochi rivali al giorno d’oggi.
La serata riceve un forte boost di intensità con la pesantezza del sound di Post-Truth, tratta da ID.Entity. Dopodiché si passa a The Place Where I Belong, forse uno dei brani più delicati del disco, riportandoci all’atmosfera delicata e soffusa creata da Left Out.
Questo approccio più soft prosegue con We Got Used To Us, unica canzone tratta da Shrines of New Generation Slaves.
Su questo brano in particolare, Mariusz Duda si sofferma qualche secondo di più. Ci tiene a ricordare che l’album da cui il brano proviene ha compiuto dieci anni. La notizia potrebbe provocare anche a un forte senso di commozione, ma la band ha deciso di ironizzarci sopra, con quello che è stato lo spirito di tutta la serata. “Potevamo fare un vinile celebrativo, con numerose versioni dell’album al suo interno, remixate e rimasterate, e con 164 pagine di artwork… Abbiamo deciso invece di eseguire una sola canzone”.
Con questo brano termina la fase soft della serata, che vira nuovamente su sonorità più movimentate e pesanti con Egoist Hedonist, tratto da Anno Domini High Definition.
È il preludio alla (prima) chiusura del live, un posto d’onore che deve spettare a un brano speciale: Friend or Foe?, l’opener di ID.Entity. I caratteristici synth anni Ottanta rivelano il loro potere groovy in tutta la loro intensità fin dall’intro, il brano procede nella sua ipnotica struttura, il gruppo lo esegue alla perfezione e lo show non potrebbe concludersi meglio.
Forse.
Perché i Riverside hanno ancora in serbo un paio di cartucce importanti.
Self-Aware, sempre da ID.Entity, è una vera forza della natura, dai riff al messaggio espresso dal testo (un vero invito a disiscriversi dai venditori di odio e ostilità) alle atmosfere quasi reggae dello special e che sanno tanto di Stand up for your rights. I nostri diritti di cittadini del XXI secolo, invasi e schiacciati dal mondo digitale e social onnipresente.
La seconda cartuccia è una speciale e romantica Conceiving You, da Second Life Syndrome, una ballad che viene arricchita e allungata con un fantastico mash-up. In un interludio dell’esecuzione c’è anche modo di scherzare con Marius Duda che cerca di educare il pubblico al silent scream (in pratica, al “tre!” non si urla, si sussurra). È la consueta ironia della serata, che unisce l’animo scalmanato Metal con quello più delicato Rock che caratterizza lo stile dei Riverside e che di fondo fa da preludio a un urlo finale, collettivo, sulla conclusione definitiva della serata.
Il live dei Riverside è quindi una di quelle esperienze straordinarie, uniche, che poche altre band riescono a offrire: c’è chi proprio non ci riesce e chi non riesce a farlo con coerenza e naturalezza. I Riverside lo fanno tranquillamente e già solo per questo sono da inserire tra i gruppi più importanti della nostra epoca. Aggiungendo anche la potenza del loro repertorio, meritano assolutamente un posto di rilievo all’interno del panorama musicale attuale, e forse anche qualcosa di più.
Una nota di merito anche alla band di apertura, gli olandesi Lesoir. Praticamente sconosciuti ai presenti (un dato certificato dalla stessa band dall’esiguo numero di spettatori che alzano la mano alla domanda: “Chi ci aveva già visti nel 2019?”), il quintetto riesce a regalare un’esibizione di cuore, intensa, offrendo veramente tutto quello che ha, eseguendo un repertorio interessante, talvolta naive, ma sempre piuttosto coinvolgente.
Una band che potrebbe regalare ulteriori spunti interessanti prossimamente (un nuovo album è in arrivo nel 2024), con atmosfere Rock che profumano anche di tensione e alienazione del XXI secolo. Restiamo in attesa. Nel frattempo, complimenti anche a loro.
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