Don’t Look Back – Prima o poi arriva per tutti quel momento nella vita in cui dobbiamo cercare di guardare avanti, nonostante tutto. Proseguire il nostro percorso scrollando dalle nostre spalle quei piccoli cumuli di polvere e cenere, le materie di ciò che è stato.
Un momento che forse, molti di voi, avranno assaporato tremendamente spesso. Sono ben “fiero” di potermi includere tra coloro che campano a pane, ricordi e frasi del tipo “forse è l’ora di lasciarsi tutto alle spalle”.
Proprio ora, mentre mi ritrovo seduto in un bar dopo aver consumato un caffè che nemmeno volevo, mi ritrovo a chiedermi se non sia il caso, forse, per l’ennesima volta di chiudere una porta, custodendone amorevolmente le chiavi…non si sa mai.
E lo faccio ascoltando i The Dear Hunter e la loro Don’t Look Back.
Un titolo fin troppo chiaro, un suggerimento solenne, tremendamente facile da dare, tremendamente difficile da applicare
Un pezzo in grado di andare ad incastrarsi in quei frastagliati fiordi che la malinconia è in grado di creare nel nostro cuore nei momenti in cui, forse, ci accorgiamo che dovremmo lasciar andare.
La musica è comunicazione. L’arte raggiunge il suo massimo stato d’essere quando è in grado di narrare il dilemma umano, di fondersi con esso come una cosa sola. Così tra armonie sospese, leggeri accordi di chitarra, delicati tocchi di pianoforte e una voce dolce e melodiosa, si intrecciano e arrampicano i suoni di un pezzo che guarda al passato con malinconia, negli ultimi tragici istanti prima che la porta si chiuda.
E cosa rimane, poi? Dopo l’ultimo sofferto attimo, l’ultimo straziante grido, “non guardare indietro”…don’t look back
Cosa rimane mentre l’uomo si forza, nella drammaticità degli eventi, di tradire la natura cui lo spingerebbe il suo cuore. Il bisogno di inseguire, di mantenere, l’impossibilità di voltare lo sguardo altrove.
Rimane solo una flebile chitarra, che “recita” le sue ultime note prima di affidarci al vuoto. Il vuoto della chiusura, il vuoto della perdita. Il vuoto di quelle lacrime amare che dobbiamo inghiottire, mentre cerchiamo di convincerci a non guardare indietro, mentre un tonfo nel petto ci fa temere l’arrivo della Tako Tsubo, o in altri termini, la sindrome del cuore infranto.
Leggi anche
- Vola, Friend of a Phantom: recensione - Novembre 26, 2024
- Kingcrow – Hopium: Recensione - Settembre 22, 2024
- Manuel Gagneux di Zeal & Ardor su Greif: intervista - Settembre 4, 2024